Metaverso: alle origini di una nuova Rivoluzione industriale

Tutti pazzi per il metaverso, l’universo virtuale che punta a rivoluzionare l’industria dell’entertainment e ad attivare una rutilante galassia di business paralleli per servizi e prodotti. Ecco in che tempi, come e perché

Meno dieci. Sono tanti, grosso modo, gli anni che ci separerebbe­ro – secondo gli analisti hi tech – dall’invasione del Metaverso nelle nostre vite. Già perché, ovunque ti giri, oggi trovi qualcuno disposto a esaltare le potenziali e immaginifiche applicazioni di questa sorta di universo immersivo a ogni dimensione economica e sociale, tan­to da farlo definire da molti come l’ulteriore evoluzione del Web 3 che spalanca le porte all’ennesima Rivoluzione industriale.

Ormai non c’è personaggio – dagli sportivi ai trend setter – che non paven­ti progetti e attività nel metaverso, aziende che non aprano divisio­ni apposite, istituzioni – anche artistiche – che non inagurino atti­vità a effetto (alcuni monumenti, per esempio, hanno già traslocato nella nuova dimensione). L’accelerazione si è registrata lo scorso ot­tobre, quando Mark Zuckerberg ha annunciato di aver rinominato Meta Platforms la sua Facebook, cui è seguita la notizia del varo del megacomputer AI Rsc-Research SuperCluster, che dovrebbe contri­buire alla creazione di tecnologie, basate sull’intelligenza artificiale, destinate al metaverso (tra cui visori e braccialetti per la realtà au­mentata già in fase di sviluppo). Avete poi presente l’esosissima – per ben 68,7 miliardi di dollari – acquisizione di Activision Blizzard da parte di Microsoft? Ebbene, la spesa è stata sostenuta – come ammesso dallo stesso amministratore delegato Satya Nadella – pro­prio perché il gaming (e l’intrattenimento più in generale, seppur non solo) si prefigura come il terreno d’elezione dove le potenziali­tà del metaverso potranno esplicarsi al loro meglio. Mentre la stessa Disney di recente ha “istituito” un ruolo apposito all’interno del suo top management, nominando Mike White Senior Vice President del Next Generation Storytelling Experiences, che si occuperà di defini­re come il pubblico dovrà vivere i contenuti della Casa di Topolino all’interno del metaverso. E pure Wpp, una della più importanti hol­ding pubblicitarie del pianeta, ha annunciato il lancio di The Meta­verse Foundry, un team di 700 tra creativi, produttori, artisti visuali e sviluppatori che dovranno realizzare per gli inserzionisti esperien­ze di marca nel metaverso. Molte altre aziende hanno annunciato at­tività simili e altre lo faranno a breve, facendo alzare la febbre del­la “metaverse economy”, un mercato che gli analisti di Bloomberg stimano sfiorerà gli 800 miliardi di dollari nel 2024.

Non a caso, molti brand si stanno portando avanti col lavoro, per po­tersi fregiare di essere tra i primi ad averne sperimentato le poten­zialità. Tra questi c’è senz’altro Nike, che ha collaborato con Roblox per lanciare una zona di gioco online chiamata Nikeland e consentire ai fan di creare avatar e praticare sport nel proprio spa­zio virtuale. Sempre su Roblox, Gucci invece ha dato vita a un’espe­rienza artistica di installazione virtuale all’interno del Gucci Pala­ce di Firenze, dove gli utenti hanno avuto la possibilità di acquistare accessori della griffe in edizione limitata nascosti nel Gucci Garden virtuale. Mentre McDonald’s ha annunciato di aver presentato dieci domande all’Ufficio brevetti e marchi degli Stati Uniti, per prodot­ti alimentari e bevande virtuali e per gestire un ristorante virtuale online con consegna a domicilio e concerti online reali e virtuali. In occasione dei 25 anni dei Pokémon, poi i grandi magazzini britanni­ci Selfridges hanno lanciato Electric/City, un’occasione di shopping che – attraverso un’esperienza video immersiva – ha portato i clien­ti di tutto il mondo a scoprire e acquistare capi in edizione limitata della gamma Pokémon, consentendo ai fan di vestire i propri ava­tar in AR. Walmart invece ha in programma di costruire negozi al dettaglio online che immagazzinano merce virtuale, e i make up artist di diverse aziende del beauty stanno già sperimentando sugli avatar i trucchi che proporranno nella vita reale. In realtà, si tratta di pochi esempi tra i tantissimi che si stanno costruendo intorno e die­tro le quinte di quello che si prefigura come un business colossale.

