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Attualità

Ice addio. E ora?

Nonostante i pareri discordanti sulle inefficienze o le eccellenze degli uffici dell’Istituto per il commercio estero, adesso una sola domanda accomuna tutte le parti: chi promuoverà il made in Italy nel mondo? Pmi disorientate sull’export

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A Maputo, la capitale del Mozambico, dove si svolge la più importante fiera campionaria multisettoriale dell’Africa sub-sahariana (Facim), sembrava davvero tutto pronto: le camere di albergo prenotate, gli stand riservati e l’agenda degli appuntamenti d’affari già fissata. Ma, per la delegazione italiana presente alla manifestazione (una dozzina di aziende in tutto), qualcosa è andato storto. Il pagamento del conto delle spese, infatti, doveva spettare in buona parte all’Ice (Istituto per il commercio estero), un ente pubblico diretto dall’ex ambasciatore Umberto Vattani, con 115 uffici in 88 Paesi diversi che, per decenni, si è occupato di promuovere il made in Italy nel mondo. Peccato, però, che dagli inizi di luglio l’Ice sia divenuto una specie di istituto-fantasma, cancellato con un colpo di spugna dalla prima manovra finanziaria estiva, approvata dal governo per mettere in salvo i conti pubblici del nostro Paese. E così, mentre le funzioni e il personale dell’ente sono stati suddivisi tra il ministero dello Sviluppo economico e quello degli Affari esteri, gli imprenditori italiani in partenza per Maputo non hanno avuto scelta: hanno dovuto coprire di tasca propria buona parte delle spese, per non rinunciare alla fiera. «L’improvvisa soppressione dell’Ice ci è costata nel complesso attorno a 10 mila euro», dice Fabio Santoni, titolare della Proras, azienda specializzata nella produzione di impianti industriali e nei programmi di formazione professionale, che ha un giro d’affari annuo tra i 5 e i 7 milioni di euro, concentrati per circa il 90% sui mercati africani. «Ma non è una questione di soldi», assicura Santoni, non nascondendo la delusione per quanto accaduto, «perché la vicenda della fiera di Maputo ha danneggiato noi, e il nostro Paese, soprattutto dal punto di vista istituzionale, per l’immagine non proprio affidabilissima che abbiamo dato ai potenziali clienti e ai partner stranieri». Certo il momento di transizione non è facile da gestire, in particolare per le nostre pmi. La soppressione dell’Ice (secondo Cgil-Uil-Cisal) in due mesi ha cancellato più di 35 iniziative di promozione e altre 260 iniziative del secondo semestre 2011, già fissate, restano a rischio di realizzazione. Fermi anche gli sconti, le agevolazioni, le convenzioni, comprese quelle previste dalle carte servizi emesse dall’istituto e già pagate dalle imprese per tutto il 2011. Eppure, la decisione di sopprimere l’Ice non è nata proprio con cattive intenzioni. A parte l’urgente esigenza del governo di battere cassa, in realtà l’abolizione o la riforma di questo ente erano già state messe in cantiere nel 2009, attraverso una legge delega che poi è giunta a scadenza ed è rimasta “lettera morta”. Nel mondo imprenditoriale, infatti, da più parti sono arrivati in passato accorati appelli per un miglior coordinamento delle attività di promozione del made in Italy nel mondo, con la richiesta di una radicale revisione delle attività dell’Istituto per il commercio estero. Anche il presidente di Confindustria Emma Marcegaglia, per esempio, ha sollecitato diverse volte il governo a muoversi in questa direzione e a creare una rete unica di sostegno all’export delle imprese, capace di coinvolgere le più importanti associazioni di categoria e non soltanto gli enti pubblici. Senza dimenticare, poi, che in passato molti imprenditori non hanno lesinato all’Ice delle critiche al vetriolo, accusandolo di scarsa attenzione verso le aziende della Penisola che tentano di varcare i confini nazionali. È il caso, ad esempio, di Alfieri Voltan, presidente e amministratore delegato di Siav, società di Padova con 250 dipendenti, specializzata nei servizi informatici. In un’intervista al Sole24Ore del 31 luglio scorso, Voltan ha detto di non essere affatto dispiaciuto per la soppressione dell’Ice, colpevole (a suo dire) di non essergli stato d’aiuto per crescere su un importante e strategico mercato estero come quello del Giappone. Tuttavia, sempre nel mondo imprenditoriale, si sono levate anche voci di segno diverso e opposto. Come quella di Michele Tronconi, presidente di Sistema Moda Italia (Smi- associazione che riunisce più di 50 mila aziende del tessile-abbigliamento), secondo il quale la soppressione dell’Istituto per il commercio estero crea «un vuoto pericoloso». Anche perché, particolare non da poco, il comparto della moda è stato finora uno dei maggiori beneficiari delle attività di promozione internazionale del made in Italy e ha raccolto quasi il 16% delle risorse.

