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Attualità

“Seguiamo l’esempio della Germania”

Un sistema duale di istruzione e formazione professionale, che si adegui alle necessità del mondo produttivo e dia ai giovani una maggiore consapevolezza sulle richieste del mercato. E’ l’auspicio di Ivan Lo Bello, vicepresidente di Confindustria per l’Education, che giudica positivamente l’ultima riforma dell’università

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Quello del collegamento tra università e impresa è anco­ra oggi un problema serio?Sì, è un problema molto sentito dagli imprenditori. Secondo i dati Excelsior, nel 2011 le imprese hanno denunciato l’assenza di più di 20 mila laureati nei settori dell’ingegneria, della statistica e della chimica-farmaceutica e la mancanza di oltre 110 mila tecnici sul mercato del lavoro. Il made in Italy che ha fatto grande il nostro Paese nel mondo deve essere alimentato con capitale umano preparato e di qualità. Le aziende manifatturiere italiane hanno bisogno di giovani creativi, con forte professionalità, competenze di base solide e specializzazioni in linea con l’evoluzione del mercato del lavoro.

Quali sono le “richieste” dell’impresa alle università per ovviare a queste difficoltà?Aprirsi al mondo esterno rinunciando a mantenere lo status quo su quelle posizioni che hanno contribuito alla chiusura del mondo ac­cademico. Lo abbiamo chiesto nella fase di discus­sione del testo di legge di riforma del sistema univer­sitario. Siamo stati ascoltati. Ora abbiamo un’oppor­tunità che non dobbiamo sprecare. Le università ita­liane sono state chiamate a ridisegnare negli statu­ti i propri organi di governance, tra cui il Cda, che dovrà avere alme­no tre rappresentanti esterni. L’università deve aprirsi per conoscere il suo mercato, attuale e potenziale, e sviluppare la sua offerta tenendo conto delle strategie delle imprese.

L’ultima riforma dell’università ha quindi migliorato il rapporto tra formazione e impresa? Con l’approvazione della riforma è stato consegnato al Paese un si­stema nuovo che mette al centro i giovani; in cui il merito, il finan­ziamento premiale, la selezione dei migliori e l’internazionalizzazione hanno sostituito l’appiattimento retributivo, il finanziamento su base storica ed egualitaria, le assunzioni per anzianità e la chiusura interna­zionale che hanno caratterizzato i nostri atenei per troppi anni, pena­lizzando i giovani e ritardando lo sviluppo del Paese.

Cosa è già stato fatto o si sta già cercando di fare? In alcune aree del Paese i rappresentanti del mondo industriale sono da sempre partner dell’accademia. Faccio l’esempio delle università lombarde, il cui collegamento con il mondo industriale nasce da un gruppo di lavoro coordinato da Assolombarda. Ma posso parlare an­che di realtà più piccole, come Rimini, Modena e Reggio Emilia, dove da sempre gli imprenditori sono interlocutori privilegiati delle università. In tali aree questa forte sinergia si esprime con un concetto: occu­pazione. I giovani conoscono le aziende e i loro prodotti sin dai ban­chi di scuola e maturano la curiosità di voler conoscere da vicino il la­voro molto prima rispetto alla media dei ragazzi italiani.

Facendo un confronto con gli altri Paesi, il problema è generaliz­zato? Non completamente. Ci sono Paesi che sono stati governati da logi­che corporative come il nostro, i cosiddetti Pigs d’Europa. Ma ci sono realtà che hanno investito nei giovani e nelle istituzioni che li aiuta­no a crescere, a maturare il talento, le competenze e la creatività fa­cilitandone la transizione studio-lavoro. Mi riferisco alla Germania, Paese simile al nostro per struttura produttiva manifatturiera, che ha compiuto scelte, nel modellare il sistema scolastico e universitario, adattive rispetto all’evoluzione del sistema industriale. Ma potrei cita­re anche Finlandia, Regno Unito e Francia, che hanno saputo declinare e tradurre la domanda del mercato in offerta formativa.

Quali tra questi Paesi potremmo prendere a esempio? La Germania. Tutti noi ormai conosciamo a memoria lo spread tra i Bund tedeschi e i nostri Btp. Ma chi ci racconta lo spread tra i nostri apprendisti (570 mila) e quelli tedeschi (1.570 milioni)? La Germa­nia si è data un sistema d’istruzione che agisce come l’argilla adeguandosi alle necessità del mondo produttivo. Così, pur avendo meno lau­reati scientifici dei paesi anglosassoni, può compensare le richieste del mondo delle imprese con la qualità dei suoi istituti tecnici (i Fraunho­fer) e delle sue Fachhochoschule. I ragazzi tedeschi non solo si classi­ficano prima di quelli italiani nei risultati dei test Pisa a scuola, ma ar­rivano anche prima nelle aziende, con un’esperienza di lavoro dai sei ai 18 mesi e con una più spiccata cultura internazionale. Inoltre, dal­le più importanti ricerche comparative, emerge che i risultati di ap­prendimento sono migliori nei sistemi scolastici nei quali il tempo delle lezioni si combina con il tempo delle esperienze. Questo siste­ma duale di istruzione e formazione professionale in Italia è pressoché nullo, e la formazione professionale è esclusivamente teorica. Occorre indirizzare risorse verso gli istituti tecnici, gli Its, le facoltà tecniche e l’orientamento perché i nostri giovani abbiano maggiore consapevo­lezza delle richieste del mercato.

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UN ACCORDO GIÀ ESISTE

Otto azioni strategiche e misurabili. È il contenuto dell’Accordo per l’università, la ricerca e l’innovazione siglato già lo scorso anno dalla Crui e Confindustria, per offrire un contributo allo sviluppo culturale ed economico del Paese, attraverso la creazione di un asse comune su cui condividere le diverse esperienze maturate nel mondo universitario e in quello imprenditoriale. Gli interventi messi in campo vanno dall’orientamento alle lauree scientifiche alla diffusione del dottorato in azienda, dal favorire l’occupabilità dei laureati triennali al promuovere la ricerca e il trasferimento tecnologico, dall’internazionalizzazione al benchmarking internazionale, dal monitoraggio dei processi di reclutamento degli atenei alla modifica degli statuti.

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Ivan Lo Bello