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Gusto

Bon Wei: Cina gourmet

Accostato al Capodanno, simbolo di calore e fortuna, al ristorante di Milano il rosso lacca vive 365 giorni l’anno. Merito di una location raffinata, ma anche di piatti ricercati e fuori dal comune

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Il rosso per noi occidentali è il co­lore del Natale ma a livello globa­le, in particolare in Cina, identifica il Capodanno con i suoi riti, usi e costumi. Da Bon Wei a Milano, il ristorante cinese gourmet più im­portante del nostro Paese, la vera tra­dizione gastronomica della Repubblica Popolare rivive ogni giorno con mate­rie prime di alto livello e celebra l’im­portanza del rosso. Con l’avvicinarsi dell’anno del Topo*, siamo andati a pro­vare le specialità della casa, incontran­do lo chef, Zhang Guoqing, e il diretto­re di sala e socio, Zhang Le.

Cosa rappresenta il rosso per la Cina? Che effetto fa agli italiani il vostro locale?ZHANG LE Per noi il rosso è calore, for­tuna e guadagno. Durante il capodanno cinese vengono distribuite buste rosse come portafortuna proprio con questo augurio. L’origine del capodanno risa­le a un’antica leggenda, che racconta di un mostro, Nian, solito uscire dalla sua tana una volta all’anno per mangiare es­seri umani: l’unico modo per salvarsi era spaventarlo con rumori forti e il colore rosso, di cui aveva terrore. In generale, nell’immaginario degli Italiani la Cina è rossa. Non c’è colore più iconico. Chi entra nel nostro locale averte una sensa­zione di eleganza e calore.

Per anni, la cucina cinese è stata sinonimo di prezzi bassi e qualità omogenea. La vo­stra proposta è più raffinata, come siete riu­sciti a comunicare questa differenza?ZL Innanzitutto con stoviglie di alta gamma, poi con un servizio di pari li­vello. La scelta della materia prima e la bravura dello chef hanno completato l’opera, insieme a un attento lavoro di comunicazione.

La cucina cinese è un mosaico di diverse tradizioni: in quali si trova più a suo agio?ZHANG GUOQING Delle otto regio­ni gastronomiche in cui è stata divisa la Cina, la mia preferita è ovviamente lo Zhejiang, da dove provengo. Ma cono­sco bene anche la cucina di Guandong- Canton, perché da giovane ho lavorato molto da quelle parti, dedicandomi an­che alla preparazione dei dim sum. La tradizione cantonese è la più diffusa in Italia e sono ormai popolari piatti come il riso alla cantonese o il pollo con le mandorle, ma questa cucina include an­che specialità come il pollo stufato servi­to freddo in salsa di zenzero e cipollotti, gli infiniti dim sum e la zuppa di wan-ton con i ravioli alle castagne d’acqua.

Quale cucina cinese dovremmo cono­scere di più e quale forse non riusciremo mai a capire?ZQ Quella Cantonese e di Guandong, proprio per le ragioni appena dette: ci sono specialità sconosciute, altre diffi­cili da comprendere per gli italiani. Dice un vecchio detto cantonese: «qualsia­si animale la cui schiena guardi il sole può essere mangiato». Oltre a maiale, manzo e pollo, qui si mangiano serpen­ti, insetti, vermi, zampe di gallina e lin­gua d’anatra.

Il rosso nei piatti ha un valore nutritivo ol­treché simbolico in Cina?ZQ Utilizziamo peperoni, pomodori, sal­sa chili e salsa agrodolce che sono tutti di colore rosso. Non tanto per il valore nu­tritivo, ma per il gusto e qualche volta per­ché un tocco di rosso al piatto è segno di buona fortuna. Dopo nove anni di attività a Milano, possiamo dire di aver educato molti dei nostri ospiti. Cerchiamo di fare una cucina filologicamente corretta, non edulcorata o adattata.

Quali vini funzionano meglio con i vo­stri piatti?ZQ Constatiamo una netta prevalenza di bollicine per i dim sum, che si abbinano sempre bene per versatilità. Tra i bian­chi prediligo aromatici e fruttati, che si accompagnano all’agrodolce e agro pic­cante (Chardonnay, Muller Thurgau, Tra­miner), mentre consiglio vini minerali e bianchi barricati per piatti più gustosi e saporiti. Versiamo tanto Pinot Nero per pietanze sapide, che con la sua legge­ra acidità tagliano la grassezza del piatto. Per il piccante puntiamo sui rossi come i toscani Tignanello e Guado al Tasso, op­pure sui vini delle Langhe o Barbaresco. Ma la nostra carta è in continua evoluzio­ne e guarda anche all’estero.

* Articolo pubblicato su Business People, dicembre 2019