Affari al ristorante: le regole da seguire

Ecco le regole d’ingaggio per trasformare un semplice pranzo o cena di lavoro – soprattutto se con commensali internazionali – in una preziosa occasione di business. La prima in assoluto? Non dare nulla per scontato. Perché quello che leggerete in questo articolo potrebbe stupirvi…

Ci sono pasti che saziano un bisogno e altri che cambiano la vita, almeno professionalmente. Fate caso all’agenda: quanti pranzi e cene di lavoro avete fissato nelle ultime settimane e quanti sono in programma? Quante volte le basi di un buon accordo sono state poste a colazione o in orario d’aperitivo? Sarà l’ambiente meno formale, quella speciale alchimia che, come scriveva Tolstoj in Guerra e pace, ci rende particolarmente soddisfatti e inclini a considerare tutti amici a fine pasto, ma quando le parti interessate di una contrattazione si spostano dalla sala riunioni al ristorante, ci sono buone possibilità che tutti ne escano soddisfatti. L’importante, però, è conoscere le regole d’ingaggio, perché fare business a tavola è un’arte da “digerire” e cambia a seconda delle occasioni e della cultura dei partecipanti. «Ho fatto tantissimi incontri di lavoro a tavola in Italia e all’estero, nei luoghi più curiosi come una colazione a buffet in un casinò a Las Vegas o una cena a base di gallina bollita in cima alle Montagne Gialle cinesi», racconta a Business People Sibyl von der Schulenburg, imprenditrice nel campo delle comunicazioni e autrice del saggio International Business Etiquette, che dedica un intero capitolo all’argomento. «In questi contesti la conoscenza di alcune regole di comunicazione e galateo sono state la cosiddetta “marcia in più”, anche se devo ammettere che non sempre è stato facile. Ho faticato, ad esempio, a dar soddisfazione all’ospite giapponese con i granchietti di fiume che scappavano dai piatti e il pesciolino rosso – anche lui vivo – da inghiottire per aiutare la digestione. Diverse volte ho sospettato che l’invito rappresentasse una sorta di sfida e vincerla ha forse contribuito a qualche successo».

I manager delle grandi multinazionali sono ormai preparati al business a tavola, ma in un mondo sempre più globalizzato anche piccoli e medi imprenditori farebbero bene a documentarsi o quanto meno farsi assistere da interpreti. «Perché in alcuni Paesi », aggiunge von der Schulenburg, «non è questione di quale forchetta usare o come mettere il tovagliolo: ci sono errori che equivalgono a insulti». In Cina, ad esempio, si versa da bere ai propri vicini, mai da soli, e bisogna ricordarsi di lasciare qualcosa nei piatti, altrimenti l’ospitante si sentirà in dovere di ordinare altro cibo. In Giappone, invece, non si deve imboccare qualcuno con le bacchette o lasciarle nel piatto (entrambi elementi del rito funerario) e occhio al brindisi, perché la gaffe è dietro l’angolo: dire “cin cin” è l’equivalente di riferirsi all’organo genitale maschile. Considerando poi che gli incontri a tavola si fanno per conoscersi meglio, ci sono regole universali che valgono ovunque: meglio evitare cibi difficili da gestire, come l’aragosta, o che macchiano facilmente e richiedono l’uso delle mani. È importante anche non presentarsi a un invito a stomaco vuoto, perché avventarsi sul piatto non sta bene. «La psicologia», scrive Sibyl von der Schulenburg nel suo saggio, «c’insegna che chi ha fame è spesso impaziente, distratto, irascibile o addirittura aggressivo. Si focalizza l’attenzione sul cibo e tutto il resto passa in secondo piano».

Se l’importanza delle regole base del galateo applicato può essere fondamentale per l’esito di un viaggio d’affari, non tutte le culture amano parlare di business a tavola, almeno non a tutti i pasti. «Per molti l’ora di pranzo è un momento di relax, uno spazio intimo », ammette l’imprenditrice. «In Giappone, ad esempio, si mangia tra le 12 e le 13 e se si vuole incontrare qualcuno in quell’orario sarà meglio si tratti di un’urgenza o di un amico, perché il tipico salary man non ama essere disturbato a quell’ora». La cena, invece, è molto ambita ed è l’occasione anche per far partecipare il top manager di un’azienda. Discorso diverso negli Stati Uniti, dove si organizzano più incontri a pranzo, perché la sera si preferisce trascorrerla in privato. «In Germania sono pragmatici e stabiliscono i termini della discussione prima di fissare l’incontro, a meno che non sia solo l’occasione per conoscersi. In Italia, e nei Paesi mediterranei e latini in generale, si ama passare il tempo a tavola e un business lunch può durare anche tre ore o più se il ristorante non chiude».

A proposito di ristorante, qual è il locale più indicato? Ovviamente dipende dall’occasione, da chi si invita e da cosa si vuole comunicare. Un luogo in cui si mangia discretamente e in fretta va bene per un incontro con il livello operativo, ma se si vuole impressionare un top manager o ricambiare un invito strategico si punta sul locale elegante in cui però non ci siano troppi tempi morti tra una portata e l’altra. «Gli orientali apprezzano ricevere qualcosa da stuzzicare appena si siedono a tavola e le lungaggini possono essere interpretate come mancanza di rispetto», precisa von der Schulenburg. «Io scelgo il locale in base alla mia esperienza e a cosa amerebbero gli ospiti, perché si possono fare errori madornali se non si sta attenti! Ricordo un top manager canadese che non mangiava mai quando lo invitavamo finché non ne capii il motivo e lo portammo in un ristorante kosher». Il locale ideale dovrebbe essere tranquillo e con un’adeguata distanza tra i tavoli, va bene l’arredamento originale, ma non troppo stravagante per non distrarre i commensali. «La brigata di sala deve essere pronta, cortese ma non assillante», aggiunge l’autrice. «Non è necessario che lo chef esca a salutare la tavolata, a meno che non gli venga richiesto, anche perché in alcune culture è considerato un semplice fornitore d’opera».

Quando è lecito parlare di lavoro in occasione di questi incontri? Durante una prima colazione il cibo può passare in secondo piano, mentre a cena non si parla di business: ci si studia e ci si fa un’idea dell’altro, i risultati si vedranno nel tempo. A pranzo, invece, si può parlare in attesa dell’ordinazione, ma poi è meglio passare allo small talk fino a fine pasto. In genere è meglio evitare tutto ciò che genera conflitti nel mondo: religioni, politica e dispute sociali. «È cortesia non indagare sulla vita privata, ma in alcuni luoghi come la Cina, ad esempio, non è scortese informarsi su vita coniugale, figli, prospettive e anche entrate economiche», afferma l’autrice. «Consiglio di restare su temi leggeri durante la prima portata, uno small talk che sia l’antipasto della conversazione: un modo per chiedere all’altro il permesso di entrare nel suo mondo. La moderna abitudine alimentare considera tre portate e la seconda è in genere quella “forte” il cui consumo occupa più tempo ed è spesso favorito da un lieve effetto rilassante dovuto all’alcol. In questa fase si possono porre le basi per una conclusione, che potrà cadere naturalmente durante il dessert, l’ultima portata».

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