Arrivano gli Stati Generali del made in Italy

Ma perché ci troviamo di fronte a pareri così discordanti nel mondo industriale riguardo alla soppressione dell’Ice? «Probabilmente perché questo ente», spiega Santoni, «era una realtà abbastanza complessa, con alcuni uffici internazionali che lavoravano in maniera egregia, mentre altri operavano in modo inefficiente». Per un imprenditore come Santoni che opera in Mozambico, ad esempio, la sede di Johannesburg dell’Istituto (l’unica esistente nell’Africa sub-sahariana) era un validissimo punto di riferimento istituzionale e la sua soppressione rappresenta oggi una «vera e propria pugnalata», dice il fondatore di Proras, il quale non nega però di aver avuto in passato delle esperienze ben diverse, cioè molto negative, con i funzionari dell’Ice attivi in altri mercati. È il caso, ad esempio, dei Paesi dell’Europa dell’Est, dove la società di Santoni ha tentato di ritagliarsi uno spazio circa dieci anni fa, senza ricevere grandi aiuti. Si ha come l’impressione, dunque, che la scomparsa dell’ente guidato da Umberto Vattani danneggi soprattutto le aziende, in particolare quelle di piccole e medie dimensioni, che operano in aree geografiche lontane e difficilmente accessibili agli imprenditori di casa nostra (come appunto l’Africa). La pensa così anche Tommaso Andreatta (figlio del celebre economista Beniamino), che oggi, oltre a lavorare per un importante gruppo bancario italiano, ricopre il ruolo di vice-presidente di Eurocham, il network delle camere di commercio europee in Vietnam. In questo Paese asiatico, Andreatta risiede per motivi professionali da tre anni, durante i quali ha potuto toccare con mano il ruolo egregio svolto dalla sede dell’Ice di Ho Chi Minh City. «È una struttura in cui hanno sempre operato professionisti validi, capaci di fornire un importante supporto alle imprese della Penisola pur disponendo di un budget limitato», dice. Anzi, secondo il vice-presidente di Eurocham, l’Istituto per il commercio estero è stato davvero la miglior guida per le imprese che hanno tentato di ritagliarsi uno spazio significativo in Vietnam, dove l’industria tricolore gode di ottima fama ma dove ha ancora molta strada da percorrere. Basti pensare che, mentre per i vietnamiti il marchio del made in Italy è sinonimo di altissima qualità, nel settore agroalimentare e in quello vinicolo il grosso delle importazioni di questo Paese asiatico arrivano dall’Argentina, dall’Australia o da altre nazioni che, meglio di noi, sono riuscite a “fare sistema”. Dunque, secondo Andreatta, oggi c’è il rischio che la soppressione dell’Istituto per il commercio estero si trasformi in un rimedio peggiore del male, lasciando molte aziende abbandonate a se stesse o interrompendo un percorso di crescita sul mercato, già avviato a fatica da alcuni imprenditori. «Che ci fosse bisogno di una riforma dell’Ice è innegabile», dice ancora il vice-presidente di Eurocham, «ma proporne l’abolizione, senza aver prima individuato delle soluzioni alternative, è un vero salto nel buio». Ora, il compito di sbrogliare la matassa è affidato a una nuova cabina di regia per il made in Italy presieduta dal ministro dello Sviluppo economico, Paolo Romani, e dal suo collega titolare del dicastero per gli Affari esteri, Franco Frattini, con la partecipazione di Confindustria, Unioncamere e Abi (Associazione bancaria italiana). L’augurio di Santoni è che i nuovi organismi non perdano un’apprezzabile caratteristica positiva del controverso Ice: l’imparzialità, cioè la capacità di aiutare gli imprenditori senza guardare prima a quale organizzazione, corrente politica o lobby appartengono.