È un tour fotografico nei luoghi abbandonati d’Italia, dal Piemonte alle isole, quello narrato nelle suggestive immagini di Italian Urbex. Viaggio tra i luoghi abbandonati, volume a cura di Davide Tesei e Davide Calloni (team Ascosi Lasciti). Oltre 40 destinazioni – di cui qui ne proponiamo alcune – che proiettano il lettore in alberghi, ville, aziende, case di cura, cinema e molti altri edifici disseminati nella nostra Penisola e semplicemente abbandonati, dimenticati.
Sono invisibili, talvolta luoghi sconosciuti o nascosti e che per la prima volta vengono raccontati attraverso un ricco e incredibile reportage da diciotto fotografi sparsi in tutta Italia, che con coraggio e curiosità ne hanno varcato le soglie: è l’urbex, la Urban Exploration, forma d’arte che attraverso la fotografia racconta le storie e le sensazioni dietro ai più suggestivi luoghi nascosti in Italia e nel mondo. Queste fotografie ci svelano luoghi carichi di memorie, di decadenza pura, di oggetti, di impronte lasciate da chi li ha vissuti fino alla fine e ci restituiscono il fascino di un istante prima dell’abbandono, seguiti da anni di dimenticanza: alberghi con il registro degli ospiti ancora aperto sul bancone, biblioteche con i libri ben ordinati sugli scaffali, antiche ville con i vestiti ordinatamente appesi negli armadi…
Le ragioni dell’abbandono possono essere diverse: la famiglia estinta, gli eredi in lotta tra loro, l’attività fallita, le spese troppo ingenti per la ristrutturazione, il paese svuotato dalla fuga verso le grandi città. In controtendenza con l’urbanizzazione selvaggia, il sovrasviluppo di aree urbane periferiche, gli innumerevoli abusi edilizi in aree protette o a rischio, questi edifici diventano soggetto di arte, luoghi a cui restituire dignità e il giusto valore.
La grande miniera abbandonata

© Liotrum
Dove: Sicilia – Costruzione: anni 50
Questa è una delle più grosse miniere dell’entroterra siculo. È lei. La grande miniera abbandonata. È stata tra le più importanti per l’estrazione di sali alcalini misti e vedeva impiegati circa 500 dipendenti. L’attività estrattiva cessò nel 1992 per motivi ancora avvolti nel mistero: si trovano, infatti, versioni discordanti riguardo la sua chiusura e il conseguente abbandono. Una di queste afferma che le attività vennero interrotte per poter favorire le multinazionali del sale americane e tedesche che a oggi mantengono il monopolio. Questa miniera, a pieno regime, estraeva sino a due milioni di tonnellate di kainite e sali potassici e secondo alcune stime avrebbe potuto continuare la sua attività per un altro trentennio. Costituita da quattro pozzi di sfiato, era attrezzata con mezzi moderni per l’estrazione e il trasporto dei minerali. A oggi rimane comunque un luogo di interesse, sebbene per altri motivi: rappresenta infatti un chiaro esempio di espressione di archeologia industriale. Potrebbe diventare un sito di attrazione e di sviluppo culturale, ma finora nulla è stato fatto. In questa lenta agonia, questa carcassa di ruggine porta con sé conseguenze devastanti sui territori limitrofi: al suo interno la miniera conserva molto materiale pericoloso che avrebbe dovuto essere bonificato, e lo si trova dappertutto, esposto anche al sole e al vento. La vegetazione ormai gli cresce intorno, e speriamo che il lungo viaggio tra sentenze e processi possa portare a un completo recupero dell’area.
Ricordi di follia

