La solidarietà dà buoni frutti

Da oltre 45 anni Cefa s’impegna per aiutare le popolazioni dei Paesi in via di sviluppo, gettando le basi per la loro indipendenza economica

«Siamo presenti nel tempio del buon cibo italiano per chiedere a tutti di non dimenticare chi cibo non ne ha». Il “tempio” in questione è Fico, la Fabbrica Italiana Contadina inaugurata pochi mesi fa a Bologna dal patron di Eataly, Oscar Farinetti. Chi invece è presente all’interno di questa Disneyland del food made in Italy «con un messaggio forte e chiaro» è Cefa – il seme della solidarietà Onlus, organizzazione non governativa impegnata da oltre 45 anni nel promuovere l’autosufficienza alimentare, lo sviluppo e i diritti delle popolazioni nei Paesi sottosviluppati.

Cefa: il seme della solidarietà cresce a Fico

Negli ampi spazi del Centro agroalimentare bolognese, gli operatori di Cefa stazionano in un insolito stand: un grande seme costruito in legno, dove è possibile entrare per conoscere questa realtà, fiore all’occhiello del non profit sotto le Due Torri. Raccontano di essere nati per gettare il seme della solidarietà (come recita il loro slogan) soprattutto in Africa e America Latina; ma lo vogliono fare anche all’interno di Fico, dopo aver seminato con successo pure a Expo 2015. All’evento milanese, il progetto di Cefa ribattezzato “Africa Milk Project: ama la tua terra, combatti la povertà, bevi il tuo latte” ha vinto il primo premio come Best Practice nella categoria Sviluppo sostenibile di piccole comunità rurali in aree marginali, forte della partnership con Granarolo, il ministero degli Affari esteri e l’associazione tanzaniana di allevatori Njombe Livestock. È stato il coronamento di un’attività avviata agli inizi degli anni Duemila per dotare la città di Njombe (borgo di 40 mila abitanti nel sud-ovest della Tanzania) di una centrale del latte capace di commercializzare le produzioni di circa 150 allevatori. Ne è nata un’impresa che oggi lavora 2.400 litri di latte al giorno contro i 400 iniziali, vende il 50% del prodotto fuori distretto e rifornisce le scuole. Un piccolo sistema economico che ha creato lavoro e dignità in quel territorio. Un esempio di come Cefa intende operare. «Non ci interessano i grandi numeri, siamo diversi dalle altre Ong», taglia corto Giovanni Beccari, responsabile della raccolta fondi. «Siamo nati per aiutare le popolazioni dei Paesi in via di sviluppo a camminare con le proprie gambe, creando le condizioni per il loro sviluppo e la loro sostenibilità economica. Lo facciamo da 45 anni ed è quello che vogliamo continuare a fare».

In fondo, è stata questa l’intuizione del fondatore Giovanni Bersani, colui che nel 1972 si inventò Cefa. Parlamentare democristiano per otto legislature, sottosegretario al Lavoro nel governo De Gasperi VII (1952-53), tra i fondatori di Confcooperative Bologna e Confcooperative Emilia Romagna, ha favorito e promosso la creazione di cooperative agricole negli anni della ricostruzione post-bellica per aiutare i contadini a costruirsi un futuro con redditi più dignitosi. E dalla via Emilia, Bersani ha capito che quel modello poteva essere esportato anche nel Terzo Mondo. «Dare da mangiare, costruire scuole o ospedali… Sono tutti interventi lodevoli, ma non bastano. Per dare un futuro a questa gente occorre rilanciare le loro economie», ribadisce Beccari.

Insomma, bando all’assistenzialismo, non fa parte dello stile Cefa. Per rendersene conto, è sufficiente dare un’occhiata agli oltre 30 progetti seguiti in nove diversi Paesi con più di 100 mila beneficiari: dalle 20 Sand Dams (dighe costruite nei letti sabbiosi dei fiumi) erette in Kenya per migliorare la qualità dell’acqua per 2 mila famiglie, all’istruzione sulle tecniche della pesca per 386 pescatori in Somalia, fino alla formazione di giornalisti e giovani attivi sui social media per avviare campagne di comunicazione sul rispetto delle differenze e l’integrazione in Marocco. E ancora il miglioramento delle tecniche di coltivazione di cacao e caffè in Ecuador con 445 agricoltori coinvolti, oppure i progetti per la promozione di un turismo alternativo in Tunisia con la creazione di tre nuovi percorsi ecoturistici.

Come si finanziano tutte queste attività? «Con i contributi di istituzioni pubbliche ed enti privati, grazie a un’attività strategica di fundraising», risponde Beccari. E se da un lato ci sono i bandi pubblici della Farnesina che Cefa si aggiudica (uno degli ultimi riguarda alcuni interventi in Libia nei noti centri di detenzione dei profughi), dall’altro c’è anche il decisivo sostegno di realtà quali Granarolo e Coop Alleanza 3.0 che con questa ong condividono lo spirito cooperativo e le radici bolognesi. Scendendo nel dettaglio, in un bilancio che per il 2017 si aggira sui 5 milioni di euro, il 40% di finanziamenti al Cefa arriva dal mondo privato, il 32% dall’Unione europea, il 15% dal ministero degli Affari esteri, quindi organizzazioni internazionali, enti locali, 5×1000, servizio civile e in minima parte anche il ministero degli Interni. «Le spese di gestione coprono l’11% del nostro bilancio», continua Beccari, «l’80% finisce per finanziare progetti nei Paesi in via di sviluppo, il 6% per progetti in Italia e il resto per sostenere le campagne di raccolta fondi e altri oneri». E per quanto riguarda i progetti, Cefa mantiene la vocazione agricola cara al suo fondatore; il 44% riguarda proprio il settore primario, seguito per il 25% da iniziative per la tutela di diritti umani e dei minori, rafforzamento della società civile (13%), energia (8%), parità di genere (7%) e altro ancora.

Sono due, infine, le campagne sui quali Cefa concentra la sua attività nel 2018. Innanzitutto il programma BeeHappy che ha l’obiettivo di donare mille arnie in Kenya (Kitui), Etiopia (Soddo Wolaita) e Mozambico (Caia). «Da anni promuoviamo lo sviluppo dell’apicoltura in Africa», spiega Beccari, «proponendo corsi di formazione e lavorando nella commercializzazione del miele per dare una vera svolta al reddito delle famiglie. Ci siamo inventati il panettone “Apetitoso” e ne abbiamo venduti circa 1.500. Ora vogliamo consolidare questa esperienza mettendo a disposizione mille arnie». La seconda campagna di quest’anno, ribattezzata Rural Women, mira a valorizzare il ruolo della donna in agricoltura: dal Mozambico, dove vengono aiutate le ragazze e le madri di famiglia a diventare allevatrici di vacche da latte, alla Tanzania dove invece si lavora sulla conservazione del mais senza l’uso di pesticidi, fino alla Somalia con l’impegno a insegnare la coltivazione del sesamo.

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