Noleggio e flotte aziendali alla prova del Diesel

Il settore paga il tracollo del gasolio, ma guarda senza timori al futuro e contribuisce allo svecchiamento del parco auto tricolore. Se solo il codice della strada fosse adeguato alle nuove forme di sharing mobility…

Alla fine di febbraio ecco lo schiaffone: il settore del noleggio è sceso dal 29 al 25% della quota del mercato dell’auto, con una riduzione delle immatricolazioni a doppia cifra sia nel breve (-21,7%) sia nel lungo termine (-16,3%). A metterci lo zampino è stato soprattutto il tracol­lo del gasolio, da sempre spina dorsa­le degli acquisti dei fleet manager, che nel secondo mese del 2019 ha fatto segnare un clamoroso -22%, mentre i modelli a benzina e quelli ibridi hanno guadagnato, rispettivamente, il 29,3 e il 42,7%. Del resto, era prevedibile, dopo un 2018 da record che aveva portato il parco-flotte italiano vicino a quota 900 mila unità una flessione era nell’aria.

Ma la domanda che serpeggia tra gli addetti ai lavori è una e una sola: i pri­mi dati ufficiali di quest’anno sono un de profundis per il Diesel? Valerio Ca­stronovo, presidente di Alphabet Ita­lia, non ne è affatto convinto. «Al di là delle chiacchiere da bar ha ancora mol­te carte da giocare», dice, «ed è tutto­ra competitivo sul piano dell’efficien­za energetica». Vero, ma con l’aria che tira le Diesel potrebbero diventare un problema quando sono usate, ma rap­presentano anche una ghiotta occasio­ne per portarsi in garage una vettura come nuova, tagliandata e manutenu­ta come nessun privato si sognereb­be mai di fare. «Ogni anno sono cir­ca 160 mila le vetture poste in vendita a fine noleggio e il canale più conso­lidato e rapido per piazzarle sono i concessionari e i commercianti spe­cializzati, che comprano circa il 75% dell’usato», dice Pietro Teofilatto, diret­tore noleggio a lungo termine di Ania­sa, «mentre un altro 12-14% è esporta­to in Paesi dove è forte la richiesta di questo tipo di veicoli. Il resto è conte­so tra privati. Chi parte in pole position è spesso il driver (oppure un suo fami­liare o conoscente), che conosce bene il veicolo che ha guidato a lungo e non vuole perdere l’occasione. Seguono poi le vendite online, aperte a tutti».

I modelli più gettonati tra quelli redu­ci dall’imbarco nelle flotte aziendali sono le Fiat Panda, 500 e 500 X, seguite dalle Volkswagen Golf e dalle Nissan Qashqai. «Per un privato sono ghiot­te occasioni», sottolinea Massimilia­no Archiapatti, presidente Aniasa, «a maggior ragione perché basta un’app per avere sullo smartphone informa­zioni, foto e video della precedente vita aziendale dell’auto su cui abbiamo puntato gli occhi. È la trasparenza as­soluta, ma anche un modo efficace per svecchiare il parco auto italiano». E qui entra in scena il convitato di pietra, os­sia il governo. «Da anni proponiamo una parziale defiscalizzazione dell’usa­to euro5 o euro6 per chi possiede una ante euro3», sottolinea Archiapatti.

LA PAROLA ALLE AZIENDE:

E le elettriche? Da anni si legge qua e là che stanno per fare il botto, ma quel boom non arriva mai… «Sono il futuro, un futuro molto prossimo», dice con sicurezza Alessandro Villa, direttore Business-to-business e usato del grup­po Psa Italia. «Anche se a rilento i punti di ricarica si stanno diffondendo e noi ci prepariamo al cambiamento epoca­le proponendo a partire da quest’an­no tutti i nuovi modelli anche in una versione ibrida o totalmente elettri­ca, come avviene nel caso della 208». Schierato sul fronte dell’elettro-ottimi­smo è anche Vincenzo Varriale, diret­tore vendite di Nissan Italia, che ricor­da: «Nella Penisola si è passati da poco più di 2 mila vetture elettriche vendute nel 2017 alle oltre 5 mila del 2018, con un’ulteriore forte crescita prevista per il 2019. I volumi assoluti sono ancora bassi, è vero, ma il trend ci fa riflettere a maggior ragione perché la nostra Leaf è stato il veicolo 100% elettrico più ven­duto sia in Italia, con più di 1.500 unità, sia a livello globale, con 400 mila esem­plari dal lancio, avvenuto nel 2010».

Se i motori si adeguano ai tempi, non si può dire lo stesso per il Codice del­la Strada, fermo al 1992. Proprio per questo motivo l’Aniasa, che all’inter­no di Confindustria rappresenta il set­tore dei servizi di mobilità, lo scorso febbraio ha proposto alla Commissio­ne Trasporti della Camera di adeguar­lo alle nuove forme di sharing mobili­ty. I rappresentanti dell’Associazione hanno sottolineato come il settore del noleggio veicoli abbia registrato negli ultimi anni una forte e continua cresci­ta: tra il 2000 e il 2018 ha immatricolato oltre 6,3 milioni di veicoli nuovi e rappresenta il 23% delle immatricolazio­ni nazionali. Ogni giorno per ragioni di business e turismo oltre 900 mila per­sone utilizzano i servizi del noleggio a lungo termine, 94 mila quelli del noleg­gio a breve termine e oltre 19 mila, appunto, il car sharing. «L’attuale Co­dice», ha evidenziato Archiapatti, «co­stituisce un ostacolo all’innovazione e all’affermarsi di nuovi e più sostenibili modelli di fruizione dei veicoli. Elabo­rato ormai oltre 25 anni fa, evidenzia da tempo profili anacronistici e di sostan­ziale inadeguatezza: nel 1992 circola­vano sulle nostre strade 31 mila veicoli a noleggio a lungo o breve termine, oggi ne circolano qualche milione ed è possibile prendere un’auto in affitto da pochi minuti a cinque anni».

Il cahier de doléances parte dalla mancanza di una definizione di «vehicle sharing» e dell’armonizzazione delle regole per la gestione e la fruizione (accesso alle Ztl, uniformità della segnaletica stra­dale, accesso alle corsie preferenzia­li, previsioni di stalli dedicati in prossi­mità dei luoghi di interesse… «I veicoli a noleggio sono tutti di ultima genera­zione, equipaggiati con i più efficaci si­stemi di sicurezza e, rispetto alla media del parco circolante, emettono meno della metà di monossido di carbonio e ossido di azoto», ha concluso in presi­dente di Aniasa. «Inoltre, il particolato emesso dalle vetture diesel a noleggio è inferiore dell’85% e gli idrocarburi in­combusti del 70%».

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