Comunicazione social: le regole per le aziende

I social network hanno enormi potenzialità per la comunicazione d’impresa. A patto di non improvvisare e imparare a usarli bene, rimanendo sempre aggiornati. Il che, naturalmente, non è cosa semplice e comporta costi non indifferenti…

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Negli ultimi 15 anni nelle aziende italiane, attirate dalle possibilità che queste piattaforme offrono, si è sviluppata una vera e propria “febbre da social network”. Ma come tutti gli strumenti, non solo vanno fatti gli investimenti adatti, occorre anche utilizzarli con prudenza e parsimonia.

Le cifre, comunque, parlano chiaro. In un mondo dove ormai il successo o il fallimento di un’azienda è determinato in dose importante anche dalla percezione del pubblico, i social media danno un contributo fondamentale per comunicare la vision della realtà in questione, con effetti non solo sui consumatori, ma anche su eventuali azionisti, investitori e gli stessi dipendenti. Tanti vantaggi, dunque, ma anche la consapevolezza che un passo falso nella strategia di comunicazione, se non si rivela del tutto fatale, può comunque creare grossi problemi.

«Il valore aggiunto», spiega a Business People Gaia Rubera, docente di Social Media Marketing all’Università Bocconi di Milano, «è ingaggiare il consumatore su elementi molto più profondi del semplice utilizzo del prodotto/servizio. Se fatta bene, la comunicazione social può coinvolgere il consumatore attraverso i valori della marca e, quindi, creare una relazione più duratura e stabile».

Social network: aumenta la consapevolezza delle aziende

Le aziende se ne sono accorte e hanno anche capito che, per usare al meglio questo strumento, occorre mettere mano al portafoglio. Un sondaggio, condotto dal social media marketer Michael Stelzner nel 2009 su un campione di 880 partecipanti, metteva in evidenza come il marketing sui social media per il 72% degli intervistati fosse ancora una pratica agli inizi.

Anche i vantaggi derivanti erano ancora molto sottovalutati. L’81% degli intervistati aveva dichiarato di utilizzare i social nella comunicazione per fare avere una maggiore visibilità all’azienda. Con il passare del tempo è aumentata non solo la consapevolezza di quanto queste piattaforme siano strategiche, ma anche di quanto bisogna investirci sopra.

Sempre secondo Stelzner, nel 2019, il 46% del campione intervistato, e composto sempre da circa 900 imprese, era disposto a investire più di 10 mila euro nel content marketing, il 17% metteva a bilancio una cifra fino a 25 mila euro, l’8% saliva fino a 50 mila euro, il 5% fino a 100 mila euro, il 6% fino a 500 mila euro e addirittura l’1% fino a un milione di euro.

Il dato più evidente è che le aziende stanno cercando di tenersi al passo con l’evoluzione sempre più rapida che i social media stanno avendo. Se nel 2009 ci si muniva di un semplice Social Media Manager, adesso ci sono veri e propri team di persone, a partire da tre fino ad arrivare a 50 nelle aziende più grandi. E per i prossimi anni, il 62% degli intervistati ha messo in preventivo di ritoccare ulteriormente il budget destinato a questo settore.

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Gli errori più frequenti: il caso McDonald’s

