Chi non cambia è perduto

Costi e congiunture internazionali stanno rallentando la transizione verso un’economia più sostenibile, ma i dati parlano chiaro: l’inattività implica un rischio competitivo ben più elevato per la nostra economia (e quella globale)

Transizione energetica: chi non cambia è perduto© Getty Images

«Accelerare subito la transizione energetica riduce i costi a lungo termine e rilancia l’economia, rendendo essenziale cogliere l’opportunità senza esitazioni». È perentorio Luca Miggiano parlando con Business People. «La transizione», continua il nostro interlocutore, «richiede una grande trasformazione sociale e produttiva, con costi inevitabili». E chi ancora non è consapevole del passaggio “epocale” che stiamo attraversando dovrebbe correre al più presto ai ripari, pena l’irrilevanza. Miggiano non arringa a caso, perché dall’alto del suo ruolo di coordinatore del rapporto Scenari per l’Italia al 2030 e al 2050. Le scelte da compiere ora per uno sviluppo sostenibile e responsabile del progetto Ecosistema Futuro di ASviS (Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile) è riuscito a farsi un’idea chiara sul percorso da percorrere.

La sostenibilità è un vero e proprio asset per le imprese

Lo studio si avvale della collaborazione di Oxford Economics, che ha contribuito a redigere diversi scenari su transizione ecologica e sviluppo sostenibile, soffermandosi in particolare sulle scelte da compiere nel campo delle politiche industriali e degli investimenti. L’analisi dimostra quanto investire nel green sia non solo un dovere nei confronti dell’ambiente per prevenire catastrofi naturali, ma un vero e proprio asset per le imprese e la garanzia di un futuro di prosperità.

Il report si concentra su cinque scenari. Il primo è quello attuale, ossia l’aumento della temperatura a 1,9° C (al 2050). Il secondo è quello catastrofico, ossia quello in cui si rinuncia agli impegni presi, per esempio con gli Accordi di Parigi sul Clima del 2015. Il terzo è uno scenario in cui si raggiunge la neutralità carbonica, ossia le emissioni dirette scendono a net zero entro il 2050. Il quarto, denominato Net Zero Transformation, è uno scenario in cui non solo si raggiunge la neutralità carbonica ma, contemporaneamente, questa transizione viene accompagnata da riforme e investimenti “verdi” che rilanciano l’economia. Il quinto, infine, è uno scenario, detto di transizione tardiva, che vede la transizione cominciare solo nel 2030. Inutile dire che la condizione ideale è il Net Zero Transformation, perché permetterebbe di rimanere sotto 1.6° C di riscaldamento globale al 2050, per poi scendere negli anni successivi (riducendo quindi la frequenza e l’intensità di eventi climatici estremi), e al contempo genererebbe prosperità.

I costi inevitabili della transizione energetica

«Ripeto, la transizione energetica ha costi inevitabili», spiega Miggiano «Ad esempio, l’introduzione di una tassa sul carbonio potrebbe aumentare le diseguaglianze, se non accompagnata da politiche redistributive, che riducano la domanda. Tuttavia, i costi dell’inazione sono ben più elevati. Non intervenire comporta un aumento della temperatura oltre i 3°C entro il 2050, con il rischio di un collasso economico e gravi danni fisici ai territori, oltre all’insostenibilità delle coperture assicurative. Inoltre, molti di quelli che sembrano costi oggi, sono in realtà investimenti verdi che stimolano innovazione e crescita economica. Il nostro studio evidenzia che premere l’acceleratore sulla transizione abbasserà i costi sul lungo termine, si tratta di un’opportunità da cogliere senza tentennamenti».

Un’opportunità epocale, dove però l’Italia non va ancora alla velocità giusta. Nel suo rapporto più recente, pubblicato a ottobre, ASviS misura i progressi del Paese sui 17 Obiettivi dello sviluppo sostenibile, approvati dalle Nazioni Unite e dall’Italia nel 2015 (SDGs è la sigla in inglese). Ebbene, il nostro Paese è in ritardo su tutti. Le emergenze più critiche sono la povertà (SDGs 1), l’acqua e i servizi igienico-sanitari (SDGs 6), le disuguaglianze (SDGs 10), e la governance (SDGs 16). Una situazione ancora più sconfortante se confrontata con l’Europa.

L’Italia, al momento, riesce a realizzare solo l’8% degli obiettivi fissati dall’Ue

L’Italia, al momento, riesce a realizzare solo l’8% degli obiettivi fissati dall’Ue. Sul banco degli imputati c’è il governo: agli impegni presi in sede europea e internazionale non corrispondono azioni concrete per mantenere le promesse fatte. Tra i principali ostacoli, secondo il rapporto dell’ASviS, ci sono la mancanza di investimenti dedicati allo sviluppo sostenibile, le politiche incoerenti e le leggi che ostacolano la transizione ecologica, che impediscono all’Italia di raggiungere gli obiettivi climatici europei. «Il governo», spiega ancora Miggiano, «deve allineare i principali documenti di programmazione economica, il bilancio pubblico, e la stessa Legge di Bilancio agli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, comunicando in modo trasparente come ogni misura e ogni investimento contribuisce agli Obiettivi, e quali sono i risultati attesi tendenziali nel medio-termine. Serve poi un grande e ambizioso Piano di accelerazione nazionale per il conseguimento degli SDGs, che attraverso investimenti straordinari realizzi quella trasformazione descritta dallo scenario Net Zero Transformation. È importante che la gestione di questo Piano sia sotto la responsabilità della Presidenza del Consiglio. Infine, è necessario rendere operativo il Programma per la coerenza delle politiche per lo sviluppo sostenibile, contenuto nella Strategia nazionale per lo sviluppo sostenibile. Non bisogna perdere tempo. Il tempo di agire è oggi. Farlo ci permetterebbe non solo di mettere in sicurezza il Paese, ma anche generare benessere e prosperità diffusa. È un’occasione che non possiamo perdere».

