Lodo Mondadori, Fininvest dovrà risarcire la Cir di De Benedetti

La Cassazione respinge il ricorso del gruppo della famiglia Berlusconi, che dovrà pagare 541 milioni di euro; riconosciuto uno sconto di 23 milioni. Dal 1989 al 2013, le tappe della Guerra di Segrate

Con la sentenza 21255 della Cassazione si conclude la battaglia legale tra Fininvest e la Cir di De Benedetti, conosciuta anche Guerra di Segrate, la vicenda giudiziaria sulla casa editrice milanese Mondadori. La Corte ha in buona parte respinto il ricorso di Fininvest che ora dovrà risarcire la Cir con circa 541 milioni di euro; al gruppo della famiglia Berlusconi è stato riconosciuto solo un taglio del risarcimento – circa 23 milioni di euro – sulla cifra liquidata dai giudici e pari a 564,2 milioni di euro.

LE TAPPE. La battaglia legale tra Silvio Berlusconi e Carlo De Benedetti, come riporta in un riepilogo l’Ansa, ha inizio tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90, dopo che nel 1989 la Mondadori aveva acquistato l’Editoriale L’Espresso e il controllo de la Repubblica, di una catena di quotidiani locali e di importanti settimanali come Panorama, L’Espresso, Epoca. Il lodo arbitrale sul contratto Cir-Formenton è del 20 giugno 1990. La decisione fu presa dai tre arbitri, Carlo Maria Pratis (presidente), Natalino Irti (per Cir) e Pietro Rescigno (per la famiglia Formenton), incaricati di dirimere la controversia tra De Benedetti e Formenton per la vendita alla Cir della quota di controllo della Mondadori, promessa a De Benedetti e poi venduta all’asse Silvio Berlusconi/Leonardo Mondadori. Il lodo era favorevole alla Cir e dava a De Benedetti il controllo del 50,3% del capitale ordinario Mondadori e del 79% delle privilegiate. Berlusconi perse la presidenza, da poco conquistata, e al suo posto si insediò il commercialista Giacinto Spizzico, uno dei quattro consiglieri espressi dal Tribunale come gestore delle azioni contestate. Nel luglio del ’90 la famiglia Formenton fece ricorso. Il 24 gennaio 1991, la Corte d’Appello di Roma, presieduta da Arnaldo Valente e composta dai magistrati Vittorio Metta e Giovanni Paolini, dichiarò che, dato che una parte dei patti dell’accordo del 1988 tra i Formenton e la Cir era in contrasto con la disciplina delle società per azioni, era da considerarsi nullo l’intero accordo e, quindi, anche il lodo arbitrale. La Mondadori sembrò così tornare nelle mani di Berlusconi. Dopo alterne vicende di carattere legale e dopo l’approvazione della legge Mammì, nell’aprile 1991, con la mediazione di Giuseppe Ciarrapico, Fininvest e Cir-De Benedetti raggiunsero un accordo: la transazione in sostanza attribuì la casa editrice Mondadori, Panorama ed Epoca alla Fininvest di Berlusconi, che ricevette anche 365 miliardi di conguaglio, mentre il quotidiano la Repubblica, il settimanale l’Espresso e alcune testate locali a Cir-De Benedetti. Questa transazione è al centro del risarcimento chiesto in sede civile (complessivamente un miliardo) dalla holding della famiglia De Benedetti alla luce della sentenza penale con cui nel 2007 il giudice Vittorio Metta, l’avvocato di Fininvest Cesare Previti e gli altri due legali Giovanni Acampora e Attilio Pacifico sono stati condannati definitivamente per corruzione in atti giudiziari. La Cassazione sei anni fa aveva confermato l’ipotesi delle indagini avviate dalla Procura di Milano: la sentenza del 1991 della Corte d’Appello di Roma sfavorevole a De Benedetti fu in realtà comprata corrompendo il giudice estensore Metta con 400 milioni provenienti da Fininvest. Tesi quest’ultima contestata dalla società di Berlusconi secondo la quale dei tre giudici che annullarono il Lodo Mondadori nel 1991 due «avevano condiviso» la sentenza di annullamento «in piena autonomia». In primo grado il giudice civile Raimondo Mesiano, il 3 ottobre 2009, aveva condannato Fininvest a versare alla controparte quasi 750 milioni di euro per danni patrimoniali «da perdita di chance» per un «giudizio imparziale». Il 9 luglio 2011 la conferma della condanna da parte della Corte d’Appello di Milano che aveva però ridotto l’entità del risarcimento a 564,2 milioni di euro. Oggi la Suprema Corte ha confermato la condanna di due anni fa con ancora un lieve ritocco al risarcimento: circa 23 milioni in meno.

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