Il futuro del Vecchio Continente si decide tra il 22 e il 25 maggio, quando si svolgeranno le elezioni per il rinnovo del Parlamento dell’Unione Europea (Ue), giunto ormai all’ottava legislatura e prossimo a compiere i suoi primi 35 anni di vita. È trascorso molto tempo dal 1979, quando l’assemblea di Strasburgo entrò per la prima volta in carica, in un clima di grandi speranze sul buon esito del processo di unificazione. Quelle speranze, però, oggi sono indubbiamente divenute molto più flebili e incerte, in ogni angolo dell’Europa, dal Mare del Nord al Mediterraneo, dai Balcani ai Pirenei. Nell’ultimo trentennio, l’affluenza alle urne per le elezioni europee è scesa di ben 20 punti: dal 60% circa dei primi anni ‘80, si è passati al “misero” 43% registrato nel 2009, che potrebbe ridursi ulteriormente nella prossima consultazione. Inoltre, secondo i dati dell’Eurobarometro (il sondaggio di opinione svolto ogni sei mesi tra i residenti nell’Ue), soltanto il 36% dei cittadini comunitari oggi dichiara di avere fiducia verso il Parlamento di Bruxelles e Strasburgo.In questo scenario, dunque, sono più che giustificati i timori di chi prevede una massiccia avanzata delle forze euroscettiche, cioè dei partiti politici come il Front National francese di Marine Le Pen, che vorrebbero fare carta straccia di molti trattati europei, a cominciare da quello di Maastricht del 1992, che istituì la moneta unica in 11 Paesi del Vecchio Continente, divenuti 18, nel giro di un ventennio.
NOVITÀ E DIFFICOLTÀDa quest’anno, l’appuntamento con le elezioni si accompagna a una novità significativa sullo scacchiere politico europeo: i maggiori partiti si presenteranno per la prima volta alle urne con un proprio candidato alla guida della Commissione di Bruxelles. Il lussemburghese Jean-Claude Juncker sarà in lizza per il Partito Popolare Europeo (Ppe), il tedesco Martin Schulz guiderà i socialisti, mentre il belga Guy Verhofstadt sarà il candidato dei liberali. Il ruolo di quarto incomodo spetta invece al quarantenne greco Alexis Tsipras, a capo della sinistra radicale, su posizioni europeiste, ma fortemente contrarie all’austerity e al rigore di bilancio che hanno dominato la politica economica Ue negli ultimi anni sei anni. Le forze euroscettiche, invece, hanno scelto di non esprimere un candidato ufficiale alla presidenza della Commissione, pur avendo ormai il proprio baricentro nel Front National della Le Pen, che ha incassato anche l’appoggio degli italiani Lega Nord e Fratelli d’Italia. A parte queste novità importanti dal punto di vista elettorale, la strada che l’assemblea di Strasburgo e Bruxelles si troverà di fronte nel prossimo quinquennio appare già tutta in salita. Negli ultimi tempi, l’Unione Europea ha allargato progressivamente i propri confini, arrivando a comprendere 28 Paesi, e i poteri del Parlamento sono indubbiamente cresciuti fino a divenire determinanti in alcuni ambiti, come la politica agricola continentale o i diritti umani. Tirando le somme, tuttavia, il Parlamento europeo appare ancora un’istituzione distante dai cittadini e incapace di rappresentare realmente la loro volontà. Benché vi sia un forte mandato elettorale per i candidati dei partiti, la nomina del presidente della Commissione spetterà di fatto (e ancora una volta) al Consiglio europeo, che è composto dai capi di Stato e di governo di tutta l’Ue. Saranno dunque gli equilibri tra gli Stati nazionali a essere decisivi sebbene il Trattato di Lisbona del 2009 imponga comunque ai primi ministri di tenere conto del risultato delle elezioni europee quando faranno la loro scelta. Inoltre, anche nel caso in cui l’esito delle urne fosse determinante per la scelta del presidente, per l’Europa resterebbero irrisolti molti altri problemi. Nella politica economica continentale, infatti, l’assemblea di Strasburgo e Bruxelles non sembra avere grande voce in capitolo. I Trattati dell’Ue assegnano al Parlamento importanti compiti di controllo su alcune istituzioni, come la Banca centrale europea, e sull’operato stessa Commissione, oltre al potere di approvare il bilancio annuale dell’Ue. Peccato, però, che questo bilancio abbia ancora dimensioni minuscole, cioè attorno all’1% di tutto il Pil del Continente, mentre nei maggiori Stati federali del pianeta, dagli Stati Uniti al Brasile fino all’India, l’amministrazione centrale controlla almeno il 20 o 30% di tutte le entrate e le spese della federazione. Anche la politica economica dell’Ue o i piani di lotta alla disoccupazione, dunque, restano ancorati ai difficili equilibri tra gli Stati nazionali, ai negoziati-fiume tra i capi di Stato che, dal 2010 in poi, si sono divisi in due fronti contrapposti: da una parte la Germania e i Paesi del Nord, sostenitori dell’austerity di bilancio, e dall’altra le nazioni “periferiche” del Mediterraneo, che chiedono meno rigore nella gestione dei conti pubblici, per avere più risorse a disposizione per gli investimenti e la crescita.