Le sfide e le opportunità per l’Italia

Il Rapporto analizza alcuni fattori cruciali che potrebbero influenzare il futuro dell’Italia, individuando sia sfide che opportunità. Tra gli aspetti trattati, si distingue un fattore negativo – la legge sull’autonomia differenziata – e tre positivi, che riguardano nuove normative europee per la sostenibilità delle imprese, il ripristino della natura e la modifica della Costituzione del 2022. In particolare, la legge sull’autonomia differenziata – recentemente oggetto di una valutazione della Corte Costituzionale –, rischia di accentuare le disuguaglianze tra le regioni e di compromettere la sostenibilità delle politiche pubbliche necessarie per raggiungere gli SDGs. Per evitare queste problematiche, il Rapporto suggerisce di limitare le competenze regionali nelle aree di rilevanza nazionale, come infrastrutture ed energia, e di promuovere un dibattito pubblico sul tema.

Il primo fattore positivo riguarda, invece, le nuove Direttive europee sulla sostenibilità delle imprese. Queste normative impongono alle aziende di essere più trasparenti riguardo alle proprie pratiche sociali e ambientali, vietando il greenwashing. Pur comportando costi iniziali, questi investimenti potrebbero migliorare la competitività del sistema produttivo italiano. È fondamentale, però, che le imprese vengano supportate tramite incentivi e formazione, per sfruttare appieno le opportunità offerte da queste normative. Il secondo fattore positivo è poi il Regolamento europeo sul ripristino della natura, che fissa obiettivi vincolanti per il recupero degli ecosistemi.

Il Piano nazionale di ripristino, che dovrà essere definito entro il 2026, rappresenta un’opportunità per migliorare l’ambiente, soprattutto nelle aree urbane, fermando il consumo di suolo netto in molte zone italiane. Il coinvolgimento della comunità scientifica e della società civile sarà cruciale per la sua realizzazione. Infine, la modifica costituzionale del 2022 ha introdotto il principio di tutelare l’ambiente e gli ecosistemi nell’interesse delle generazioni future. La recente sentenza della Corte Costituzionale ha sancito che la tutela dell’ambiente è un valore assoluto, che deve prevalere sulle esigenze economiche, come dimostrato nel caso del Decreto Priolo, dichiarato incostituzionale. Per supportare questa trasformazione, è necessario introdurre una «valutazione d’impatto generazionale» per ogni nuova legge, per analizzare gli effetti ambientali e sociali delle normative sulle future generazioni, in linea con i principi di giustizia intergenerazionale.


Quanto costa l’inazione

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© Getty Images

Se investire in sostenibilità è strategico per il futuro del pianeta e per le stesse aziende, rimandarlo provoca solo danni. L’Ocse, il Fmi, l’Aea e la Commissione Europea concordano nel delineare uno scenario preoccupante degli impatti attuali e futuri del cambiamento climatico, che sta accelerando in modo inesorabile, con gravi ripercussioni su economia e società, in particolare nel Vecchio Continente. L’Aea, nei suoi scenari più ottimistici, stima che l’Italia possa registrare un aumento delle temperature vicino ai 3°C entro il 2050, con effetti devastanti su agricoltura, salute, sistemi finanziari e assicurativi, spesa pubblica ed entrate fiscali.

L’aumento degli eventi climatici estremi, come ondate di calore, alluvioni e siccità, comporterà danni diretti ed indiretti superiori ai 20 miliardi di euro già registrati tra il 2013 e il 2019. Secondo Ocse e Fmi, è ormai evidente che i «costi dell’inazione» sono enormemente superiori ai «costi dell’azione».

Il fenomeno del cambiamento climatico, se non affrontato, avrà impatti devastanti, soprattutto per le fasce sociali più vulnerabili, che non hanno le risorse per far fronte ai danni. Deloitte stima che i costi globali dell’inazione possano raggiungere i 178 trilioni di dollari entro il 2070, mentre Ocsee Fmi evidenziano che i costi più alti saranno sopportati dai Paesi in via di sviluppo e non dalle nazioni più ricche, contrariamente a quanto sostenuto da alcuni. L’Italia, come parte dell’Unione Europea, dovrà affrontare questi costi, e il fatto di rallentare la transizione energetica per motivi economici è una scelta miope che aggraverà ulteriormente la crisi sociale e ambientale.


Articolo pubblicato sul numero di Business People di gennaio-febbraio 2025. Scarica il numero o abbonati qui

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