Ma di cosa parliamo quando parliamo di metaverso? Perché tanta fiducia nelle sue immaginifiche potenzialità, che lambiscono quel­le già sperimentate in gaming come Fortnite e piatta­forme come Second Life? Per metaverso si intende un universo virtuale connesso a internet, dove ogni singola persona è rappresentata attraverso un proprio avatar tridimensionale. Idea­to per la prima volta nel 1992 all’interno del romanzo Snow Crash di Neal Stephenson, è una dimensione in cui si incontrano l’esi­stenza fisica e quella digitale, composta da spazi 3D condivisi: una manifestazione della realtà, ma basata in un mondo virtuale co­struito come una sorta di sconfinato parco a tema; uno spazio vir­tuale collaborativo in cui si potrà socializzare, giocare, lavorare e imparare. Di fatto è il superamento dell’accesso a internet attra­verso gli schermi di un pc o di uno smartphone, perché le persone “abiteranno” direttamente dentro la dimensione virtuale, grazie a tutta una serie di device come visori, cuffie, braccialetti e guan­ti dotati di sensori che consentiranno loro di interagire con l’am­biente che le circonda creando una vita virtuale parallela a quella reale, dove – oltre a relazionarsi con altri avatar che lo popolano, potranno muoversi acquistando beni – auto da poter guidare, abi­ti da indossare, opere d’arte da collezionare, così come case da abi­tare o terreni da edificare, libri da leggere o musica da ascoltare – e investendo i propri capitali.

Questa riproduzione significa che così come le persone, anche le imprese e ogni attività economica potrà avere una propria versione nel metaverso, dalla cessione del bene virtuale in sé alla comunicazione su attività e prodotti anche reali. Su Fortnite, per esempio, un brand di lusso come Balenciaga ha creato appositamente abiti e accessori per poter essere acqui­stati nei “suoi” negozi, e in uno dei suoi ambienti i giocatori han­no potuto provare una Ferrari 296. L’attività che ha mosso, però, i passi più decisi è il mercato immobiliare. Negli ultimi tempi si è parlato di diverse operazioni in tal senso, come gli investimenti di PwC per l’acquisto di immobili nella piattaforma The Sandbox, dentro la quale il rapper Snoop Dogg sta sviluppando il suo Sno­opverse. Le ragioni economiche di simili operazioni le ha spiega­te in un articolo Theo Tzanidis, professore di Marketing Digitale presso la University of the West of Scotland: «sebbene la proprietà virtuale non fornisca un riparo fisico, ci sono alcuni parallelismi. Acquistando immobili virtuali, potremmo acquistare un pezzo di terra su cui costruire. Oppure potremmo scegliere una casa già co­struita che ci piace. Potremmo personalizzarlo con vari oggetti (di­gitali). Potremmo invitare ospiti e visitare anche le case virtuali di altri. Questa visione è lontana. Ma se sembra del tutto assurdo, dovremmo ricordare che una volta le persone avevano dei dubbi sul potenziale significato di Internet, e poi dei social media. I tec­nologi prevedono che il metaverso maturerà in un’economia pie­namente funzionante nei prossimi anni, fornendo un’esperienza digitale sincrona intrecciata nelle nostre vite come lo sono ora la posta elettronica e i social network».

