Merger and Acquisition: incertezza e costi frenano le operazioni

Inflazione e incognite sulla crescita, unite alle tensioni geopolitiche e a regolamentazioni sempre più stringenti hanno causato un crollo del comparto fusioni e acquisizioni. Fenomeno congiunturale o destinato a durare?

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Chiamiamole contraddizioni dell’era dei maxi-tassi. Dopo diversi anni col denaro a costo zero, ora indebitarsi è diventato molto più costoso. Dunque, per comprare casa, finanziare gli investimenti, chiedere un prestito al consumo bisogna fare i conti e farli bene. Così l’aumento dei tassi d’interesse, determinato da questo alto (e ormai) strutturale livello dei prezzi, si ripercuote anche sulle strategie societarie di Merger and Acquisition (M&A).

Sembra essere precipitati di nuovo nell’era dell’incertezza, dove anche le fusioni e le acquisizioni tra aziende vengono valutate con molta più attenzione. E i top manager preferiscono procrastinare le operazioni di aggregazione convinti che il momento non sia il migliore. È difficile valutare i concambi se si tratta di società quotate, è difficile calcolare quanto possa pesare sul lungo termine il costo del debito dell’impresa che si compra, magari a sconto rispetto ai suoi fondamentali, perché precipitata in una crisi di modello di business.

Merger and Acquisition: come sta andando il mercato globale

Così non deve stupire quello che qualche mese fa ha certificato un’interessante ricerca della società di consulenza strategica Bain & Company. Parla di vero e proprio crollo del comparto M&A, cioè delle operazioni di fusioni e acquisizioni, che spesso fanno ricchi consulenti e avvocati, nella consolidata dinamica del mondo degli affari, dove si diventa preda o predatori a seconda del ciclo economico e degli investimenti in innovazione.

Mille miliardi di dollari, nella prima metà del 2023, è il vuoto lasciato da questo fenomeno. Una cifra a cui va però aggiunto l’ammontare delle mancate Ipo, cioè i collocamenti di titoli in Borsa. Annunciate, ma procrastinate per un ventaglio di sfide irrisolte. Come l’economia nella morsa dell’inflazione e delle incognite sulla crescita, gli stress finanziari deflagrati negli Stati Uniti a partire dai fondi di venture capital e gli investimenti in startup scoppiati nel crac della Silicon Valley Bank.

Come le tensioni geopolitiche: il mondo precipitato in una nuova Cortina di ferro, la Russia estromessa dal circuito di transazioni Swift, il pesante impatto incrociato delle sanzioni tra i due blocchi Est e Ovest. E ancora: il giro di vite nelle regolamentazioni e nell’Antitrust con visioni del mondo quasi contrapposte. Quella europea, alla voce DgComp guidata da Margrethe Vestager, più restrittiva e più attenta alle ripercussioni delle fusioni societarie per gli impatti a valle della filiera, cioè sui consumatori finali. E l’Authority più lasca, quella americana, che ha finito per consentire il monopolio in alcuni segmenti delle grandi Big Tech.

Una tendenza congiunturale

Gli ultimi dati di Dealogic ci dicono che questa tendenza è sicuramente congiunturale. L’attività globale di fusioni e acquisizioni è scesa del 36% rispetto all’anno precedente nel secondo trimestre, anche se i banchieri d’investimento e gli avvocati esprimono ottimismo sul fatto che la ripresa del mercato azionario ripristinerà gradualmente la fiducia degli amministratori delegati nelle transazioni.

Il valore totale delle Merger and Acquisition è sceso a 732,82 miliardi di dollari nel secondo trimestre del 2023, rispetto a 1,14 trilioni di dollari dello stesso periodo nel 2022 in quanto i tassi di interesse elevati e la situazione di stallo sul tetto del debito degli Stati Uniti, declassato da Fitch, hanno tenuto i dealmaker in tensione.

Anche il volume delle acquisizioni guidate da private equity è crollato del 59% rispetto all’anno precedente, raggiungendo i 196,66 miliardi di dollari. E il valore complessivo delle grandi operazioni è diminuito di oltre la metà rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso.

Durante il secondo trimestre 2023 non è stato firmato nemmeno un cosiddetto mega-deal, che in genere si riferisce a transazioni di valore superiore a 25 miliardi di dollari. Dwayne Lysaght, co-responsabile M&A Emea di JPMorgan Chase, ha spiegato al Financial Times che le grandi operazioni che coinvolgono aziende con una presenza in diversi Paesi sono diventate più difficili da portare a termine a causa dell’aumento del controllo da parte dei regolatori. Gli avvocati dell’Antitrust vengono coinvolti nei processi molto prima rispetto al passato.

Perché non tutti sono pessimisti

Si dispiegano però anche voci dissonanti. «L’incertezza globale è ciò che influisce maggiormente sull’M&A: mette le persone a disagio. È più facile dire: “Passo un affare” – nessuno viene licenziato per aver passato un affare. Ma tutti parliamo dell’affare che non sarebbe mai dovuto accadere», dice Michael Aiello, presidente del dipartimento aziendale dello studio legale Weil, Gotshal & Manges.

Il conteggio trimestrale è stato superiore al primo trimestre del 2023, quando sono stati annunciati 601,32 miliardi di dollari di transazioni, dando motivo di ottimismo a coloro che sostengono che la ripresa del mercato sia iniziata.

«Stiamo toccando il fondo. Per continuare a competere a livello locale e globale, le aziende dovranno crescere organicamente, e soprattutto in modo inorganico. Assisteremo a un aumento dell’attività strategica», spiega Raymond McGuire, presidente della banca d’investimento francese Lazard.

