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Gusto

Nero di Sicilia

In grado di assorbire l’anima della regione e di interpretarla a seconda del terroir in cui vede la luce, questo vino oggi riserve molte gustose sorprese per il palato

Se volete divertirvi alle spalle di qualche sedicente appassionato di vino, provate a chiedergli quale sia secondo lui il Nero d’Avola che meglio rappresenta la Sicilia: oggi non saprebbe davvero cosa rispondere e, paradossalmente, sarebbe una risposta da esperto!

Per spiegarne la ragione occorre fare un paio di passi indietro e ricordare gli anni ‘90 e 2000 caratterizzati da un boom di un Nero d’Avola concentrato e fruttatissimo, perlopiù tagliato con Syrah e Merlot fino a diventare un vino-non vino tirato in milioni di bottiglie, destinate sia alla grande distribuzione, sia ai wine bar più alla moda delle grandi città italiane del Nord, con l’idea che fosse adatto al pubblico femminile. E soprattutto si parlava di Nero d’Avola tout court come oggi si parla di Prosecco, in termini generici e senza riferimenti ai suoi legami con il territorio.

Oggi, invece, il quadro non potrebbe essere più diverso: anche per chi conosce a fondo la realtà siciliana non è facile fornire una risposta univoca alla fatidica domanda iniziale, perché il nero d’Avola va considerato alla stregua del Sangiovese in Toscana, ovvero un vitigno capace di leggere il territorio e interpretarlo in maniera diversa a seconda del terroir in cui si trova.

Ricerche universitarie accurate e tanti assaggi ci impongono, quindi, una certa cautela nel voler ricercare il prototipo assoluto cui tutti dovrebbero rifarsi, viste e considerate le differenze tra Nero d’Avola prodotti a Vittoria piuttosto che a Noto (la culla del vitigno che proprio qui ha le sue origini, nella zona di Avola, appunto), nel palermitano o a Gela, Licata, Butera e Riesi.

QUANTE VARIETA’. Proprio da un vigneto particolare di quest’ultima zona nasce il Duca Enrico di Salaparuta nel 1984, per poi diventare un cru aziendale dal 2001 in poi, quando si iniziarono a vinificare uve di proprietà nella tenuta SuorMarchesa a Riesi-Butera, arrivata oggi a coprire in totale quasi 120 ettari. Volendo individuare almeno un precursore ci si dovrebbe rifare, infatti, proprio a questo vino nato 20 anni fa quasi per scommessa grazie all’enologo Franco Giacosa. L’ultima annata sul mercato, la 2009, è freschissima e aperta su note floreali di viola e lavanda con un tocco di legno e vaniglia ben dosati. Ha un palato di mandorla e prugna, poi oliva, capperi e menta. Il tannino è ricco e rabbioso, ma sostiene la bocca alla perfezione; il finale è lungo, sapido, minerale e rende giustizia al suolo calcareo di origine.

Il continente Sicilia, però, riserva tante altre sorprese per questo vitigno. Poco lontano incontriamo il Deliella di Feudo Principi di Butera 2011, un vino speziato fine, delicato e sinuoso, molto promettente, con un deciso cambio d’impostazione rispetto a un passato che privilegiava un po’ troppo l’estrazione.

La zona di Riesi non può poi dirsi completa senza citare un vino che già dal nome mette in evidenza il ruolo quasi sacro di questo vitigno per l’isola, ovvero “Lu Patri” di Baglio del Cristo di Campobello, di concezione moderna, con tocchi di legno pregiato, ricco e intenso, dalla bocca solare ed energica che restituisce la freschezza del vitigno in maniera notevole.

Saltando di contrada in contrada andiamo nel palermitano, a Monreale, dove si trovano alcuni dei vigneti di Tasca d’Almerita che, non paga di raccogliere ogni anno i premi più ambiti con il suo Rosso del Conto (Nero d’Avola e Cabernet Sauvignon), vinifica nella linea Sallier de la Tour un Nero d’Avola in purezza da queste parti, un vino schietto e diretto, non privo di complessità speziata, e soprattutto proposto a un prezzo davvero interessante per la qualità che offre.

L’Alhambra di Spadafora è forse più scuro e cupo, ma le sue note balsamiche e floreale ne tradiscono le origini di alta quota (contrada Virzì, sempre a Monreale), insieme al bel fruttato di ciliegia e a una bocca di spessore e classe, con freschezza finale e bel tannino da tavola.

DA NOT… ARE. Dalla zona storica di Noto assaggiamo il Cembali di Baglio di Pianetto, che nel nome richiama il mormorio del vento fra le fronde dei vigneti della tenuta Baroni, che ispirò la contessa Florence e il conte Paolo Marzotto, proprietari della tenuta. Ottenuto da vecchie viti ad alberello, è un vino ricco e affumicato con note di oliva, mirtillo, peperone e liquirizia, dotato di una notevole forza e profondità.

Sempre da Noto ecco anche il Saia di Feudo Maccari, la tenuta siciliana di Antonio Moretti con le sue note di oliva, timo, menta e lampone in confettura, dotato di stoffa ed equilibrio in bocca, con un bel tannino carezzevole ma senza smancerie.

Il terzo campione (con Marabino e il suo doc subito dietro) della zona storica è Santa Cecilia di Planeta, davvero un Nero d’Avola squillante con ricordi di fragolina e lampone, un vino dissetante e salino, grande esempio di come questo vitigno possa essere interpretato in maniera moderna senza snaturarlo. Anche il Versace di Feudo del Pisciotto, con le sue note fresche di mela e lampone e bocca sapida, pare essersi incamminato su questa strada.

SPECIALI. Come outsider segnaliamo invece due Nero d’Avola divenuti famosissimi per aver rivelato territori finora poco considerati nello scacchiere regionale enoico, ovvero Vittoria e Chiaromonte. A Vittoria la vulcanica Arianna Occhipinti, oltre al suo splendido Cerasuolo (composto da Frappato e Nero d’Avola), produce da sempre il Siccagno, un Nero d’Avola acceso e vitale, con un floreale pazzesco di viola e tanto fruttato di more di rovo, un mix esplosivo che si rivela anche in bocca, dove diventa dissetante e salino come pochi altri.

Conturbante e dark il profilo del NeroJbleo di Gulfi, coltivato a oltre 400 metri sul livello del mare, con profumi cassis, oliva nera tostata, canfora con sfumature saline e di corteccia di pino.

Non potevamo non terminare con uno dei più celebrati e famosi, nonché tra i pochi doc, il Mille e una notte di Donnafugata, che produce a Contessa Entellina, nella Sicilia Occidentale, un vino con una grandissima predilezione all’invecchiamento che da giovane è vivo pulsante e fruttato con note di oliva e mirtillo, alloro e mirto, prugna e pepe, con un carattere bello e sanguigno che non si dimentica.

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