Ag Digital Media, conosciuta come Freeda sul web e sulle piattaforme social, è nata nel 2016 come media company, ma già dopo nove anni deve avviare la procedura di liquidazione volontaria. Il suo target è sempre stato il femminile e le nuove generazioni. La decisione è il risultato di un percorso altalenante, fatto di alti e bassi. I problemi sono nati soprattutto dopo il 2020, quando l’ad digitale ha dovuto fare i conti con un cambio di paradigma strutturale.
Questa iniziativa è stata accolta positivamente da imprenditori e investitori. Il libro soci è di tutto rispetto, con un azionista di maggioranza che è il fondo francese di venture capital Fpci Alven Capital V e che detiene – complessivamente – il 32,28%. I due fondatori – Gianluigi Casole e Andrea Scotti Calderini – detengono invece intorno al 12,4% ciascuno; Ginevra Elkann ha una quota pari al 7,21%. Fra i soci ci sono anche la Fidim dei fratelli Rovati, la Our Group di Remo Ruffini, patron di Moncler, e con lo 0,4% Luigi Berlusconi.
La storia e l’epilogo di Freeda
Come dice lo stesso nome, Freeda (che nasce dalla crasi tra freedoom e Frida Kahlo) si fonda su concetti come libertà femminile, autenticità, attenzione ai dettagli e su contenuti pensati per le timeline dei social network. Nel 2022 era fra i 15 brand Made in Italy più promettenti.
Inizialmente sono stati investiti più di 20 milioni di euro, grazie a fondi come Alven Capital e Endeavor Catalyst. La società è stata presente, negli anni di massimo splendore, con 250 dipendenti, in Italia, Regno Unito e Spagna. Il Covid però ha messo in difficoltà le casse dell’azienda che non è riuscita a sostenere i costi nella penisola iberica e in UK.
Ecco da dove nasce il tentativo di spingersi oltre, con la branch Marketing digital services: la business unit più redditizia, Freeda Platform. In appena tre anni ha generato oltre 20 milioni di euro di ricavi e circa 6 milioni di advertising digitale. Tuttavia non è bastato. Nel 2024 la perdita di due o tre contratti molto corposi ha fatto abbassare il fatturato del 30%, creando non pochi problemi in termini di solidità aziendale.
Prima che Ag Digital Media, e quindi i gestori di Freeda, arrivasse alla procedura di liquidazione volontaria, c’è stato un tentativo di vendere il comparto media e, poi, la piattaforma tecnologica. Tuttavia questa operazione non si rivelata centrata e il quadro è precipitato velocemente. Fino ad arrivare alla decisione di avviare la procedura di composizione negoziata della crisi, nei primi mesi del 2025, e poi all’epilogo definitivo.
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