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Gusto

Vini italiani: non le solite bollicine

È tempo di festeggiare e brindare a un futuro che ci auguriamo più roseo: perché non puntare su etichette che sappiano uscire dal solco della tradizione?

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Si sta concludendo un anno decisamente spumeggiante per il vino italiano, che ha fatto registrare una crescita dell’export e vendite interne che hanno superato i livelli del 2019. C’è dunque motivo di festeggiare, magari con bollicine che sanno uscire dal solco della tradizione e delle denominazioni classiche, attingendo al contempo dal grande patrimonio italiano di vitigni autoctoni.

Nel Nord-Est il fermento è notevole, a partire dalla Ribolla gialla, vitigno esaltato dal contatto con le bucce e i lieviti, come nel caso di Piera Martellozzo (Piera 1899 si chiama ora la sua azienda) con la sua Onedis e Valentino Butussi, che nel suo brut unisce Ribolla a Chardonnay e Pinot nero. Storici, sempre in tema bollicine, i vini di Puiatti che produce una cuvèe da Chardonnay e una Ribolla gialla con rimandi di pesca e floreale di ginestra. In Piemonte, accanto ad Ettore Germano con il suo Nebbiolo e Parusso, da segnalare la gamma dei Fratelli Marchisio, biologica e fruttata, da Arneis (Faiv bianco) e ancora da Nebbiolo, la cui acidità sta attirando molta attenzione in chiave spumantistica. La Toscana come sempre non si fa trovare impreparata e lo dimostrano le tante proposte. Tra quelle basate sul Sangiovese l’impressione è di essere entrati in una fase di maggiore consapevolezza, con vini come il Rubedo da Vinci della Fattoria La Leccia, il Donatella prodotto a Montalcino da Donatella Cinelli Colombini, firma storica del Brunello, e due proposte dalle Terre di Pisa ovvero il Morfeo della Fattoria di Fibbiano e Usiglian del Vescovo. Tenuta Montauto, poi, produce un brut che presto sarà affiancato da un pas dosè sempre da Sangiovese.

A Volterra La Regola, cantina premiata per il Cabernet franc, spumantizza da anni con successo il Petit manseng, vitigno francese in genere noto per gli splendidi vini dolci. Tra gli storici da segnalare anche Baracchi, che ad Arezzo produce un sontuoso rosé da Sangiovese e il primo storico metodo classico da Trebbiano. Scendiamo in Umbria, dove La Palazzola produce la Gran Cuvee e anche un ottimo prodotto da Riesling, vitigno tedesco che si è ambientato benissimo. Nel Lazio segnaliamo poi una chicca che in pochi conoscono, ovvero il Tufaio Pas Dosè, vino che unisce Pinot bianco, Chardonnay e Malvasia laziale, interamente lavorato ed affinato in una grotta di tufo scavata a mano nel 1881 da cui pare assorbire il carattere gessoso e minerale. In Abruzzo troviamo Fausto Zazzara che produce un brut da uve Pecorino, Cococciola e Passerina spumantizzate e una realtà ormai ben nota per i suoi Pecorino e Montepulciano ovvero I Fauri di Valentina di Camillo, con un ottimo brut dal prezzo invitante, che unisce brillantemente Pecorino e Chardonnay.

Al Sud non mancano le note squillanti e piacevoli e se la Sicilia con i Brut di Tasca d’Almerita, Donnafugata e Planeta (sull’Etna) da anni sono piacevoli diversivi in bollicina, anche in Campania gli esempi non mancano, a cominciare da Villa Matilde Avallone che produce Mata, un rosé da aglianico, e il Falà, un bianco da Falanghina, entrambi dotati di risvolti nocciolati e canditi stuzzicanti. Infine, rinunciare all’alcol non significa dover rinunciare anche al piacere di fare un brindisi, grazie all’altoatesino Martin Foradori, che ha prodotto lo Steinbock Selection Dr. Fischer, ovvero un vino dealcolato cui viene aggiunta CO2 in seguito: ha un aroma incredibilmente fruttato e vivido, e un palato che regala emozioni e contrasti sorprendenti!

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