Lavoro: perché le imprese preferiscono ancora candidati uomini

Le motivazioni sono molteplici, ma al 40% degli head hunter è stato chiesto esplicitamente almeno una volta di non proporre lavoratrici donne

Perché ancora oggi assumere donne, soprattutto tra i 25 e i 40 anni, è complesso per le aziende? Cosa porta gli imprenditori a compiere determinate scelte? Reverse, azienda specializzata nel settore della ricerca e selezione del personale, ha intervistato 50 head hunter attivi tra Italia e Germania e dieci HR manager italiani per fotografare le dinamiche reali che regolano il mondo del lavoro femminile oggi, e comprendere quali soluzioni porterebbero risultati concreti.Il dato preoccupante che emerge dalla ricerca è che al 40% degli head hunter intervistati è stato chiesto esplicitamente da parte dell’azienda cliente, almeno una volta nella loro esperienza, di non presentare candidate donne. Inoltre al 75% è successo di percepire una netta preferenza per candidati uomini da parte delle aziende, anche se non apertamente dichiarata. Infine cinque su dieci HR manager intervistati dichiarano che nel management della propria azienda esistono pregiudizi di genere. Le motivazioni sono molteplici: il periodo di maternità, il diverso approccio al lavoro, la gestione della famiglia. L’azienda risponde, infatti, che non può permettersi in alcun modo di perdere una risorsa per maternità o per la cura della famiglia ed emerge in modo chiaro la forte percezione dei datori di lavoro che la donna è il genitore a cui viene affidata maggiormente la cura dei figli, non solo durante la gravidanza e nei primi mesi dopo la nascita, ma in tutte le fasi della loro vita.Il problema nasce dal fatto che se all’inizio del periodo di maternità gli aiuti alle madri sono maggiori, con il passare degli anni diminuiscono sempre di più i sostegni a loro disposizione. Nelle scelte di ogni famiglia è sempre la madre a sacrificare gli impegni professionali quando è necessario occuparsi dei figli anche nel lungo periodo. E questo rende l’assunzione in azienda di una donna un investimento più a rischio. Le aziende più strutturate riescono ad assorbire questo rischio e a presentarsi quindi come più virtuose, mentre le pmi, eccetto alcuni casi, spesso optano per l’investimento più sicuro rinunciando ai benefici ormai accertati della diversità. Un maggior supporto dello Stato limiterebbe i permessi delle donne e attenuerebbe questa situazione.

Diffierenze al colloquio e di stipendio

Guardando ad altri aspetti, il 57% degli head hunter dichiara che durante il colloquio le donne si dimostrano più caute verso un cambio lavorativo rispetto agli uomini, mentre il 51% afferma che mostrano una minore predisposizione verso un cambio di città. Il 52% afferma inoltre che le candidate donne sono meno aggressive (per esempio: fanno meno domande, contrattano meno sullo stipendio), aspetto riscontrato anche in Germania.Il Gender Pay Gap risulta poi una situazione diffusa in tutti gli ambiti: solo due su dieci HR Manager intervistati dichiarano che nella propria azienda non esiste differenza salariale tra uomini e donne. Soprattutto se si considerano le posizioni apicali, le aziende prediligono inoltre un controllo maschile.

Non manca, per fortuna, qualche segnale di cambiamento. Il 67% degli head hunter ritiene che ci sia più sensibilità da parte delle aziende verso il tema donne/lavoro rispetto al passato. Secondo gli intervistati, oggi l’apertura e la consapevolezza nei riguardi della tematica sono maggiori rispetto a qualche anno fa, ma la situazione sta cambiando lentamente.

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