I volumi di Merger and Acquisition negli Stati Uniti sono diminuiti del 30% a 318,4 miliardi di dollari, mentre i volumi in Europa e in Asia Pacifico si sono ridotti rispettivamente del 49% e del 24%. «Le persone tendono a guardare solo l’anno precedente, ma se si guarda all’attività su un periodo di dieci o di 20 anni, ci troviamo in un ambiente non così moribondo», chiarisce Steve Baronoff, presidente di M&A globale presso Bank of America, ripreso dai media americani.

Le previsioni per il settore Merger and Acquisition

L’indice S&P 500 americano è salito del 14,5% dall’inizio dell’anno. Le azioni delle aziende che sono rimaste indietro nella ripresa del mercato a volte sono diventate obiettivi di acquisizione, soprattutto quando hanno azionisti di rilievo che possono portarle alla privatizzazione. Nei prossimi sei mesi, ci saranno molti riacquisti di azioni e molti soci di controllo che proporranno buyout delle loro filiali quotate in Borsa: sono indicatori della convinzione che i mercati saranno più forti entro il prossimo anno. Bain ha anche osservato un numero crescente di acquisizioni con impronta Esg, cioè ispirati ai criteri di sostenibilità.

In particolare, la società di consulenza stima che un’operazione su dieci incorpori oggi una componente Esg. Due sono le principali tipologie di operazioni industriali: alcune realtà stanno acquisendo business potenzialmente sinergici per accedere più rapidamente a segmenti di mercato più green, altre sono alla ricerca di opportunità che possano migliorarne le capacità produttive in ottica di perseguimento degli obiettivi di sostenibilità ambientale.

Fusioni e acquisizioni: focus sul mercato italiano

Guardando all’Italia la diapositiva più puntuale la elabora storicamente la società di consulenza Kpmg. Il mercato italiano delle fusioni e acquisizioni (M&A), nonostante le incertezze, ha dimostrato un notevole grado di resilienza l’anno passato: nel 2022 sono state concluse 1.184 operazioni (-2,5% rispetto alle 1.214 operazioni dello stesso periodo dello scorso anno), per un controvalore pari a circa 80 miliardi di euro, rispetto ai 100 miliardi del 2021, su cui incideva però la conclusione dell’operazione Stellantis per quasi 20 miliardi.

«L’ultimo trimestre ha visto la chiusura dei principali deal per il 2022 raggiungendo risultati oltre le aspettative», dice Max Fiani, partner Kpmg e curatore del rapporto, «superando ampiamente i dati del 2019, ultimo anno prima della pandemia (52 miliardi per 1.085 operazioni)». Gli operatori, in particolare quelli finanziari, hanno mostrato forte interesse per il mondo delle infrastrutture e delle risorse energetiche, in linea con le principali direttive dettate dal Pnrr. Si tratta di investimenti che garantiscono anche maggiore visibilità nei flussi finanziari attesi.

Il 2022 è stato un anno particolarmente attivo per gli investitori esteri che hanno mostrato il loro interesse per le realtà italiane: si sono registrate 421 operazioni (+15% rispetto al 2021) per un controvalore di circa 29 miliardi, in crescita del 67% rispetto ai 17 miliardi del 2021. Nel primo semestre dell’anno, però, qualcosa si è inceppato. Sono state concluse 555 operazioni (14% rispetto alle 648 operazioni dello stesso periodo dello scorso anno) per un controvalore pari a oltre 13 miliardi di euro (contro i 35 miliardi del primo semestre 2022).

Rispetto allo scorso anno, mancano i grandi deal e si registrano solo operazioni di piccola taglia. Quelle che superano il miliardo sono solo tre: l’integrazione tra Dufry e Autogrill per un controvalore di 2,4 miliardi, l’acquisizione della società irlandese quotata al Nyse, Amryt Pharma, da parte di Chiesi Farmaceutici per 1,4 miliardi di euro e l’acquisizione di Centrotec Climate Systems da parte di Ariston Holding con un investimento di circa 1 miliardo di euro, la più grande nella storia del gruppo.

D’altronde, sul fronte farmaci e life science continua l’attività di investitori strategici nazionali e internazionali spinti dall’opportunità di ampliare il portafoglio prodotti e arricchire o completare la pipeline per conseguire i loro piani di crescita. La prima parte dell’anno ha, infatti, confermato la forte attrattività del comparto. Rimane molto sostenuta l’attività degli aggregatori, specialmente in segmenti quali farmacie, centri diagnostici e laboratori, cliniche dentali e veterinarie, con la necessità, tuttavia, di focalizzarsi sull’integrazione nelle piattaforme esistenti al fine di massimizzare l’estrazione di sinergie e raggiungere le marginalità desiderate in vista di future exit.

Le lunghe liste di attesa nelle strutture sanitarie pubbliche, unitamente all’impossibilità di smaltire il numero di prestazioni accumulato durante il Covid, stanno portando a una graduale conversione dei pazienti verso la sanità privata. La marginalità degli operatori privati, dopo aver risentito delle dinamiche inflattive registrate nel 2022 (come l’aumento dei prezzi di energia, compensi medici e rinnovi contrattuali) è vista stabilizzarsi o in miglioramento nel 2023, beneficiando di un calo dei prezzi dell’energia unitamente a una revisione delle tariffe per i pazienti solventi. Centri diagnostici e cliniche di dimensioni più piccole sono maggiormente esposte alle sfide rappresentate dalla scarsità dei medici e dalla compressione dei margini, rappresentando target ideali per le piattaforme e i gruppi esistenti.


Questo articolo è stato pubblicato su Business People di ottobre 2023. Scarica il numero o abbonati qui

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