Il Muro 20 anni dopo

Il 9 novembre 1989 crolla quella barriera di cemento che per 28 anni aveva diviso in due la città di Berlinoe creato due mondi separati dal punto di vista culturale, politico, economico e sociale

Cosa sarebbe accaduto se una persona che ha da sempre vissuto nella Germania Est fosse entrata in coma nel 1989, poco prima del crollo del Muro di Berlino, e si fosse risvegliata parecchio tempo dopo? Cosa avrebbe visto, intorno a sé, cosa avrebbe sentito, provato, trovato? La domanda è solo apparentemente paradossale e fu in realtà il cuore di un film tedesco premiatissimo e di enorme successo, Goodbye Lenin, che raccontava appunto di una donna della Germania dell’Est a cui il figlio, al risveglio, tenta di evitare lo choc ricreando la situazione esistente prima che il Muro fosse abbattuto: un mondo parallelo, un piccolo teatro realsocialista dove ogni cosa – telegiornali, sigarette, abiti – è come prima. Ma la Storia con la S maiuscola, nel frattempo, è andata avanti in modo prepotente e inarrestabile. Invade anche la piccola stanza in cui la convalescente è costretta, sotto forma per esempio di un cartellone che inneggia alla Coca-Cola eretto sul palazzo di fronte. Il film è del 2003, il Muro crollava vent’anni fa. Nel 1961, ai tempi della Guerra Fredda, la Germania divisa fra Est filosovietico e Ovest filoccidentale pagava un prezzo assai alto; mentre nella Repubblica Federale (Rft), grazie anche ai massicci aiuti americani, le condizioni di vita erano dignitose, nella Repubblica Democratica (Ddr) cresceva senza tregua l’insoddisfazione della gente, che fuggiva in massa. Così la mattina del 13 agosto i berlinesi scoprirono che nel cuore della loro città stava sorgendo una poderosa barriera: fatta di filo spinato, blocchi di cemento e barricate. Bloccati completamente i collegamenti fra la zona Est e Ovest. La barriera crebbe rapidamente, raggiungendo 160 chilometri di lunghezza e 4 metri di altezza, con 300 bunker, fili elettrici, fotocellule, armi automatiche. Passare il Muro divenne un’impresa rischiosissima: un centinaio di persone morirono nel tentativo di scavalcarlo.

Arte all’aria aperta

Il 9 novembre 1989 la Storia cambia di nuovo il proprio corso: il Muro, ufficialmente aperto per “permettere viaggi personali all’estero”, viene fatto a pezzi. Una folla di cittadini dell’ex Rdt invade gioiosamente le strade e i parchi del settore ovest. E comincia un’altra Storia, che come sappiamo porterà alla caduta dell’Urss e dei regimi satellite nell’Europa orientale. Inizia un processo difficile che Berlino imporrà a tutta l’Europa, e che darà il via alla ricerca di un equilibrio faticoso. L’analisi, e la comparazione, delle società post-comuniste a 20 anni dalla caduta racconta di crolli ideologici, nuovi mercati, speranze infrante. La caduta del Muro ha lambito mondi perfino, a un primo sguardo, inaspettati. Un modus dei segni, un linguaggio non scritto ma articolato su diversi livelli: perfino la moda ne parla, in Goodbye, Lenin gli abiti che indossa la protagonista servono a spiegare il suo risveglio dal coma, e sono segni tangibili di un mondo precedente. E di recente, nell’anno del ventennale Daniel Rodan, stilista tedesco famoso per avere rivestito di lustrini e paillettes star della musica come Tina Turner e i Bee Gees, ha lanciato una linea ispirata ai graffiti del Muro. Sugli abiti e le t-shirt della collezione sono riprodotti momenti come il bacio fra Leonid Breznev e il leader tedesco-orientale Honecker, simboli come la Trabant, rumorosa e un po’ scalcagnata auto che fu la regina a motore della Ddr (oggi, per la cronaca, esistono i Trabi-Safari…). «È come indossare la Storia», dice lo stilista, che ha fuso nelle sue creazioni arte, moda, politica, riproducendo in qualche modo i 1.300 metri che costituiscono la più grande galleria en plen air del mondo di oggi, quella East Side Gallery che è la parte orientale del Muro (infatti, in realtà, una parte del Muro è ancora visibile). Evoluzione e sintesi singolari di un simbolo: quando il Muro cadde, da un lato si presentava come una gigantesca lavagna scarabocchiata (negli anni, erano stati in molti – anche nomi celeberrimi come Keith Haring – a istoriare la parte “libera”), dall’altro era una grigia e intonsa distesa di cemento. Così si pensò di utilizzare il cupo muro a Est come una tela, che fosse anche una sorta di memento di ciò che il Muro e la sua caduta avevano significato. 106 giovani artisti vennero chiamati per creare una striscia di colore; il tempo ha rovinato la loro opera e così quest’anno si è pensato di richiamare gli stessi artisti per ridipingerlo a nuovo. Le creazioni più famose sono state replicate minuziosamente, mentre per la maggior parte della sua lunghezza la East Side Gallery (che si trova tra le stazioni di Ostbahnhof e Warschauer Strasse) presenta una collezione completamente rinnovata. Un artista italiano, intanto, ha dato lo scorso giugno la sua impronta alle manifestazioni per il ventesimo anniversario. Il maestro livornese Giampaolo Talani con l’installazione Die mauer – Berlino oltre la duna. Gli ombrelli della libertà, ha fatto volare 100 ombrelli da spiaggia a righe bianche e blu oltre l’East Side Gallery, Nel corso del 2009 si realizzeranno molte iniziative per ricordare gli eventi del 1989, ma sin d’ora è possibile ripercorrere i sentieri del passato recente grazie a una pubblicazione in inglese edita dall’Ente Nazionale Germanico per il Turismo e intitolata Welcome to the country without borders. Oltre a istituzioni conosciute come il notissimo Checkpoint Charlie di Berlino e l’adiacente museo del Muro (che esisteva già prima della caduta), sono infatti moltissimi i luoghi storici e le gallerie sparse nei Länder orientali e lungo quella che era la frontiera tra le due Germanie. Tra i vari musei dedicati all’ex Repubblica Democratica Tedesca spicca il recente Ddr-Museum di Berlino che all’insegna del “Come eravamo” racconta la vita quotidiana nel dopoguerra dall’altra parte del Muro. Agli oggetti d’uso comune di quei tempi sono dedicate varie altre raccolte, per esempio a Erfurt, a Eisenhüttenstadt (ex Stalinstadt), a Radebeul presso Dresda e ad Apolda, la città delle campane. Gli stessi centri della Stasi sono diventati musei di documentazione aperti al pubblico, come anche alcuni bunker che fungevano da rifugi segreti. C’è anche spazio, ovviamente, per la nostalgia subito sfruttata dal marketing, con negozi che vendono alimentari, prodotti e souvenir della scomparsa Ddr. L’arte sarà protagonista anche di altri eventi, come la caduta (proprio il 9 novembre) presso la Porta di Brandeburgo di mille domino giganti.

