Anniversari, 25 anni senza il Muro di Berlino

Un quarto di secolo dal crollo del simbolo della Guerra Fredda. Quella barriera rappresentò meglio di qualunque altra immagine la contrapposizione tra il capitalismo occidentale e il comunismo sovietico

Nessuno ha inten­zione di costrui­re un muro», così disse, nel giugno del 1961, Walter Ulbricht, capo di Stato della Ddr (Repub­blica democratica tedesca) e segretario del Partito socialista unitario. Ovviamen­te, mentiva. Sulle prime, la divisione di Berlino tra Est e Ovest fu creata con filo spinato; di lì a poco furono posati i pri­mi blocchi di cemento e pietra e fu eretto l’emblema della Cortina di ferro che divi­deva letteralmente l’Occidente dall’uni­verso filosovietico. Venticinque anni fa, il 9 novembre 1989, il simbolo dell’oppressione comunista cadeva, mentre la Germania fu formal­mente riunificata il 3 ottobre 1990. E il mondo, in parte, cambiò. Con il Muro crollarono anche le ideologie, imprimen­do una vertiginosa accelerazione verso la globalizzazione.

NON UNA, MA QUATTRO CORTINE. Ufficialmente chiamato Antifaschistischer Schutzwall (ovvero Barriera di protezio­ne antifascista), il muro di Berlino consi­steva in un sistema di fortificazioni fatto costruire dal governo della Germania Est per impedire la libera circolazione delle persone tra la Germania Ovest e il terri­torio della Repubblica democratica tede­sca (dopo la Seconda guerra mondiale, la capitale tedesca fu divisa in quattro set­tori di occupazioni, ognuno assegnato a una delle potenze vincitrici del conflitto). Circa 2,5 milioni di tedeschi dell’Est pas­sarono a Ovest tra il 1949 e il 1961, una fuga di massa di professionisti e lavo­ratori che si spostavano verso l’Occidente “capitalista”, senza considerare i diserto­ri. Il confine tra le due Repubbliche ven­ne chiuso nel 1952, e nove anni dopo, il 13 agosto 1961, iniziò nella zona Est la costruzione degli oltre 155 km di muro, circondando letteralmente Berlino Ovest. L’anno successivo, nel giugno 1962, ven­ne innalzato un secondo muro, segui­to da un terzo, nel 1965, composto da lastre di cemento armato collegate da montanti di acciaio. Nel 1975 si diede il via al muro di quarta generazione, in ce­mento armato rinforzato: 3,6 m di altez­za, 1,5 m di lunghezza e 45 mila sezio­ni separate.

IN FUGA DAL COMUNISMO. Nella “striscia della morte”, il confine era ulteriormente protetto da 105,5 km di fossato, 302 torri di guardia con cecchi­ni armati, 20 bunker e una strada illumi­nata per il pattugliamento lunga 177 km. Uno sforzo continuo per evitare fughe verso il nemico Occidente: in 5 mila rie­scono però a fuggire verso Berlino Ovest, mentre si stimano tra i 192 e i 239 i citta­dini della Germania Est uccisi nel tentativo (soprattutto uomini giovani, ma si con­tano anche i casi particolari di una ottan­tenne, una diciottenne e alcuni bambi­ni). Fino a quando il Muro non fu com­pletamente edificato e fortificato, i tentati­vi di evasione furono a dir poco “casalin­ghi”, tra chi passava sotto le barricate con un’auto sportiva molto bassa o chi si lan­ciava dalla finestra di un appartamento prospiciente il confine sperando di “atter­rare” dalla parte giusta. Così fallì il tenta­tivo di “evasione” di Ida Siekmann, la pri­ma “vittima”, che il 22 agosto del 1961 saltò dal suo appartamento nella Ber­nauer Straße. Con il tempo, le tecniche si evolsero fino alla costruzione di lunghe gallerie e l’uso di aerei ultraleggeri. C’è chi invece preferiva scivolare lungo i cavi elettrici tra pilone e pilone… L’ultimo a perdere la vita fu Winfried Freudenberg, che l’8 marzo del 1989, nove mesi prima dell’abbattimento del muro, cercò di scappare con una mon­golfiera da lui stesso costruita, che pre­cipitò sopra il territorio di Berlino Ovest. Senza contare, poi, i caduti sotto il fuo­co dei soldati di confine: Günter Litfin e Chris Gueffroy furono rispettivamente la prima e l’ultima vittima. Si sono verificate anche “violazioni di frontiera” al con­trario. Negli anni ‘70 un berlinese del­l’Ovest scavalcò cinque volte il Muro in direzione Est; fu arrestato in ogni occasione e rispedito a casa. Il motivo? Il vio­latore seriale risiedeva nel quartiere di Kreuzberg, sul confine, e voleva evita­re la scocciatura dei passaggi di frontie­ra per andare a trovare i suoi conoscenti, che vivevano proprio di fronte.