© Valerio Fanelli
Dove: Basilicata – Costruzione: 1956
(testo di Valerio Fanelli) – Ricordo da piccolo con mio padre le passeggiate in via Pretoria. Spesso si incontravano gruppetti di due o tre persone che urlavano e dicevano cose senza senso, una volta ne ricordo uno in particolare che in mezzo alla folla sparava in aria con una scacciacani e i passanti lo ignoravano. Ignoravano tutti loro perché sapevano di chi si trattasse, e io chiesi a mio padre: “Papà perché fanno così?”. Lui mi rispose: “Perché sono pazzi”. Erano i pazienti dell’ospedale psichiatrico che venivano lasciati liberi in alcune ore della giornata.
Ora sono passati tanti anni, i manicomi sono chiusi e io ho intrapreso questo progetto fotografico a lungo termine sui luoghi abbandonati. Quando iniziai però a fare ricerche su questi luoghi mi informai immediatamente su questo ospedale, e risultò essere ancora attivo, non più come manicomio ma come RSA per anziani e altre funzioni. Poi passarono ancora una decina d’anni e io abbandonai l’idea di esplorarlo. Un giorno però per caso passai di lì in macchina con mio zio, il quale mi disse che quello che una volta era il manicomio ora era abbandonato, erano stati abbandonati tutti i padiglioni dell’ex RSA tranne uno. Casualmente il giorno dopo avevo un appuntamento con Vincenzo, il nostro recensore della Basilicata, così al nostro incontro gli dissi: “Aggiungiamo una tappa!”. Arrivati sul posto troviamo davanti all’accesso un gabbiotto con una guardia, impossibilitati ad accedere senza farci vedere decidiamo di parlarci e per fortuna lui si dimostra tranquillo e ci dice: “Andate ma io non vi ho visto”. All’interno troviamo una struttura spoglia e vandalizzata, pochi sono i riferimenti al periodo del manicomio, qualche comodino, un letto e un paio di sedie a rotelle, per terra però trovo un quadro con alcune foto dei vecchi pazienti, poi troviamo alcuni medicinali per tossicodipendenti, segno che è stato anche Sert.
Il manicomio nasce per volere di Don Pasquale Uva, che già aveva dato vita a un altro istituto di ricovero per alienati in Puglia, e tra il 1926 e il 1928 manifesta l’intenzione di ampliare il suo progetto anche in Basilicata, che allora non aveva istituti di questo tipo. Ci vollero molti anni per riuscire a mettere in pratica il progetto, nel 1951 finalmente iniziarono i lavori e Don Uva, quasi a voler recuperare il lungo tempo trascorso, si dedicò con incessante fervore a tutte le attività necessarie per costruire celermente l’ospedale. Il 6 marzo 1954 morì, già sofferente da due anni per una grave malattia, cosicché non arrivò mai a vedere in vita concluso il suo progetto, che fu portato a termine due anni dopo. Con il tempo la struttura si pose all’avanguardia nel campo della riabilitazione psicosociale, attivando oltre venti laboratori di attività occupazionale (musicoterapica, atelier per attività espressive, lavorazione della ceramica, cartapesta, legno e ferro, laboratorio di maglieria e ricamo), frequentati da oltre 300 ricoverati; venne anche creata una polisportiva che per diversi anni è stata ai vertici nazionali delle attività degli atleti portatori di handicap. Vennero inoltre organizzati corsi di formazione per il recupero educativo e lavorativo dei degenti. La storia poi la conosciamo e riguarda la chiusura dei “manicomi”, così nel 1996 la struttura deve concludere definitivamente questa parte della sua storia. Di solito amo trovare luoghi arredati, ricchi di ricordi del passato, questa esplorazione mi rimane più impressa però per la sua storia, e perché sono finalmente riuscito a entrare in questo luogo che tanto mi incuriosiva da piccolo.
Lo stabilimento termale

© Stefano Barattini
Dove: Emilia-Romagna – Costruzione: anni 30
Dall’architettura austera, tipica dello stile littorio di quegli anni, e inserito in un bellissimo parco con piante d’alto fusto, questo grande complesso termale ha lavorato fino a pochi anni fa. L’unico modo per accedere a questa incredibile struttura è attraverso un passaggio quasi invisibile, e forse proprio perché non ci sono finestre spalancate al suo interno è tutto perfettamente conservato, pochissima polvere, tutto in ordine… tutto fermo nel tempo! Non è facile orientarsi e la struttura, se da fuori sembra immensa, dentro è labirintica, con grandi ambienti disposti simmetricamente attorno al corpo centrale, in cui si trovano le aree comuni. Ai due lati, disposte su quattro piani, le camere.
Il convento in blu

