Se la Biennale di Venezia è il termometro dello “stato dell’arte” del mondo contemporaneo, possiamo tirare un sospiro di sollievo: gli artisti ci sono, e sanno come far sentire la loro voce in questo complicato mondo. Merito – va detto – del curatore, l’americano Ralph Rugoff, personalità stimatissima nel settore, che ha scelto l’intrigante titolo May You Live In Interesting Times (Possa tu vivere in tempi interessanti, la mostra all’Arsenale e ai Giardini della Biennale è aperta fino al 24 di novembre). Una settantina i nomi chiamati a confrontarsi sul tema: ciascuno con due opzioni a disposizione, ovvero due lavori da presentare: un modo per dirci che l’arte «non può che indicare una visione parziale e non assoluta della realtà» (Rugoff dixit).
Abbiamo dunque la mostra Proposition A (proposta numero uno), che segue le lunghe corderie dell’Arsenale, e una Proposition B (proposta numero due) che si concentra nel Padiglione dei Giardini: due ipotesi di risposta diverse tra loro, perché diverso è lo spazio in cui le opere si situano. Più raccolto e istituzionale quello del Padiglione centrale, monumentale quello dell’Arsenale, ben allestito con quinte teatrali di legno. Il risultato è notevole: coinvolgendo artisti perlopiù emergenti (molti da Paesi extraeuropei: alta la percentuale di africani e sudamericani), con un occhio di particolare riguardo verso le donne (quest’anno, per la prima volta nella storia, in maggioranza) e per gli artisti impegnati (sull’ambientalismo, il rispetto delle minoranze, l’identità di genere), questa 58esima Biennale d’arte veneziana dimostra che la creatività contemporanea sa come interpretare il mondo.
La nebbia creata dall’italiana Lara Favaretto accoglie il visitatore all’ingresso (foto in apertura), perché vero artista è chi istilla il dubbio: dentro, tra le altre, troviamo le potenti fotografie di Zanele Muholi, attivista sudafricana che si batte per i diritti delle persone omosessuali perseguitate nel suo Paese, il “robot impazzito”, un’Intelligenza Artificiale incapace di portare a termine il lavoro, ovvero pulire il pavimento, della coppia cinese Sun Yuan e Peng Yu (il lavoro più fotografato della mostra), le installazioni video del grande Hito Steyerl, che recupera gli appunti di Leonardo da Vinci per parlarci della fragilità di Venezia e le poetiche sculture all’uncinetto delle sorelle australiane Christine e Margareth Wertheim, che denunciano la distruzione della barriera corallina.
Come ogni due anni, il “miracolo veneziano” si è compiuto. In barba alle oltre 300 biennali d’arte sparse per il mondo, quello in Laguna dimostra di essere un appuntamento imprescindibile non solo per collezionisti e direttori di musei, ma anche per il grande pubblico: regala la sorpresa di nuovi talenti da ogni angolo del Pianeta e la consapevolezza, spesso inquietante, che viviamo davvero in tempi “interessanti”.
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