LA CADUTA DI UN SIMBOLO. Nel 1963, in piena Guerra fredda, il pre­sidente Usa John Fitzgerald Kennedy pro­nuncia a Berlino un discorso pubblico culminante nella celebre frase, “Ich bin ein Berliner”, sono un berlinese. Il suo in­tervento è uno dei momenti simbolo del periodo. Nel corso degli anni, anche se nella Ddr il tempo sembrava essersi fer­mato, i cambiamenti democratici, le pic­cole rivoluzioni nell’economia e nel­la politica in Polonia, Ungheria e Unio­ne Sovietica cominciano a incrinare quel confine. A portare in poco tempo, e quasi a sorpresa, alla riunificazione, furono due fattori: l’arrivo di Gorbaciov come leader dell’Unione Sovietica e le crescenti dif­ficoltà politiche ed economiche dei Pae­si dell’Est, specialmente della Ddr. Con la Perestroika e Glasnost, l’Unione Sovietica iniziò a cambiare e con essa i Paesi sotto il suo controllo; la gente cominciò a protestare e a manifestare apertamente e l’annuncio di un ricambio ai vertici del Partito comunista e del governo non riu­scì a placare il dissenso. Quando la sera del 9 novembre 1989 un portavoce del governo della Ddr annunciò una rifor­ma molto ampia della legge sui viaggi al­l’estero, centinaia di migliaia di persone si riunirono davanti al Muro, ancora sor­vegliato dai soldati, mentre altre migliaia stavano aspettando dall’altra parte. Nel­l’incredibile confusione di quella notte, vennero aperti i checkpoint; nessun con­trollo sull’identità fu eseguito. Nelle set­timane successive il Muro venne pratica­mente smantellato dalle persone accor­se per staccarne un souvenir. Il 18 marzo 1990 furono tenute le prime e uniche li­bere elezioni della storia della Repubbli­ca democratica tedesca: il nuovo gover­no ebbe il mandato di negoziare la fine stessa dello Stato che rappresentava. L’ab­battimento ufficiale fu iniziato il 13 giu­gno 1990 nella Bernauer Straße da 300 guardie di frontiera della Ddr, e terminato da 600 soldati dell’esercito tedesco uti­lizzando 13 bulldozer, 55 ruspe, 65 gru e 175 camion. A novembre dello stesso anno l’intero muro all’interno della città era stato distrutto, a eccezione di sei pun­ti, mantenuti come monumento. I blocchi di cemento furono utilizzati per la costruzione di strade; 250 di questi fu­rono messi all’asta.

VERSO L’EUROPA UNITA. La caduta del Muro costituì la tappa prin­cipale verso la riunificazione dell’Euro­pa. La sera del 9 novembre, considera­ta la data della caduta del Muro, ven­ne festeggiata l’anno successivo, il 21 lu­glio 1990, con il mega concerto di Ro­ger Waters, ex bassista dei Pink Floyd, e il live di The Wall. Per celebrare la ricorren­za, quest’anno Berlino non organizzerà un anno intero di iniziative, come avven­ne in occasione del ventennale. Gli even­ti si concentreranno nel weekend del 7, 8 e 9 novembre: Moritz van Dülmen, coordinatore dei progetti culturali della cit­tà, ha annunciato che per l’occasione il Muro verrà ricostruito seguendone il trac­ciato originale utilizzando però, al posto del cemento, migliaia di palloncini lumi­nosi, ricreando visivamente l’imponenza della barriera che divise la città per quasi tre decenni. Circa 8 mila palloncini cree­ranno per 72 ore un muro d’aria e di luce lungo 12 km, che attraverserà la capita­le tedesca da Nord a Sud, da Bornholmer Strasse all’Oberbaumbrücke. Si tratta, pri­ma di tutto, di un’operazione di recupero della memoria: «Circa metà dei berlinesi non conosce l’esatto percorso del muro», ha infatti spiegato van Dülmen. Oggi che la Germania è tornata una del­le maggiori potenze economiche d’Eu­ropa e Berlino una capitale culturale tra le più vivaci, di quei chilometri non è ri­masto molto. I turisti si soffermano su tre punti in particolare: una sezione di 80 metri vicino a Potsdamer Platz, una seconda, la più lunga, sulla riva della Sprea, vicino all’Oberbaumbrücke (l’East Side Gallery) e una terza a Nord in Ber­nauer Straße, trasformata in un memoria­le nel 1999.

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