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Lavoro

Otto italiani su dieci vogliono tornare a lavorare in ufficio

L’83% dei professionisti disposto a vaccinarsi pur di tornare a svolgere le proprie mansioni in presenza. Il 59% pensa di avere più opportunità di carriera se immunizzato

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Dopo più di un anno di emergenza sanitaria, ci siamo adattati allo smart working ma non mancano i lavoratori che desiderano recuperare la propria quotidianità. Secondo i risultati Randstad Workmonitor, il 78% dei professionisti vuole tornare in ufficio appena possibile, in parte per necessità lavorative ma anche per ricominciare a relazionarsi con i colleghi, uscire da una sensazione di isolamento e ricostruire l’equilibrio fra vita professionale e privata che aveva prima della pandemia. Non solo: l’83% degli italiani intervistati (+8% rispetto alla media dei paesi analizzati) sarebbe pronto a vaccinarsi, se fosse necessario per poter svolgere le proprie mansioni in presenza. Dall’indagine semestrale di Randstad sul mondo del lavoro – condotta in 34 Paesi su un campione di oltre 800 dipendenti – emerge che gli italiani, insieme a spagnoli (69%) e britannici (72%), sono anche i lavoratori più spaventati dal virus, con il 71% che non si sentirà sicuro finché le persone del proprio ambiente non si saranno vaccinate, ben 18 punti sopra alla media globale, e oltre un dipendente su due preferisce continuare a lavorare da casa fino a quando non sarà stata vaccinata la maggior parte della popolazione (53%).

Oltre lo smart working: cosa spinge al rientro in ufficio

Come già affermato, quasi otto lavoratori su dieci vogliono tornare in ufficio appena possibile, in particolare il segmento degli over 55 (85%). Un desiderio che si spiega solo in parte con le esigenze lavorative, perché, se è vero che il 50% ha una mansione che non si può svolgere da remoto e il 65% un capo che richiede di lavorare in presenza, oltre un lavoratore su due ha un impiego che consente totale o parziale flessibilità (55%) e un datore di lavoro che lascia libertà di scelta (54%). A spingere al rientro è anche il bisogno di tornare alla propria quotidianità: il 57% dei lavoratori ha nostalgia del rapporto con i colleghi, soprattutto fra gli uomini (60%) e i dipendenti 45-54enni (65%); quasi uno su quattro si sente isolato (23%), in particolare i giovanissimi (35%) e le donne (25%); e per oltre un terzo sta diventando difficile mantenere un equilibrio fra lavoro e vita privata (35%), con punte del 40% fra le colleghe e del 42% fra gli over 55. Molto meno pressanti le difficoltà “logistiche”, come la mancanza di uno spazio separato per lavorare (indicata solo dal 16%), di una connessione Internet stabile (16%), dell’attrezzatura adeguata (15%) o la condivisione dello spazio di lavoro con i figli (16%) o con il partner lavoratore smart (12%).

Gli effetti del lavoro a distanza

Per circa quattro su dieci fra coloro che lavorano in modalità agile non c’è stata nessuna influenza sulla propria produttività, né positiva (40%) né negativa (39%). Ma riguardo alla componente emotivo-psicologica del lavoro da casa il campione si divide: il 27% è meno stressato, ma il 26% ha percepito più stress in questo periodo; il 24% ha sofferto la lontananza dal proprio team di lavoro, mentre è stato un vantaggio per il 12%; il 18% evidenzia come le condizioni di lavoro siano in continuo cambiamento e per il 16% lavorare da remoto è più difficile.

I piccoli disagi del lavoro in presenza

La pandemia, però, ha cambiato anche il modo di lavorare in sede, con problemi non meno evidenti rispetto allo smart working. Ai piccoli disagi, come la necessità di dover portare sempre la mascherina (indicata dal 61% del campione) e l’autocertificazione nei periodi di mobilità limitata (17%), si aggiungono il sentirsi costantemente a rischio contagio (50%), il precario equilibrio fra vita professionale e privata (27%) e l’aumentato carico di lavoro per coprire i colleghi malati o in quarantena (22%). Per coloro che lavorano in ufficio questa scelta ha avuto un impatto più positivo (45%) che negativo (32%) sulla propria produttività. Un terzo del campione ritiene che le condizioni di lavoro si stiano adattando alle sfide poste dalla pandemia (32%), uno su cinque apprezza di poter lavorare vicino al proprio team (20%) e l’11% ritiene di avere meno distrazioni lavorando in sede. Quasi quattro dipendenti su dieci, però, hanno paura di ammalarsi e di rappresentare un pericolo per la propria famiglia (39%), il 25% è più stressato (contro appena il 6% che ha diminuito lo stress), il 26% evidenzia negativamente le condizioni di lavoro in continuo cambiamento e il 12% ritiene che lavorare in sede sia più difficile in questa fase.

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