Muri di speranze

Il Muro è diventato negli anni metafora di mille muri, perché la sua caduta ha alimentato molteplici speranze, andate in parte deluse col trascorrere del tempo. In un recente convegno, per esempio (dal titolo esemplificativo di The Wall) se ne è parlato evidenziando quello che hanno significato la divisione e il crollo di queste barriere. Come quella della scienza, per citarne uno: sono passati ben 400 anni da quando con l’ausilio di un cannocchiale si riuscì a valicare un “muro astronomico” e a scrutare il cielo. Da allora a oggi, parecchi muri scientifici sono caduti. Gli attuali evolutissimi telescopi e satelliti rivelano stelle, galassie e molto altro, a milioni e miliardi di anni luce di distanza. Eppure l’astrofisica non è ancora riuscita a rispondere ad alcune domande fondamentali, con cui gli esseri umani si confrontano da sempre…di cosa sia fatto l’universo, e se lo abitiamo da soli, per esempio. Altri muri sono quelli esistenti nelle nostre città, immateriali al contrario del Muro di Berlino, ma che rendono difficilissimo vivere nelle metropoli per ragioni di ordine economico, sociale e politico. Muri invisibili che hanno una ricaduta assai visibile sulle condizioni di vita di ogni cittadino. Oppure muri della memoria, che costituiscono dighe solidissime nell’esistenza individuale e collettiva, che introducono un “prima” e un “dopo” nella coscienza delle persone e dei popoli e riorganizzano il rispettivo patrimonio di esperienze. La cosiddetta “cortina di ferro”, prima, e il Muro di Berlino, poi, hanno separato non solo le due metà dell’Europa, ma anche una stessa città dando luogo a esperienze e memorie su cui si è impresso a fuoco il marchio della Storia. Il muro dei media, anche: il crollo berlinese rappresenta una data simbolica per l’Occidente contemporaneo. Al di qua e al di là del muro stavano due modelli antitetici di società del consumo. La società comunista riconosceva solo i bisogni primari, biologici e la loro soddisfazione. L’Occidente era la terra promessa, l’emporio, il regno dello spettacolo. Da tempo la televisione, che non conosce muri e sbarramenti materiali, aveva diffuso all’Est il mito del consumo, del “tutto è possibile”, del superfluo, del patinato extra. Oggi, a vent’anni di distanza, è il momento di ripensare a questi muri, palesi o trasparenti che siano.

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