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Gusto

Monte delle Vigne: non solo Lambrusco

Andando controcorrente, in una zona famosa per la produzione di vini frizzanti Monte delle Vigne ha puntato fin dalla nascita su due vitigni autoctoni, ma declinati in versione ferma. Ecco perché ha avuto successo

architecture-alternativo Da sinistra: Lorenzo Numanti, a.d. di Monte delle Vigne, Paolo Pizzarotti, presidente e proprietario della società, e Andrea Bonini, sovrintendente alla produzione in vigna e in cantina

Nella sua Cronica, tra le fon­ti più interessanti sulla sto­ria dell’Italia centro-setten­trionale del 13esimo secolo, Fra’ Salimbene de Adam de­finiva le colline di Ozzano Taro, nel parmense, «Li Monti delle Vi­gne». Questa zona era, infatti, già allora rinomata per l’arte della vinificazione. Non sorprende, dunque, che nel 1963, acquistando il podere Villa di Monticel­lo, Pietro Pizzarotti sognasse di riporta­re la vite in quelle terre. Un sogno rima­sto per lui irrealizzato, ma fatto proprio dal figlio Paolo, che nel 2004 lo ha tra­sformato in realtà entrando come socio di maggioranza nella cantina confinan­te, Monte delle Vigne, appunto.

L’ingresso della Famiglia Pizza­rotti in Monte delle Vigne

Nata nel 1983 con appena 7 ettari di vi­gneti nel cuore della Doc Colli di Par­ma, questa piccola realtà era già sali­ta a quota 20 nel 2000, con l’aggiunta del podere Bella Foglia, ma è stato pro­prio l’ingresso della famiglia Pizza­rotti che le ha dato nuovo slancio. Già dal 2005 sono stati piantati nuovi etta­ri di vigneto per raggiungere i 40 pian­tati (60 complessivi). Fin dalle origini la scelta è stata quella di “uscire dagli schemi”.

«Siamo viticoltori parmen­si audaci e contemporanei», raccon­ta l’amministratore delegato, Lorenzo Numanti. «Se la nostra zona è famosa per la produzione di vini frizzanti, spe­cialmente il Lambrusco, a cui in passa­to si riconosceva poco valore, la nostra cantina ha invece scelto di dedicarsi sì a due vitigni autoctoni – Barbera e Mal­vasia aromatica di Candia –, ma di de­clinarli in vini fermi. Siamo stati i primi a introdurre sul mercato locale un ros­so fermo, con il nostro Nabucco», aggiunge Numanti, «per poi proseguire nel 1999 con il Callas, bianco dedicato alla famosa cantante d’Opera».

I vini prodotti da Monte delle Vigne

I fiori all’occhiello Nabucco e Callas

Una scelta controcorrente, ma dettata dal­la consapevolezza del potenziale di espressione di quello spe­cifico terroir. Con il tempo, poi, la produzione si è ampliata non solo in termini di quantità, ma anche di varietà, aggiun­gendo Sauvignon, Chardonnay, Merlot, Croatina, Lambrusco Maestri e Cabernet Franc. All’ampliamento nella coltivazio­ne si è affiancato quello produttivo. Nel 2006 è stata, infat­ti, inaugurata la nuova cantina ipogea. Il progetto, disegnato e costruito dall’architetto Fiorenzo Valbonesi perché si inte­grasse con lo scenario naturale circostante, si sviluppa su tre livelli per mantenere intatta la qualità della materia prima at­traverso la pigiatura gravitazionale; mentre la struttura ester­na rende omaggio alla vicina via Francigena, con il suo rive­stimento in mattoni di terracotta che richiama le strutture medievali della zona.

Inaugurata nel 2006, la cantina di Monte delle Vigne è ipogea, ossia interrata, per impattare il meno possibile sull’ambiente circostante. E la struttura, con il suo rivestimento in mattoni di terracotta, richiama le strutture medievali della zona

La sostenibilità della cantina ipogea

Una scelta, quella di realizzare una can­tina ipogea, ossia interrata per impatta­re il meno possibile sull’ambiente cir­costante, perfettamente in linea con l’attenzione alla sostenibilità che è alla base della filosofia di Monte delle Vi­gne. Non a caso la struttura è dotata di impianto fotovoltaico da 40 kW, siste­ma solare termico e di recupero delle ac­que piovane per l’irrigazione, oltre che di procedure per il riciclo dei materia­li. E l’obiettivo per il prossimo futuro è quello di aumentare l’utilizzo di energia elettrica proveniente da fonti rinnovabi­li.

Del resto, il pieno rispetto della natu­ra che circonda la tenuta è una condizio­ne indispensabile per il mantenimento della biodiversità del territorio e del be­nessere delle generazioni presenti e future.

La conversione al biologico dei terreni

Per questo nel 2016 la cantina ha iniziato la conversione al biologico dei suoi terreni. Il progetto è stato portato a compimento nel 2021, quando è sta­ta realizzata la prima vendemmia inte­ramente in biologico e certificata Icea (Istituto per la Certificazione Etica e Ambientale). Già da molti anni, infatti, l’azienda limita l’utilizzo di prodotti fitosanitari in vigna e predilige tecniche naturali e poco invasive, come il sovescio per il controllo delle erbe infestanti. Del resto, come sottolinea Numanti, «i terreni vitati che fanno parte della cantina e che sono stati acquistati dal padre di Paolo Pizzarotti nel 1963 erano all’inizio dedicati all’allevamento di frisone olandesi. I pascoli seguivano già all’epoca un regime biologico e questo ha consentito di preservare la qualità e la salubrità dei nostri terreni. La percezione di questo valore, inteso anche come patrimonio per la comunità, è stata la linea guida che ci ha spinto a lavorare secondo le logiche di sostenibilità ambientale. Una sostenibilità che non si è limitata solamente al vigneto, ma che ha voluto il suo naturale riflesso anche nella nuova cantina, costruita nel 2004. Oggi raccogliamo i frutti di un lungo percorso in cui abbiamo creduto fortemente, vedendolo riconosciuto e apprezzato su un mercato sempre più sensibile alla tematica».