Come dare le dimissioni: le regole da seguire

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Le dimissioni nel mercato del lavoro sono qualcosa di fisiologico, così come le assunzioni. Finché si saranno dipendenti, ci sarà sempre qualcuno deciso a provare una nuova esperienza lavorativa o risoluto nel troncare i rapporti con l’attuale datore di lavoro. Motivazioni a parte, quante persone, però, conoscono davvero come dare le dimissioni? Che regole comportamentali bisogna seguire e quali sono i diritti che tutelano i lavoratori? Luca Furfaro, esperto di welfare e titolare dell’omonimo studio di consulenza del lavoro, ha redatto alcune indicazioni, ma anche delle norme di cui spesso non si ha consapevolezza.

Come dare le dimissioni: le regole da seguire 

La lettera di dimissioni, sottolinea Furfaro, non basta più e le comunicazioni date sui social, seppure con elevata risonanza, non hanno alcun valore legale. Le uniche dimissioni che valgono sono quelle online date attraverso il portale Cliclavoro del governo o date attraverso intermediari come il consulente del lavoro o sindacati. Questa nuova pratica è stata introdotta per tutelare i lavoratori e contrastare il fenomeno delle dimissioni in bianco, per essere quindi certi che il dipendente fosse autonomo nella sua decisione di lasciare il proprio posto di lavoro e non forzato da altri. Si tratta, quindi, di strumenti per  certificare la volontà del dipendente.

Il preavviso

I tempi giusti per il preavviso dipendono dal contratto collettivo applicato, dal livello raggiunto e dall’anzianità: questi sono i tre elementi da valutare, ma l’attenzione è anche da porre sul giorno in cui si presentano le dimissioni e sulla loro effettiva partenza, se previsto dal contratto collettivo. Durante il preavviso, inoltre, bisogna lavorare: aggiungere giorni di ferie o di malattia allunga il periodo di preavviso e i giorni di effettivo lavoro che devono essere svolti in toto presso l’azienda che si sta lasciando. È buona norma, dal punto di vista etico, fornire tale preavviso per permettere il passaggio di consegne: in caso di mancato svolgimento il datore di lavoro potrà trattenere l’importo corrispondente al periodo non svolto dalle ultime retribuzioni.

I tipi di dimissioni: da volontarie a “per giusta causa”

Bisogna distinguere tra diversi tipi di dimissioni: dimissioni volontarie, in prova, per giusta causa e nel periodo tutelato. Le prime sono mosse dalla volontà del lavoratore, il quale deve prestare attenzione a tutte le norme sopracitate. Ciò che spesso non si conosce è il fatto che

le dimissioni volontarie possono essere date solo durante un contratto di natura a tempo indeterminato giacché il tempo determinato legalmente prevede che il dipendente porti a termine il rapporto di lavoro. Esiste anche una possibilità di revoca: entro 7 giorni dalla data di trasmissione dei moduli il lavoratore ha la possibilità di cambiare idea e revocare le dimissioni attraverso una semplice operazione online. La revoca può essere motivata da un successivo accordo con il proprio datore di lavoro o semplicemente dal mutare dell’idea.

Le dimissioni in prova invece sono quelle che possono essere presentate durante il periodo di prova stabilito con il proprio datore di lavoro e indicato nel contratto di lavoro

individuale. In questo caso il dipendente non ha nessun obbligo di preavviso e, allo stesso modo, il datore di lavoro può decidere di licenziare la persona in prova in qualsiasi momento all’interno di questo periodo.

Si parla poi di dimissioni per giusta causa in alcuni casi specifici tra cui la mancata retribuzione perpetrata per più mensilità o abusi sul posto di lavoro. In questo caso non è richiesto un preavviso: è necessario però che vengano comunicate le motivazioni per le quali si intendono dare le dimissioni; in quest’ultima casistica sarà possibile accedere alla Naspi, ovvero la disoccupazione.

Le dimissioni del padre dopo il congedo parentale

Con la modifica del congedo del padre, lo stesso ha acquisito un ulteriore diritto: la possibilità di accedere all’assegno di disoccupazione nel caso di dimissioni volontarie entro il primo anno di vita del bambino. Si tratta di una norma che, di fatto, eguaglia ulteriormente il ruolo del padre a quello della madre.


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