Nella cucina italiana di qualità si fa largo una generazione di giovani chef, non ancora trentenni, che hanno saputo far tesoro delle lezioni dei grandi protagonisti del recente passato. E le hanno inserite in un enorme lavoro di recupero della tradizione e attualizzazione delle proposte regionali. Luca Abbruzzino, giovane dell’anno per la guida Espresso nel 2015 e già premiato con la stella Michelin grazie al lavoro con il padre Antonio a Catanzaro, ci fa appassionare a una Calabria mai così ricca di talenti e fervore enogastronomico. Territorio, idee, progetti, grande sensibilità per la materia prima, umiltà, ma anche tanta voglia di guardare avanti senza paura di proporre novità: il tutto nel ristorante di famiglia che fa da incubatore al suo talento.
Neanche 26 anni e già una stella sulla casacca: come è cambiata nell’ultimo anno la sua vita? Perché dovrebbe essere cambiata? È un grande riconoscimento, che ti dà stimoli per far sempre meglio, ma non è cambiato nulla: vivo sempre in una terra fantastica, faccio quello che mi piace. Questo mi basta…
Antonio AbbruzzinoVia Fiume SavutoCatanzaro (Cz) Tel. 0961 799008
Nasce in una famiglia di ristoratori, ha mai pensato di fare altro? Da piccolo sognavo di fare l’astronauta, poi il calciatore. Dopo il liceo scientifico mi sono iscritto all’università, ma alla fine ho deciso di prendere questa strada. Ho seguito una passione che non è nata in un momento preciso, ma penso sia cresciuta piano piano negli anni, guardando lavorare mio padre.
Ci racconta la genesi di uno dei suoi piatti più famosi, il “Perché no?”: fusilloni, ‘nduja, pecorino e ricci di mare? È nato da un’intuizione. Quando poi lo abbiamo assaggiato, il primo pensiero è stato: «Perché no? Stanno veramente bene insieme…». E da lì è nato il nome. Poi è un po’ la mia filosofia abbinare terra e mare in maniera compiuta e di alto livello, un modo per materializzare il sogno anche di tanti clienti che non sanno scegliere tra i due.
La terra dei due mari ha grande materia prima di pesce, ma anche di carne. Quali sue creazioni raccontano al meglio queste due anime della sua regione? Questa è una terra fantastica, con un potenziale forse unico in Italia. In un’ora dal mare si può arrivare a 1.800 metri di altitudine. È ovvio, quindi, che possa offrire un’infinità di prodotti. Una volta scelti i migliori, per esaltare sapori genuini e strepitosi come i nostri, ci vuole veramente poco. Anzi, è meglio lavorarli il meno possibile. Per esempio, il baccalà del golfo di Squillace, le carni dei vitelli autoctoni, i ricci di mare, la ’nduja: tutti “giacimenti” naturali che attendono solo di essere preparati con una sensibilitàmoderna.
Oltre alla ‘nduja e alla cipolla di Tropea, quale altra grande risorsa gastronomica calabrese ha i numeri per diventare un ingrediente importante per la cucina italiana?Citarne una sarebbe troppo riduttivo. La Calabria, nonostante il pensiero comune, rimane ancora una terra poco conosciuta. Salumi, formaggi, frutta, pesce e carne di allevamenti locali hanno grandi potenzialità, così come gli agrumi: in particolare, il bergamotto e la clementina.
Si fa un gran parlare dei vostri dolci e del loro modo di chiudere in maniera leggera un pasto. È una scelta voluta e strategica o solo merito della mano del vostro chef patissier, Matteo Morello? Sicuramente tutte e due. Personalmente non amo i dolci, soprattutto quelli troppo stucchevoli. Per questo ci metto sempre del sale o delle note che diano acidità. Matteo è un grande: ha iniziato da noi appena finita la scuola e oggi, a soli 23 anni, ha già grandi numeri.
Che cosa ha imparato nelle cucine di due grandi chef come Crippa e Uliassi?Ho imparato qualcosa di diverso da ciascuno di loro. Devo molto a questi maestri, ma ce ne sono stati tanti altri. Uno su tutti è Piergiorgio Parini, dell’Osteria del povero diavolo di Torriana (Rn).
Potendo scegliere, dove vorrebbe andare per un’esperienza all’estero?Presto andrò a Parigi da Piege e, magari tra un po’ di tempo, mi piacerebbe studiare anche in Spagna. La carta dei vini e la Calabria, una terra dove il fenomeno-vino ha visto finora poco fermento. Le cose stanno cambiando? Sì è vero, c’è stato poco interesse. Ma è anche vero che le cose stanno cambiando. Nel nostro ristorante cerchiamo di valorizzare il più possibile i vini del territorio, ci sono molte piccole cantine che stanno lavorando davvero bene. Un nome che mi viene in mente adesso è Libici, il Magliocco canino di Casa Comerci, un vitigno di cui sentiremo sempre più parlare nel prossimo futuro, quando di certo la Calabria non sarà più solo identificata con il Cirò.
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