DATI E DATE |
LE ELEZIONI EUROPEE DEL 2014 SI TERRANNO IN TUTTI I 28 STATI MEMBRI TRA IL 22 E IL 25 MAGGIO, CON DATE DIFFERENTI A SECONDA DEI SINGOLI PAESI (IN ITALIA SI VOTA IL 25). SARANNO LE OTTAVE ELEZIONI PER IL PARLAMENTO EUROPEO E I DEPUTATI ELETTI SARANNO IN TOTALE 751 (73 IN ITALIA). GLI ELETTORI CHIAMATI ALLE URNE SONO 400 MILIONI, SU UNA POPOLAZIONE DI CIRCA 550. IL PARLAMENTO EUROPEO DISPONE DI TRE SEDI: A BRUXELLES, STRASBURGO E IN LUSSEMBURGO. LE SESSIONI PLENARIE SI SVOLGONO PERÒ SOLO A BRUXELLES E STRASBURGO. |
APPROFONDIMENTI | ||
IL SOGNO DEGLI STATI UNITI D’EUROPASembra dunque ancora molto lontano l’obiettivo di un’Europa veramente federale, in cui sono assegnati al Parlamento pieni poteri legislativi, mentre la Commissione di Bruxelles svolge un ruolo di governo a tutti gli effetti, capace di guidare l’intera politica economica e sociale del Vecchio Continente. Erano queste le idee e i progetti elaborati già trent’anni fa da Altiero Spinelli, eurodeputato italiano, scomparso nel 1986 e fondatore nel 1943 del Movimento federalista europeo, quando ancora militava nella Resistenza ed era confinato dal regime fascista sull’isola di Ventotene. Le idee di Spinelli vivono tutt’oggi nelle proposte elaborate da un gruppo di ben 5 mila personalità del Vecchio Continente, tra cui 110 eurodeputati uscenti. Si tratta di uno schieramento trasversale, che include gli esponenti di diverse forze politiche, dai popolari ai socialisti, sino ai verdi e ai liberali, i quali hanno dato vita allo Spinelli Group, che si propone di riformare dalle fondamenta le istituzioni dell’Ue, facendole diventare una vera espressione della volontà popolare. Tra i progetti del Gruppo Spinelli, per esempio, c’è la trasformazione della Commissione europea in un organo di governo di tutta l’Ue, con i membri nominati direttamente dal presidente e con maggiori poteri nella politica economica. In particolare, l’obiettivo è di aumentare le dimensioni del bilancio dell’Unione, assegnando alle autorità comunitarie la capacità di riscuotere una parte delle tasse e di mettere in atto programmi di spesa a livello continentale, senza le interferenze e i veti dei governi nazionali. Contemporaneamente, il progetto del Gruppo prevede anche di allargare le competenze legislative del Parlamento e di potenziare le funzioni della Corte di giustizia e della Banca centrale europea. In questo modo, gli organismi comunitari sarebbero capaci di rispondere direttamente ai cittadini e all’elettorato di tutto il Continente. Nascerebbe così l’embrione degli Stati Uniti d’Europa ispirandosi alla massima di Montesquieu: «Se sapessi che qualche cosa è utile alla mia nazione ma è dannosa per l’Europa, la considererei un crimine».
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