Se fuori dall’Italia si chiede il nome di un vino italiano difficile che tra i primi tre non salti fuori il nome Chianti, Montalcino o Morellino. Se poi andiamo a fondo, cosa c’è di più rappresentativo per i gourmet di tutto il mondo del Tignanello Antinori? E cosa di più allegro e conviviale del vino dei Colli Romagnoli? Credeteci o no, alla base di tutti questi vini c’è sempre e solo lui, il nostro vitigno campione sui mercati del mondo e sulle nostre tavole, sua divinità il Sangiovese, il sangue di Giove.
Da dove vieneOrmai è appurato che le diatribe tra toscani e romagnoli che ne rivendicano la paternità sono del tutto fuori luogo. Il nome pare derivi da Sanzvè in romagnolo, anche se c’è una parola analoga nella lingua degli antichi Etruschi, ma le vere origini di questo vitigno sono nel Ciliegiolo, tuttora diffuso nella Toscana del sud, che deve il suo nome alla forma degli acini e un po’ al profumo che emana, e da una strana coppia napoletana-calabrese, il Palummina Mirabella e il Calabrese Montenuovo (ormai quasi scomparsi).Tutti i Sangiovese attuali derivano da mutazioni puntiformi di un unico ancestrale, il che significa che, rispetto ad altri vitigni come Merlot, Cabernet o Nebbiolo, ha una grandissima variabilità e che, anche all’interno di un vigneto di sangiovese proveniente dallo stesso ceppo, ci possono essere piante molto diverse. Qui sta il vantaggio e il segreto dei molti vini a base di Sangiovese: risultano sempre vari e capaci di esprimere diverse facce. Al contempo, questa caratteristica lo rende difficile da riconoscere e da coltivare con risultati apprezzabili. In altre parole: non è mai un problema ottenere dieci chili di uva da una pianta di Sangiovese, lo è molto di più ottenerne solo uno di qualità eccezionale. Occorre evitare terreni troppo fertili, scegliere zone di collina (fino ai 4-500 metri), ben ventilate ma mai troppo fredde perché la sua maturazione è tardiva (lo si raccoglie spesso a fine ottobre) e di sole ne ha sempre bisogno, specie a settembre. Tutte condizioni che si verificano raramente, il che spiega perché è diffusissimo in Italia ma molto meno nel mondo (è il decimo vitigno per ettari coltivati, quasi tutti nel nostro Paese).
Tra Toscana e RomagnaIl vino a base sangiovese più famoso, il Chianti Classico, è storicamente sempre stato un mix di vitigni (oltre al Sangiovese che rappresenta la maggior percentuale), cosiddetti complementari, sia autoctoni rossi (come Ciliegiolo, Colorino, Canaiolo, Malvasia nera) sia di uve bianche (Trebbiano e Malvasia, adesso non più ammesse) e, negli ultimi anni, sia di varietà internazionali alloctone come Merlot, Cabernet, Syrah. Etimologicamente non si dovrebbe usare mai il Sangiovese mescolato con altri vitigni, in teoria infatti il sangue di Giove ne uscirebbe contaminato. Ma solo in Romagna si è sempre bevuto un Sangiovese “puro”. In Toscana ci si è arrivati più tardi, dopo secoli di Sangiovese tagliato con altri vitigni. E fu Biondi Santi, farmacista, a dimostrare al mondo che si poteva ottenere un grande vino lavorando solo il Sangiovese e invecchiandolo a lungo nel 1885 con la prima bottiglia di Brunello di Montalcino (dal nome locale di una tipologia di Sangiovese detto grosso per via della buccia molto spessa e ricca di sostanza).
Meglio soloSono molto pochi i luoghi dove il Sangiovese può dare grandi vini se vinificato da solo, Montalcino appunto, e qualche vigneto nella zona del Chianti Classico che spesso escono sul mercato solo come Toscana Igt (il famoso Flaccianello a Panzano in Chianti, 99 punti su Wine Spectator quest’anno, il Cepparello di Isole e Olena e altri produttori come Badia a Coltibuono a Gaiole e Montevertine a Radda in Chianti con il celeberrimo Pergole Torte). Molti di questi Sangiovese 100%, che adesso potrebbero essere etichettati come Chianti Classico, all’epoca della loro nascita non potevano riportarlo in etichetta perché fare un Chianti con solo Sangiovese era addirittura proibito!Ma grandissimi vini sono anche i Chianti Classico di oggi con Sangiovese completato da altri vitigni e l’esempio più rappresentativo è certamente il Castello di Ama con i suoi cru Bellavista e Casuccia. E, poco più in là, a Montepulciano il Sangiovese dà vita al Nobile, uno dei vini più grandi d’Italia con Sangiovese 80-90% e il restante con Canaiolo e Colorino (e sempre più spesso Syrah, Merlot e Cabernet) e qui parliamo di Bindella, Contucci, Poliziano, Tenimenti Angelini…Accenniamo poi solo velocemente alla grandissima fortuna che hanno i vini ottenuti da Sangiovese per una buona parte (dal 70 al 80%) con una componente importante di uve internazionali: sono nati così il Vigorello San Felice, il Tignanello Antinori (ancora oggi il più venduto nel mondo in questa categoria), il Camartina di Querciabella, il Corbaia di Castello di Bossi, il Siepi di Castello di Fonterutoli, l’Acciaiolo di Castello d’Albola. Infine, forse inferiore in quanto a blasone ma non certo come potenzialità, la Maremma con il Morellino di Scansano, da sempre Sangiovese insieme a Ciliegiolo e Alicante, l’uva più diffusa al mondo, analogo al Cannonau sardo e alla Grenache francese (vedi Poggioargentiera e Fattoria le Pupille).In Romagna invece grande spazio al Sangiovese da solo a dare vini molto ricchi e più immediati, spesso più fruttati e balsamici, con gli ottimi esempi di Tre Monti con il suo Thea Riserva, il Domus Caia di Stefano Ferrucci (ottenuto da Sangiovese passito in stile Amarone), Drei Donà Tenuta la Palazza e il sempre ricchissimo Avi Riserva prodotto dalla comunità di San Patrignano che trovate ovunque ma che potete anche degustare nello splendido ristorante Vite da poco inaugurato proprio vicino alla comunità BPdi recupero. Altrove in Italia ritroviamo spesso il Sangiovese come controparte (Lago di Garda e Puglia) e solo occasionalmente (per esempio in Umbria nel Torgiano Rosso Riserva di Lungarotti) lo si degusta a livelli di qualità molto elevata. Come esperimento, da ricordare l’ottimo Brut rosè, ovvero spumante metodo classico, ottenuto da Sangiovese a Cortona da Baracchi: ha la particolarità di avere i lieviti ancora nella bottiglia e necessita di essere aperto con la tecnica detta sabrage ovvero colpendo il collo della bottiglia con un sciabola, non proprio adatto a tutti i salotti!
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