Quel dolce, pungente Nebbiolo

Vigneto dal fascino antico, è una presenza immancabile nella cantina di ogni intenditore. Scopriamone le declinazioni più ortodosse − che hanno rivalutato il suo gusto spigoloso mettendo da parte la tentazione di ammorbidirlo in barrique − e le nuovissime sorprendenti bollicine

Delle tanto decantate uve italiche, il vitigno che racchiude il fasci­no più antico è sen­za dubbio il Nebbio­lo. Già dal nome affa­scina, e non c’è nessun bevitore di quali­tà che non arrivi a sentenziare che non ne potrebbe mai fare a meno: diafano eppu­re potente, a volte appena rosa chiaretto e spesso più granato che porpora, eppure di una giovinezza lunghissima, sua maestà il Nebbiolo negli ultimi anni ha comin­ciato anche a scrollarsi di dosso quel non so che di ancien régime che lo ha sempre ghettizzato in favore di concorrenti più fa­cili, ma meno emozionanti. E si è rafforza­to nelle sue interpretazioni più ortodosse, riprendendosi dalla sbandata degli anni ‘90 con l’uso massiccio della barrique per arrotondare il suo gusto, spigoloso per i non adepti al culto.

Il Nebbiolo è sempre stato, grazie alla sua carica naturale polifenolica, un’uva idea­le per i vini di Barolo e Barbaresco, le due denominazioni Docg che lo prevedo­no come unico vitigno: da sempre sono il re e la regina dei nettari non solo pie­montesi, ma forse addirittura italiani. Dif­ficile trovare altrove, forse solo in Tosca­na per il Sangiovese tra Chianti Classico e Brunello di Montalcino, due denomina­zioni così vicine e ugualmente blasonate. Ma il Nebbiolo è capace, sempre in Pie­monte, di dare vita anche al Roero, una Docg che che negli ultimi anni si è rita­gliata uno spazio nel cuore degli appas­sionati. Come testimoniano i tanti premi raccolti da Giovanni Almondo e da Ca­scina Ca’ Rossa con il loro Mompissano Riserva 2012. Oppure di dare vini austeri ma elegantissimi nel cosiddetto Alto Pie­monte e quindi Lessona (con i vini del­la famiglia Sella), Carema (con il famo­so Etichetta Bianca 2011 di Ferrando), Ghemme (Torraccia del Piantavigna), Gat­tinara (Travaglini e Antoniolo i nomi più noti in zona). Oppure ancora di dar luce a quel miracolo che è il vino in Valtellina, tra coltivazioni eroiche che oggi rinasco­no con Ar.Pe.Pe, Dirupi, Mamete Prevosti­ni e Nino Negri.

Se guardiamo al Barolo e Barbaresco, di­venta difficile fare una lista dei produttori più dinamici. Limitandoci ai Barolo 2011, appena arrivati in enoteca, possiamo fare i nomi di Vajra con il Ravera, Roberto Voer­zio con il Brunate, il Monvigliero di Paolo Scavino, Luciano Sandrone con Le Vigne, Giuseppe Rinaldi con il Tre Tine, Giaco­mo Conterno con Cascina Francia, Cogno e il suo Ravera, il Sarmassa di Brezza. Più due fuoriclasse come Bartolo Mascarello con un Barolo 2011 praticamente perfetto e il sontuoso Romirasco di Aldo Conterno. A questi potremmo aggiungere il nuo­vissimo Cannubi di Damilano, uscito con una versione inedita Riserva 2008. Per il Barbaresco, di scena con la 2012, men­zioni speciali per Gaja, Ceretto e Giacosa (questi ultimi due con il cru “Asili”) e altri forse meno noti – ma non meno eccelsi – come Rizzi, Sottimano, Giuseppe Corte­se, Dante Rivetti e Ca’ de Bajo.

Ma la vera rivoluzione è quella dei vini ot­tenuti da Nebbiolo vinificato in bianco e metodo classico: bollicine fini e persisten­ti, ma dotate della forza tipica del vitigno. I pionieri qui sono stati Erpacrife prima ed Ettore Germano poi, che lo usa in parte per il suo Alta Langa (la Docg piemontese per i vini metodo classico dove però Pinot nero e Chardonnay sono in maggioran­za). A loro si sono aggiunte con il progetto “Nebbione” le cantine Travaglini di Gattinara (con lo spumante Nebolé), Canti­na Reverdito, Enrico Rivetto (con Kaskal), Franco Conterno (con il NaPunta), Casci­na Ballarin nelle Langhe e La Kiuva dal­la Val d’Aosta. Dopo 40 mesi sui lieviti, sono pronte ad uscire sul mercato le bolli­cine targate 2010 per un totale di 12 mila bottiglie: elemento a comune di queste aziende il fatto di usare per la vinificazio­ne in spumante solo alcune parti dei grap­poli di Nebbiolo destinati ai grandi rossi di Langa, un metodo che consente di mi­gliorare la qualità delle uve che prosegui­ranno la maturazione in pianta e di utiliz­zare quanto viene potato. Oltre a questo gruppo di lavoro, tanto l’impegno anche per Cuvage, che con il suo Brut Rosè ha addirittura ottenuto la medaglia d’argento agli Champagne & Sparkling Wine World Championships (Cswwc), creati dal gior­nalista inglese Tom Stevenson e dedicati ai metodo classico di tutto il mondo. Cuva­ge Rosè è uno spumante che punta sulla finezza e sull’eleganza del vitigno: ha ri­cordi del Nebbiolo che tutti conosciamo, in alcuni tratti del naso tra floreale di rosa molto piacevole, arancio rosso e tocchi di speziatura fine. Una bollicina fine e deli­cata, ma anche un’idea di tannino appena accennato che richiama il Nebbiolo sen­za enfatizzarlo.

Per approfondire, segnatevi già in agenda il prossimo luglio, quando Nebbiolo e i suoi fratelli torneranno al festival Collisio­ni, proprio a Barolo (Cn). Intanto, il Pro­getto Vino è partito per un tour in Asia, ac­compagnato da un portale online per ap­profondire in maniera moderna le tante storie di queste zone patrimonio Unesco. Compreso un video ideato da Wine Cult in 3D immersivo, l’ultima novità di Face­book. Altro che ancien régime.

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