Quanto ci manca la Megaditta

Addio a Paolo Villaggio, scomparso a 84 anni. Fu mente e volto del mito del ragionier Fantozzi, un esempio per tutti per ricordarsi di inseguire i propri sogni per non farsi assorbire dalla routine quotidiana

Fantozzi va in Paradiso. Stavolta per davvero, e non solo nella finzione cinematografica. È morto a Roma l’attore Paolo Villaggio all’età di 84 anni. Era ricoverato da giorni in una clinica privata di Roma. «Ciao papà, ora sei di nuovo libero di volare», è stato l’annuncio della figlia Elisabetta con un post su Facebook. Nato il 30 dicembre 1932 da padre siciliano e madre veneziana, ma genovese fino al midollo, è stato scrittore, autore e istrione, protagonista di una stagione storica dell’intrattenimento, anche se il suo nome resta legato indissolubilmente a quello del ragionier Ugo Fantozzi.

ADDIO A PAOLO VILLAGGIO, FANTOZZI VA IN PARADISO

Il primo capitolo della saga, Fantozzi, di cui Villaggio era stato autore, arriva nei cinema il 7 marzo 1975 narrando le disavventure del ragioniere, ultima ruota del carro della Megaditta, guidata dal Megadirettore galattico e dove ogni segnale di ribellione è punito con la “crocifissione in sala mensa“. Nel ritratto dell’Italia medio-borghese degli anni Settanta, la sfortuna e i rapporti molto particolari con la moglie Pina, la figlia Mariangela e i colleghi – dal ragionier Filini all’avvenente Signorina Silvani – strappavano risate a non finire oscurando la metafora di un Paese piccolo piccolo.

Il mediocre Fantozzi, sfortunato e umiliato tanto da gettarsi con il cuore nei rari momenti di rivalsa – per poi essere regolarmente punito, come dopo la ribellione contro la Corazzata Kotiomkin – non era altri che la riproposizione della vita di fabbrica che Villaggio aveva assaggiato negli anni ’60. Solo che, capita la sua inclinazione, i superiori l’avevano messo a organizzare le feste aziendali da dove poi spicco il volo per la celebrità passando per il Derby di Milano.

PAOLO VILLAGGIO PROVOCATORE

Negli ultimi anni Villaggio era diventato un provocatore, la coscienza cattiva dell’Italia. Come scrisse di lui il critico Paolo Mareghetti «Fantozzi, come la maggioranza dell’umanità, non ha talento. E lo sa. Non si batte né per vincere né per perdere ma per sopravvivere. E questo gli permette di essere indistruttibile. La gente lo vede, ci si riconosce, ne ride, si sente meglio e continua a comportarsi come Fantozzi». La Megaditta è ancora dentro di noi? Forse sì, perché non c’è più Paolo Villaggio a ricordarci di non essere come lui.

Quella di Fantozzi era l’Italia del boom economico, in cui un ragioniere sfigato poteva mantenere la famiglia, fare le vacanze al mare e puntare all’orologio d’oro che ne sanciva il pensionamento. La Megaditta assorbiva la vita dei dipendenti, tra eventi, viaggi e attività sportive organizzate (anche senza le asperità della Coppa Cobram). Tutto è cambiato, ma forse noi non abbastanza se 85 mila persone qualificate si candidato ancora per 30 posti da vice-assistente in Banca d’Italia. Fantozzi ci serviva come capro espiatorio, come stimolo a non dimenticare i nostri sogni per uscire dalla mediocrità del cartellino da firmare e delle pratiche da sbrigare all’ufficio sinistri.

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