Investimenti, tuttavia, che tendono a crescere, perché, se si vuole comunicare sui social in modo efficace, bisogna tenere bene a mente alcune nozioni fondamentali. «Uno degli errori più frequenti», spiega ancora la nostra interlocutrice, «è dimenticarsi dell’elemento social di queste piattaforme e considerarle come altri mezzi di comunicazione tradizionali o digitali. Faccio un esempio: #McDStories. Nel 2012, McDonald’s lanciò una campagna social su Twitter chiedendo agli utenti di condividere le proprie esperienze nei negozi McDonald’s promuovendo l’hashtag #McDStories. I social media manager chiaramente avevano ignorato il fatto che la marca sia una delle più odiate nel mondo, perché considerata la quintessenza dell’imperialismo americano e del mangiare non sano. Ovviamente, in poche ore, Twitter venne invaso da messaggi con l’hashtag #McDStories in cui gli utenti davano libero sfogo a tutte le loro frustrazioni su McDonald’s e condividevano esperienze terribili. McDonald’s (pensando di vivere ancora nel mondo degli spot comprati su giornali e televisioni o dei banner pubblicitari su Internet) smise di promuovere l’hashtag #McDStories pensando di poter staccare la spina alle lamentele su Twitter. Ovviamente questo non era possibile, e mette in luce come la multinazionale non avesse capito una caratteristica fondamentale, e nuova, dei social network: marche e consumatori sono sullo stesso piano».

A differenza della “pubblicità convenzionale”, quella sui social non può essere né modificata né ritirata in caso di situazioni di difficoltà, ma soprattutto la costante interazione con i consumatori consente all’azienda di influenzarli solo fino a un certo punto. Anche per questo gli investimenti sono aumentati molto e le campagne di comunicazione si stanno evolvendo, cercando sempre più di cogliere quali siano i bisogni del consumatore.

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L’INTERVISTA – Evoluzione continua, il punto di vista di Roberta Vitullo, Creative Director di Mediability

I nuovi trend della comunicazione social per le aziende

L’avvento di Instagram, Tiktok, Snapchat e Twitter ha portato le aziende a elaborare uno storytelling in grado di coinvolgere il destinatario, rendendolo parte del progetto. Impresa tutto fuorché facile, vista la crescita registrata dal fenomeno e le proiezioni sul futuro e che dovrà tenere sempre più conto anche dell’età di chi utilizza una determinata piattaforma: per questo, a seconda del social, è necessaria una strategia studiata ad hoc, perché è chiaro che quello che può colpire una persona di 50 anni è diverso da quello che attira un ventenne.

«Il numero di utenti sui vari social è in aumento e le previsioni per il futuro sono di ulteriore crescita. Il primo trend rilevante è che i contenuti sono destinati a diventare sempre più brevi, vista anche l’esplosione di TikTok. Ovviamente, questi contenuti non saranno più testi o immagini come visto finora, ma saranno dei video. Negli ultimi mesi abbiamo assistito alla crescita piuttosto sostenuta di un nuovo social network, BeReal, particolarmente tra la cosiddetta GenZ. Il social network si propone come una sorta di anti-Instagram in cui i contenuti vengono postati in maniera assolutamente fedele alla realtà, quindi senza la possibilità di applicare filtri o modificare».

La parola d’ordine, insomma, è coinvolgimento. E, se ci si pensa, è un cambiamento epocale. Se più o meno fino a questo momento la competizione si basava sul prodotto, adesso si fa a gara a chi cattura maggiormente l’attenzione prima e la fidelizzazione poi del consumatore. «Le marche», conclude la professoressa Rubera, «devono imparare a offrire contenuti rilevanti per il consumatore, contenuti che nella maggior parte dei casi non sono più legati al prodotto, ma devono essere legati all’immagine della marca. La comunicazione si sposta quindi dai prodotti fisici ai valori che la marca vuole incarnare. È un cambiamento radicale. Non va poi dimenticata la personalizzazione del contenuto. Quando comunicano con le marche, gli utenti non si accontentano più di una risposta generica, ma si aspettano una risposta personalizzata. Nel momento in cui io, utente, non sono più uno dei tanti consumatori, ma io e te, marca, siamo sullo stesso livello, la comunicazione deve essere tra pari. Questo vuol dire che il brand deve personalizzare le proprie risposte ai messaggi degli utenti. Fortunatamente, large language models come quello alla base di ChatGpt aiuteranno molto in questo senso».


Questo articolo è tratto dallo speciale Comunicare è un’impresa, inserto di Business People di settembre. Scarica il numero o abbonati qui

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