«È uno scandalo che quell’acqua venga esportata e non utilizzata dalla popolazione», denuncia David Luker, presidente della Desert Water Agency.
La situazione è grave: nella contea di Riverside (California), gli abitanti vivono in una terra arida, ai margini del confine del parco nazionale di Joshua Tree che ospita la riserva degli indiani Morongo. Nonostante la forte siccità dell’area, racconta il giornale locale Desert Sun, la Nestlè riesce a rifornirsi d’acqua estraendola dal sottosuolo della riserva, per imbottigliarla con il marchio Pure Life e poi rivenderla in tutto il Nord America.
Tra i nativi americani e il colosso elvetico c’è un accordo i cui termini sono tenuti segreti. Non si conosce quanta acqua estragga la Nestlè, ma l’accordo vincola la multinazionale ai Morongo dal 2002 al 2027: il l giro d’affari del brand si aggira attorno agli 8 miliardi di euro annui.
L’accordo è legale – il territorio dei Morongo è fuori dalla giurisdizione sia dello Stato della California sia dal Governo federale americano – ma sarebbe discutibile sotto il profilo etico. Il malessere che gli abitanti di Riverside vivono è forte. Accampata in case mobili al di fuori dalla riserva, la popolazione ha a disposizione acqua corrente di cattiva qualità e subisce continue interruzioni nell’erogazione.
«Noi portiamo avanti i nostri affari in maniera responsabile, dal punto di vista ambientale, preoccupandoci di evitare dispersione di acqua e di energia», risponde la Nestlè. La multinazionale gode di una sorta di monopolio multi-brand del settore bevande con i marchi Vittel, Sanpellegrino.
Tra i primi a evidenziare una simile condotta in tema di ecosostenibilità, è stato Urs Schnell col documentario Bottled Life, premiato l’anno scorso al Festival di Berlino.
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