Manca poco alla vostra prossima trasferta lavorativa e, dal volto cereo della vostra segretaria, capite che tutti gli alberghi migliori del posto dove andrete sono già stati presi d’assalto. Oppure, le uniche sistemazioni rimaste sorgono in posizioni non troppo comode… Sborsare cifre esorbitanti, per poi, alla fine, avere un mero posto letto anonimo e impersonale: non è certo il massimo, figurarsi in tempi d’austerity, in cui i cordoni della borsa di aziende e professionisti free lance sono tiratissimi. Ebbene, niente panico. Mai sentito parlare di home swapping? Esatto, lo scambio di case, una modalità che dagli Stati Uniti in cui è nata oltre 50 anni fa si è diffusa rapidamente anche in Europa, e oggi viene utilizzata sempre di più non solo per vacanze di piacere, ma anche per brevi viaggi di lavoro. Per dire: usufruite di un loft a Manhattan mentre il suo proprietario entra nel vostro bilocale a Milano o Roma, o ancora nella vostra seconda casa in Toscana o in Sardegna. Nello stesso periodo o successivamente, poco importa. Dipende dai vostri accordi. E il tutto praticamente a costo zero, o comunque a un prezzo molto ridotto. Come dite? Avete difficoltà a sentirvi a vostro agio usando le cose d’altri e non affidereste mai a un estraneo le chiavi del nido domestico? Eppure c’è chi l’ha fatto e ne è rimasto entusiasta, tanto da diventare un vero e proprio habitué del genere e consigliarlo caldamente a colleghi e dipendenti. E se la convenienza, da un punto di vista economico, può rappresentare un primo, interessante incentivo per utilizzare questa modalità, non è certo l’unica molla né, a detta di chi l’ha provata e la conosce bene, la più importante.
L’OSPITALITÀ È PREZIOSA. Lo dimostra, per esempio, la crescita di servizi quali Home Exchange Gold, che conta oltre 700 dimore deluxe (una trentina in Italia), dalla tenuta in Irlanda alla casa sulla spiaggia di Bali fino alla villa sul lago di Garda. Cinquecento dollari all’anno di abbonamento, con la possibilità di effettuare scambi illimitati senza costi aggiuntivi in un circuito frequentato soprattutto da manager aziendali, ingegneri, dottori, professori universitari. «Gente che sicuramente non ha bisogno di risparmiare», sottolinea Cristina Pagetti, responsabile per l’Italia di Scambiocasa.com, referente di Home Exchange per il Belpaese. L’importante, negli annunci, è essere sempre chiari, corretti e descrivere bene la propria casa e il contesto in cui è inserita. La prima regola aurea per tutti è sempre e comunque la pulizia, da non sottovalutare né da dare per scontata». A fine 2012, in Italia, i soci erano più di duemila; nel mondo sono oltre 42 mila in 153 Paesi. Con un’iscrizione annuale di meno di cento euro o trimestrale da 36 circa, riescono a risparmiare diverse centinaia di euro durante trasferte e ferie. «Durante il Salone del Mobile di Milano, ho ospitato un architetto spagnolo, che poi mi lascerà a disposizione la sua casa a Sitges, a Sud Ovest di Barcellona», racconta Pagetti.
APERTURA E FLESSIBILITÀ. «Chi utilizza questo sistema solo per risparmio non dura più di un anno nel circuito. Occorrono flessibilità, adattabilità, apertura mentale e soprattutto desiderio di conoscere altre nazioni vivendo come le persone del luogo. È il fattore culturale, in primis, che muove gli iscritti». Ci tiene a sottolinearlo anche Annalisa Rossi Pujatti, responsabile per l’Italia di Homelink International, la “mamma” di tutte le community che poi si sarebbero diffuse col boom di Internet e delle interazioni social. Il servizio è attivo dal 1953, nato dalle esperienze di scambio di un insegnante americano e della moglie inglese di un ufficiale della Royal Air Force. Oggi il portale conta oltre 13 mila membri di 70 Paesi e funziona tramite profili e schede di registrazione on line, ma all’inizio tutto si svolgeva per corrispondenza, con dépliant e volumi cartacei illustrati. «Nel nostro Paese abbiamo ottenuto cento nuove adesioni solo nei primi sei mesi dell’anno», dice Rossi Pujatti, all’attivo, dal canto suo, ben 140 home swap. Come Home Exchange e Scambiocasa, anche Homelink è un servizio legato al mero scambio di case, senza alcuna transazione economica. «Si paga solo l’iscrizione. Per i nostri 60 anni di attività, a chi entra a far parte del network per la prima volta offriamo il servizio a 60 euro per sei mesi; 120 euro per un anno e 220 per un biennio. Guai a chiedere soldi extra; se qualche membro lo fa, viene richiamato brutalmente. Siamo molto rigidi su certi principi di base: dopo aver firmato un contratto di scambio, a meno che non intervengano seri problemi personali – e in quel caso noi responsabili cerchiamo alternative e soluzioni adeguate – non ci si può tirare indietro, pena la cancellazione dalla community».
NUOVE FORME SOSTENIBILI. Dunque rispetto delle regole, tracciabilità delle transazioni on line, assistenza e supporto da parte dei responsabili dei portali sono alla base del successo di questa nuova modalità di vivere il viaggio. E, per rafforzare la sicurezza del sistema, il portale americano Airbnb ha lanciato da poco una sperimentazione – per ora solo negli Stati Uniti – che prevede la verifica degli host tramite incroci con gli altri profili nei social media, quali Facebook e LinkedIn, e con la scansione di documenti d’identità. La community marketplace registra attualmente 430 mila utenti nel mondo e 37 mila alloggi in Italia, disponibili in affitto per qualche notte o per un mese. Prima di collaborare professionalmente con il sito di San Francisco, Andrea La Mesa, oggi managing director per la Penisola, ha usato spesso il servizio durante varie trasferte lavorative. «Gli affitti a breve termine sono assolutamente legali», assicura, «comunque invitiamo sempre ogni singolo host a verificare tutte le normative che regolamentano il proprio territorio». In buona sostanza, l’home swapping nelle sue varie forme «è un perfetto esempio della sharing economy. Alla base c’è l’idea che condividere spazi e oggetti sia più importante del possesso in sé. E poi rafforza anche un principio di sostenibilità: abbiamo prodotto tanto nell’ultimo secolo, e oggi ci rendiamo conto che possiamo ottimizzare le risorse, mettendole in comune, anziché continuare a crearne di nuove». Nord europei, americani e australiani sono tra i più attivi in queste community, ma, sfatando il pregiudizio che vede la maggior parte degli italiani attaccati alla propria casa come alla sottana di mammà, tutti e tre i referenti tricolori assicurano: «Siamo una nazione dal forte senso di ospitalità, più aperta di quanto si possa comunemente ritenere». Del resto ne era convinto pure Adam Smith, padre del liberismo moderno: «La propensione al commercio, al baratto e allo scambio di una cosa per un’altra è propria di tutti gli uomini, e non si ritrova in nessun’altra razza di animali».