© Elvira Macchiavelli
Dove: Umbria – Costruzione: 1403
(testo di Elvira Macchiavelli) Mai avrei immaginato di trovare, oltre quel muretto e oltre quegli alberi, questo incredibile vecchio monastero, fatiscente ma ricco di storia e fascino. Costruito nel 1403 per volere di Papa Eugenio IV, il “convento in blu” fu progressivamente ampliato nel corso dei secoli arrivando a comprendere un alloggio per novizi, uno per gli studenti e una piccola fabbrica per la tessitura della lana. Di rilievo, alcune opere pittoriche dell’artista B.B. (ora conservate nella pinacoteca comunale), e di notevole impatto gli affreschi ancora presenti nel refettorio.
Nel 1866 la struttura, a seguito del decadimento degli ordini religiosi, fu affidata al Comune che, nel 1928 per delibera del podestà del Comune, decise di riadattarla a ricovero per gli anziani, che vennero ospitati qui fino al febbraio 1989, quando, insieme ai dipendenti, vennero trasferiti presso una nuova struttura.
Oggi questo luogo meraviglioso versa in un forte stato di degrado. Le stanze del piano terra presentano ancora qualche arredo originale, con il legno imbarcato. Il cortile interno, con al centro il pozzo, e tutta la struttura, sono assediati dalla vegetazione che progressivamente sta reclamando per sé questo ex convento. Tra polvere e calcinacci si vede ancora tutta la bellezza di un luogo brutalmente dimenticato.
Meraviglia Liberty

© Elvira Macchiavelli
Dove: Toscana – Costruzione: inizio 900
(testo di Elvira Macchiavelli) Nel 1854 la scoperta di una polla d’acqua salata favorì la progettazione del complesso termale da parte dall’ingegnere A.B., e nei primi del Novecento lo stabilimento venne costruito e divenne subito uno dei luoghi più esclusivi ed eleganti della città. La decadenza di questo magico luogo cominciò quando, nel 1968, un incendio danneggiò parte della struttura.
La costruzione di un orrendo cavalcavia, nei primi anni Ottanta, contribuì definitivamente al suo declino. Il complesso centrale è architettonicamente simile a un tempio dalla pianta ottagonale. Presenta tre ampie sale a cui si accede da un porticato con soffitti a volta. Il salone centrale è corredato da un grande lucernario mentre l’esterno è impreziosito da splendidi stucchi Liberty. In una stanza adiacente, i soffitti sono decorati da meravigliosi affreschi ornamentali. Sono ancora visibili alcuni frammenti di mosaici dai colori cangianti e alcuni capitelli floreali che, ormai, sono solo un flebile ricordo del passato glorioso delle terme. Oggi purtroppo il luogo gode di una pessima nomea: era fino a pochi anni fa uno dei punti nevralgici dello spaccio cittadino, dimora di senzatetto e zona di scarichi abusivi. Negli anni è stato vandalizzato e sono stati appiccati diversi incendi. Il progetto di rivalutazione è stato lanciato nel 2005, ma fino a ora solo i giardini sono stati recuperati, mentre la struttura è stata sigillata in attesa di lavori che ancora non sono partiti.
L’ultima partita

© Christian Goffi
Dove: Marche – Costruzione: fine anni 60 – inizio anni 70
(testo di Christian Goffi) Sono le 9 di un sabato mattina nel Centro Italia, quando durante la nostra esplorazione giungiamo a davanti a questa bellissima villa abbandonata. Esternamente si presenta come una tipica costruzione degli anni compresi tra i Sessanta e i Settanta. Vedendola così non sembra un gran bel vedere, però sappiamo essere appartenuta a un medico importante, molto conosciuto in zona; quindi, gli interni potrebbero riservare notevoli sorprese. Varchiamo la soglia d’ingresso. È completamente aperta. Una volta all’interno ci accoglie un arredamento splendidamente conservato, seppure polvere e qualche calcinaccio abbiano ricoperto le superfici dell’abitazione. Tra le stanze si trovano moltissimi oggetti, ancora ben riposti: bottiglie nelle dispense, abiti appesi ordinatamente negli armadi…
Verrebbe da chiedersi: è realmente tutto abbandonato? Ce lo hanno confermato i vicini prima che entrassimo nell’edificio: dalla morte dei proprietari nessuno è più venuto a fare manutenzione. Gli intonaci si staccano dal soffitto e il giardino è divenuto una giungla. Tra le stanze più belle l’ampia zona giorno, che colpirebbe ogni visitatore. Al piano superiore si trova l’ufficio. Sulla scrivania, di inestimabile pregio, ancora presente un antico mappamondo in legno. Scendendo al piano interrato, la sala da biliardo, adibita precedentemente a libreria. Viene da pensare che i giocatori possano tornare da un momento all’altro per concludere la loro partita. Ultima sorpresa, nel garage: qui ci aspetta una vecchia 500L bianca e il corredo da sposa della signora che viveva qui.
Articolo pubblicato sul numero di gennaio-febbraio 2024 di Voilà – Acquistalo in edicola o scarica la tua copia da App Store o Google Play