Ovviamente quando si parla di denaro utilizzabile nel metaverso si intende il corrispettivo in criptovalute. In attesa di capire se verrà “coniata” una divisa ufficiale, si ipotizza l’adozione di quelle più conosciute, vedi Bitcoin ed Ethereum, così come le monete di game come Decentraland e Axie Infinity, rispettivamente MANA e AXS, a cui si aggiungono i sempre più in auge token non fungibili Nft, i quali – pur essendo oggi principalmente oggetti d’arte digitale – possono essere “declinati” anche per costituire un patrimonio virtuale. Com’è naturale che sia, non è tutto oro quel che riluce in quel poco o molto che si comincia a intravedere del metaverso. Tanto per ribadire i rischi dell’intera operazione, che si presta a una certa volatilità, nelle scorse settimane ha fatto il botto la notizia che Meta Platforms ha lasciato sul terreno circa il 25% della sua quotazione in Borsa, anche per aver dichiarato che la sua divisione di realtà virtuale e aumentata (quella appunto che si occupa di metaverso) ha perso in guadagni circa 10 miliardi di dollari nel 2021.

Al di là delle questioni tecniche ancora da risolvere, le perplessità su una tecnologia che si prefigura tanto evoluta quanto invasiva e invadente, sono dietro l’angolo; ombre che – se non dissolte – possono costituire un deceleratore del nuovo business. Si parte, per esempio, dal fatto che – come peraltro è accaduto per i social media – non ci si stanno ponendo seri interrogativi sulla tutela della privacy degli utenti all’interno di questo avveniristico universo digitale: nessun brevetto di software al momento si sarebbe mosso in questa direzione. Mentre il Commissario Europeo per la Concorrenza, Margrethe Vestager ha allertato l’Ue affinché le future operazioni nel metaverso siano sottoposte a un esame accurato da parte delle autorità di regolamentazione antitrust, visti i nuovi modelli di commercio ed economia che emergeranno in un dominio completamente virtuale; urge – secondo Verstager – un’indagine più approfondita sul modello economico del metaverso, visto che all’orizzonte si profila un potenziale abuso di posizione dominante.

Una critica di base all’avvento del metaverso è arrivata poi dal papà della Playstation, Ken Kutaragi, che osserva di trovarlo addirittura inutile: «Essere nel mondo reale è molto importante, ma il metaverso consiste nel rendere quasi reale il mondo virtuale, e non vedo il senso di farlo. Preferiresti essere un avatar evoluto invece del tuo vero io? In sostanza, il metaverso non è diverso dai siti di bacheche anonime. Per di più le cuffie e visori AR/VR isolerebbero dal mondo reale e non posso essere d’accordo con questo». Al di là e al di sopra di varie considerazioni personali, andrebbe anche risolta una questione tecnica di non poco conto. Saremo di fronte a più metaversi creati dalle singole società o si arriverà alla creazione di un unico metaverso dentro cui chi vorrà – come avviene oggi per internet – potrà operare? Per questo occorrerà un accordo al fine di rendere gli eventuali metaversi interoperabili tra loro e, soprattutto, decentralizzati ricorrendo a una tecnologia di base già operativa (anche per i prima citati NFT), l’ormai sempre più onnipresente blockchain.

In attesa di sciogliere più di un nodo che comporterebbe il reale, eventuale e certamente virtuale avvento del metaverso nelle nostre vite, un’ultima riflessione s’ha da fare. Oltre ai pregi del potenziale new business, come calcolare le ricadute negative che un simile straniamento procurerà al benessere della nostra vita ordinaria? Se, così facendo, potremo visitare anche il passato o costruire un futuro, che impatto procurerà sul presente? Che conseguenze avrà sul profondo digital divide che già separa le economie più avanzate da quelle del Sud del mondo? È indubbio che prima di dare vita a un meta-mondo virtuale bisognerà prima porsi le giuste domande – e darsi le adeguate risposte – in quello reale.


Articolo pubblicato su Business People di aprile 2022

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