Padel: come si gioca e perché ha tanto successo (anche in Italia)

Ha spopolato in Spagna e ora è sbarcata in Italia, strappando campi e appassionati persino al calcio: è la nuova disciplina a metà tra tennis e squash, che si gioca in una gabbia di vetro. Far fatica non è mai stato così divertente. E cool...

Calcetto? Roba superata. Tennis? Che noia. Squash? Antiquato! Se vuoi essere alla moda, non puoi non giocare a padel (o paddle). Sfiora, infatti, la definizione di fenomeno di costume il successo di questa disciplina con racchetta – la padel appunto, “pagaia” senza corde e bucata –, rete e… muri. Il campo è più piccolo di quello da tennis tradi­zionale, parliamo di una superficie lunga 10 metri e larga 20, e soprattutto è circondato da pareti.

Tutta colpa di Enrique Corcuera, un riccone messicano che a fine anni ‘60 vuole costruirsi un campo da tennis nella sua villa di Acapulco. Fa male i conti, però: a metà dell’opera si accorge di non avere abbastanza spazio per un campo rego­lamentare e per non andare a sbattere sulle pareti tra un col­po e l’altro. Rinuncia al progetto? Nient’affatto, si inventa una nuova regola: considerare i muri parte integrante del campo, la componente fondamentale del padel che lo avvicina allo squash. Dopo un tocco a terra, il rimpallo sulle pareti fa così parte dello sviluppo del gioco: si può tirare dall’altra parte o colpire forte sulla parete stessa per far sì che la pallina – ugua­le a quella del tennis, ma gonfiata a una pressione inferiore – torni dall’altra parte. Il punteggio è lo stesso del tennis tradi­zionale, mentre il servizio si esegue dal basso sotto il bacino. Ora sapete tutto e siete pronti per scendere in campo.

Nato per errore: la storia del Padel

È proprio la facilità e l’immediatezza nell’apprendimento che si nasconde il segreto di questo sport nato per errore. Dal Messico, grazie agli amici miliardari di Corcuera, il padel si diffonde poi in Argentina (5 milioni di giocatori sui 12 com­plessivi nel mondo) e poi in Spagna (2 milioni di praticanti e 7 mila agonisti), i due Paesi che si sono divisi finora tutti i tito­li mondiali. Nella patria di Diego Armando Maradona – a sua volta grande appassionato – è lo sport più praticato, il secon­do dopo il calcio a Madrid e dintorni. Anche grazie a una pic­cola innovazione: costruire le pareti non in mattoni, come al solito, ma sostituirle con pannelli di vetro per permettere agli spettatori di godersi i colpi spettacolari degli atleti in campo. Così il padel è diventato uno sport anche televisivo: semifina­li e finali del World Tour hanno ottenuto ottimi ascolti in Spa­gna sulla piattaforma “pallonara” Gol Tv.

Il Padel in Italia

In Italia il Padel sbarca con pochi pionieri nel 1991, ma negli ul­timi anni ha conosciuto una crescita enorme: su circa 700 cam­pi si sfidano ormai 20 mila giocatori, di cui quasi 5 mila iscrit­ti alla Federtennis, che organizza i campionati di A, A2 e B per 120 squadre. Dieci anni fa, al momento del riconoscimento da parte del Coni, erano appena 850 i tesserati. In fondo, basta davvero poco per cominciare: 60 euro per comprare una rac­chetta base e tra i 16 e i 22 mila euro a chi vuole costruire un impianto in appena 200 metri quadri di spazio. Ecco perché dopo una prima incubazione all’interno dei circoli di tennis, i campi da padel spuntano come funghi un po’ ovunque. Nello scorso agosto si è tenuto a Sabaudia il primo Gillette Padel Vip Cup con tante celebrità in campo: Roberto Mancini, Giovan­ni Malagò, Jimmy Ghione, Rudy Zerbi, Stefano Fiore, Luigi Di Biagio e Luca Marchegiani, oltre alla coppia vincitrice formata da Vincent Candela e Francesco Totti. Il “Pupone” è un vero fis­sato, tanto da essersi fatto costruire un campo in casa. Il loro esempio ha trascinato lo straordinario successo di questa di­sciplina, partendo dalla Capitale fino a contagiare il Nord. E a novembre scorso il movimento azzurro è riuscito a porta­re l’imprenditore romano Luigi Carraro al vertice della Federa­zione internazionale padel. Il suo programma? Far approdare questa disciplina alle Olimpiadi.

Vip sul campo

«Quando sono venuta in Italia per la prima volta, nel 2013, a Milano c’erano appena due strutture», racconta con un sorri­so Stefania “Stefi” Grosheva, prima giocatrice russa nel World Padel Tour e italiana di adozione (si prepara con la Isokine­tic Milano). Cresciuta in Spagna dove ha giocato a tennis fino a 19 anni entrando nella classifica Itf, ha smesso proprio nel 2009 in pieno boom del padel. «Ho iniziato per divertimento, per continuare a fare sport senza la pressione psicologica del tennis, dove vinci e perdi da solo». Secondo la sua esperienza personale, la giocatrice e maestra spiega il successo di questa disciplina: «Il padel si gioca sempre in doppio, anche misto a livello amatoriale. Pure le lezioni si svolgono di solito in grup­po, al massimo con quattro apprendisti alla volta. È una prati­ca davvero divertente, aiuta a socializzare e a tenersi in forma: è l’ideale per chi vuole perdere peso senza stressarsi in pale­stra. Si può iniziare da bambini e giocare a ogni età».

Proprio durante quel viaggio nel nostro Paese, Stefi coglie le op­portunità di sviluppo in Italia e crea il progetto padelitaliano.com, affiancata dalle miglior aziende spagnole del settore come Verde Padel, Kelme Padel e Royal Padel. «Ci occupiamo di tutto, dalla costruzione del campo alla fornitura delle racchette fino all’avviamento della start up spiegando agli imprenditori come avvicinare le persone: non è tennis, servono strategie comunica­tive diverse», ci spiega ricordando la sua laurea in giornalismo. «E il padel sta prendendo piede anche nel mio Paese d’origine, la Russia. Sono stata orgogliosa di tenere quest’anno il primo corso per istruttori per la federazione PadelRus».

Nella Penisola, durante uno dei suoi progetti a Milano 3, ha co­nosciuto anche suo marito, il giornalista Lorenzo Pardini che l’ac­compagna nel suo lavoro. «Ora stiamo lavorando per portare il padel anche all’Eracle Sports Center di Como grazie alla collabo­razione con Gianluca Zambrotta, che l’ha scoperto quando gio­cava a Barcellona e se n’è innamorato», racconta ancora Groshe­va che poi ci parla di un suo allievo speciale: «Il vero pericolo sui campi è un altro ex milanista, Cristian Brocchi: si allena d’esta­te a Formentera e quando a casa torna è sempre pronto a sfida­re me o chiunque altro». «È un gioco veloce, intuitivo, adrena­linico», conferma il calciatore con un passato anche in Lazio e Milan, oggi allenatore. Quando guidava la Primavera del Milan organizzava un allenamento con tutto lo staff ogni giovedì sera, con qualsiasi temperatura: «Gioco a padel perché dalla prima volta che ho provato a Roma, mi sono subito emozionato».

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