Lume di Luigi Taglienti: oltre i soliti canoni

Un ristorante stellato che non ti aspetti, nato in una zona di Milano in riqualificazione, all’interno di una struttura post industriale dove dominano il bianco e la luce

Uno sfolgorante bianco, un Lume che fa splendere una ex periferia dismessa di Milano e una struttura post industriale dedicata alla ceramica che rinasce come ristorante di classe assoluta, in mano a uno dei più talentuosi e stellati interpreti della nuova cucina italiana: è il nuovo progetto di Luigi Taglienti, che dalla Liguria ha trovato da anni casa a Milano con un successo crescente di pubblico e di critica.

Il suo nuovo locale è di un bianco accecante: come mai questa scelta?La luce è stata il primo fattore emozionale e lo abbiamo capito appena entrati: dai lucernai del soffitto entrava una luminosità naturale bellissima e abbiamo deciso che questa, insieme al bianco, dovesse essere centrale. Il bianco non è semplice, soprattutto in questa struttura post industriale di Richard Ginori del 1921, che andava già oltre i soliti canoni per un ristorante importante. Siamo in una zona periferica che si sta inserendo nel tessuto urbano di Milano, in un cortile senza affaccio su strada: è un concetto di destination in città.

Il marchio a fuoco della sua cucina sono il limone, gli agrumi e l’acidità in genere, terreno intrigante ma scivoloso…L’acidità si è sviluppata nel tempo, ma era già intrinseca nel mio palato. Ora la uso per fornire un fattore di dinamismo ai piatti. All’inizio era avanguardia, ora continuo a sviluppare questa firma, perché è nelle mie corde e non la seguo come moda, ma sono felice di averla anticipata. L’acidità è concetto futurista, in un certo senso, e a me piace che oggi sia un concetto “contemporaneo” nella cucina.

L’acidità è di gran moda anche nel vino: come si sposano queste etichette con la sua cucina? Cerco di creare mia proposta in funzione del cibo e delle sue caratteristiche. Acidità del vino e del piatto spesso nel palato non si sommano come pensiamo, ma piuttosto si integrano per dare sapidità più che acidità in senso stretto.

L’Orto di Lume ha tenuto banco dalla primavera all’estate e poi anche nello scorso mite autunno: come è stata l’esperienza di un orto in città all’interno del quale poter mangiare? Orto ha avuto grande successo, perché si trova in una vecchia corte di palazzi, una voliera ottocentesca bianca con quattro tavoli attorniati da piante ornamentali, sei agrumi diversi, pere, mele, uva, sei tipi di pomodori, zucchine trombetta, erbe aromatiche. È una situazione insolita in città, che amplifica l’esperienza Lume anche all’esterno. Non molti possono vantare uno spazio simile a Milano. Inoltre, mangiare avvolti dai profumi delle erbe è rilassante.

Via G. Watt, 3720143 MilanoTel. 02 80888624

lumemilano.com

Nella sua cucina campeggia un forno a carbone: quali sono le preparazioni più intriganti per cui lo utilizza? Lo sfruttiamo per rifinire i prodotti con un aroma di legno. In questo campo una preparazione interessante è il limone alla brace, che viene cotto fino a diventare nero, frullato e poi usato come ripieno di un raviolo di limone bruciato con acqua di chinotto e basilico.

Il suo piatto più bianco è Bianco e nero di seppia con una riduzione di agrumi, panna cotta ai ricci di mare, sfoglie di seppia, spaghetto soffiato e olio al peperoncino. Come è nato? Da un’intuizione. Stavo mangiando uno spaghetto al nero di seppia in una trattoria vista mare, in Sicilia. Non mi è parso ben calibrato, risultava troppo dolce. L’idea è stata allora di decostruire la ricetta classica, mantenendone la croccantezza usando uno spaghetto soffiato. Siamo consapevoli che è piatto di epoca diversa, ma è nel menu “classico” perché fa parte della nostra storia.

Nel suo menu tornano spesso gli odori della sua terra, la Liguria, come il chinotto o la borragine. Ce ne sono altri che dovremmo imparare a conoscere? L’esempio perfetto è il pesce Morone: nessuno sapeva cosa fosse, oggi invece lo apprezzano in tutta Milano (e in Romagna) e anche tanti colleghi lo stanno utilizzando.

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