Aziende italiane poco inclusive: solo il 6% sta sviluppando una cultura adatta

Secondo uno studio di EY, quasi la totalità delle aziende ha ancora problemi a creare una cultura realmente inclusiva

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Alle aziende italiane manca ancora molta strada fare prima di potersi dire davvero inclusive. È quello che emerge da uno studio realizzato da EY in collaborazione con FT-Longitude e incentrato sulla Diversity, Equity and Inclusion (DEI), aspetto sempre più rilevante nell’agenda delle aziende di tutto il mondo.

Rilevante, ma non ancora a punto: dalla ricerca, formulata raccogliendo le opinioni di 900 manager e altrettanti dipendenti provenienti da 9 Paesi europei incluso il nostro, è emerso infatti che solo il 6% delle realtà italiane sta realmente sviluppando una cultura inclusiva sul posto di lavoro. Il 44% è d’accordo che la propria organizzazione dimostri un approccio consistente alla DEI e per il 55% l’impegno dell’azienda per creare un clima di fiducia e trasparenza è buono, tuttavia permangono diverse problematiche.

Il 47% dei lavoratori italiani riferisce di aver subito episodi di discriminazione (contro il 36% europeo) e il 60% di questi di averli segnalati. Persiste però un divario tra manager e dipendenti sul tema della sicurezza e inclusività sul luogo di lavoro: si sente così il 72% dei manager contro il 41% dei dipendenti. L’Italia risulta in ritardo rispetto all’Europa anche nell’applicazione dei principi di diversity, equity e inclusion in fase di selezione e colloquio: solo il 20% dei manager ha erogato formazione sul tema ai responsabili del recruiting e soltanto il 23% ha adattato format di colloquio che soddisfino le esigenze dei candidati con disabilità.

C’è più attenzione alla diversità di genere (il 29% ha adottato misure per l’inclusione LGBTQAI+), ma per quanto riguarda l’inclusione di persone con disabilità siamo ancora fermi al 14%. Per il 35% degli intervistati, inoltre, l’inclusione della disabilità non è proprio inclusa nella propria strategia DEI. Queste cifre toccano anche la percezione dei lavoratori delle proprie aziende: per il 57% la propria organizzazione ha una buona diversità etnica e culturale, mentre per il 48% è scarso il livello di diversità socioeconomica e per il 44% lo è altrettanto l’inclusione delle persone con disabilità.

L’Italia è ancora indietro rispetto agli altri paesi europei per quanto riguarda le strategie di diversity – ha dichiarato Massimo Antonelli, Ceo di Ey Italia e Coo di EY Europe West – Sicuramente per una questione di tempo, le attività di sensibilizzazione qui sono iniziate da poco, ma sono convinto che senza una vera trasformazione della cultura aziendale sia impossibile ottenere davvero dei progressi concreti. Lo conferma la survey con il 22% dei manager che lo identificano proprio come principale ostacolo al miglioramento. Per questo in EY abbiamo iniziato proprio da questo aspetto, avviando lo scorso anno una campagna volta a promuovere una nuova cultura che veda al centro la leadership, chiave per concretizzare azioni inclusive, il wellbeing, ancora troppo poco presente visto che quasi la metà dei dipendenti in questa survey dichiara di sentirsi sovraccarico, e naturalmente la performance, per rendere il cambiamento più concreto e tracciabile”.

L’Italia è infatti ancora oggi uno dei Paesi con la spesa più bassa per la DEI, con 3,99 milioni di euro di media annua. Per questo, si è piazzata al sesto posto tra i 9 Paesi in esame secondo l’EY European DEI Index.

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