Anche la fiducia si è fatta digitale

Le nuove tecnologie hanno rivoluzionato un concetto vecchio di secoli, regalandoci enormi opportunità, ma esponendoci anche a rischi di cui non sempre siamo consapevoli. L’esperta di fama mondiale Rachel Botsman svela come gestirli e cosa dobbiamo aspettarci per il future

Non è un caso se i Ted Talk di Rachel Botsman sono stati visti più di 3,7 milioni di volte e se Monocle l’ha eletta tra i primi 20 conferenzieri al mondo. Chiara nell’esposizione, coinvolgente, dotata di humour e fascino, questa autrice si è anche dedicata a un tema quanto mai attuale: l’inedita e destabilizzante convergenza tra fiducia e tecnologia. E nel suo ultimo libro – appena edito in Italia da Hoepli con il titolo Di chi possiamo fidarci? Come la tecnologia ci ha uniti e perché potrebbe dividerci – ribalta una delle nostre principali convinzioni: anche se il credito di cui godono le istituzioni non è mai stato così scarso, quella in cui viviamo non è l’era della sfiducia. Anzi è l’esatto opposto. Perché se siamo ormai disincantati nei confronti di governi, aziende e media, milioni di persone prestano le loro case a perfetti sconosciuti, si scambiano valute digitali e scoprono di potersi fidare di un robot. Ci troviamo cioè di fronte a una trasformazione sociale profonda, che ci ha portato a quella che la Botsman definisce «fiducia distribuita», un nuovo paradigma, reso possibile dalla tecnologia, che sta riscrivendo il nostro modo di vivere, lavorare e consumare. E questo cambiamento rappresenta al contempo un pericolo e una straordinaria opportunità, come ha spiegato a Business People.

Fiducia è la parola chiave del suo ultimo libro e, più in generale delle sue ricerche. Cosa intende con questo termine?Io la definisco una relazione ottimistica con l’ignoto. È cioè quel processo che ci consente di assumere un rischio nei confronti di qualcuno o qualcosa per ottenere un risultato. È importante precisare il significato di questa parola, perché molti quando la utilizzano credono che abbia a che fare con l‘avere delle certezze, in realtà è proprio il contrario, concerne l’avere fede in qualcosa che non si conosce.

Alla luce di quanto sta accadendo oggi, secondo lei che tipo di futuro ci aspetta? Stiamo assistendo a un trasferimento di massa della fiducia dalle istituzioni ai singoli individui perché la gente, visto il susseguirsi degli scandali, è davvero arrabbiata, disincantata e spaventata. È evidente, però, che non sia un bene che tutti condividano le proprie informazioni indiscriminatamente e che non si sia più in grado di distinguere tra realtà e finzione. Sono dunque convinta che in futuro la fiducia sarà ancora distribuita, ma anche che le istituzioni troveranno un nuovo ruolo, assumendo compiti di controllo qualità e garanzia di affidabilità.

Afferma che la fiducia distribuita offre opportunità e rischi. Quali?Il bello della fiducia è che rende possibili connessioni e collaborazione. Ora abbiamo l’opportunità di connetterci e collaborare con estranei di tutto il mondo: basti pensare a come Alibaba sta permettendo a piccoli produttori di vendere in ogni continente. È incredibile come la tecnologia stia espandendo i mercati e le relazioni umane, dando possibilità di inclusione a persone che finora si ritrovavano ai margini. D’altra parte possiamo finire per fidarci delle persone o delle cose sbagliate. Inoltre, fa paura essere arrivati al punto in cui spesso non è più possibile distinguere tra l’essere umano e l’A.I.

Come far fronte a questi aspetti negativi?Innanzitutto, so che suona come un cliché, ma l’educazione gioca un ruolo decisivo. Dobbiamo ripensare le skill, i metodi d’insegnamento, addirittura l’atteggiamento mentale dei giovani. Secondo, dobbiamo rivedere la regolamentazione. Perché se è vero che, per esempio, Facebook sta introducendo un maggior numero di moderatori e controlli, bisogna però andare oltre e ragionare su come vengono progettati i sistemi per riuscire a gestire l’enorme portata dei programmi in termini di utenti e contenuti. Terzo, è fondamentale interrogarci sulle domande che ci poniamo in merito alle finalità e agli scambi cui diamo il nostro consenso. Voglio dire, ci indigniamo tanto per la mancanza di privacy e la diffusione dei nostri dati, ma al contempo li cediamo senza pensarci. Dovremmo essere più consapevoli delle decisioni che prendiamo e delle loro conseguenze.

La gente è cosciente del cambiamento che stiamo vivendo?Purtroppo no. Uno degli aspetti che più mi sorprendono è proprio la mancanza di consapevolezza. Prima dai il consenso per l’accesso ai contatti, poi al telefono, alla fotocamera ecc. alla fine sommando tutte queste informazioni si ha accesso alla tua intera vita. Una delle donne che ho intervistato ha richiesto a Tinder, come suo diritto, di conoscere i dati su di lei in loro possesso: si è ritrovata con ben 800 pagine di materiale…

Suona spaventoso!Lo è. Una delle ragioni per cui ho scritto questo libro è proprio spingere le persone a riflettere e per farlo devi spaventarle un po’, dicendo qualcosa come «Se non vi ponete ora queste domande i vostri figli vivranno in un mondo orribile, perché noi pensiamo di poter distinguere tra ciò che è umano e ciò che è tecnologia, ma in realtà non possiamo. La tecnologia è molto più veloce dell’essere umano medio».

Parliamo anche degli aspetti positivi. Come dovrebbero cambiare le aziende per sfruttare le nuove opportunità? La fiducia va conquistata giorno dopo giorno. Suonerà ovvio, ma troppe imprese la danno per scontata proprio ora che è più che mai altalenante, visto che risente molto di quanto avviene sui social network. Bisogna dunque lavorare per mettere da parte una buona riserva di fiducia, che permette di affrontare i momenti negativi e uscirne senza troppi danni. È importante tenere presente un altro concetto: il fatto che la tecnologia permetta di fare qualcosa, non significa che le aziende debbano necessariamente proporre quel determinato prodotto o servizio. Per esempio, la Mattel aveva prodotto Aristotle, una versione per bambini dell’assistente virtuale Alexa di Amazon. Sembrava una grande idea, ma ci si è presto resi conto che i genitori finivano per utilizzarlo quale proprio sostituto: «Vuoi che ti legga una storia? Ci pensa Aristotle», «Ti serve aiuto con i compiti di francese? Lo fa Aristotle». Alla fine Mattel ha deciso di ritirarlo, perché questo rischiava di danneggiare la sua brand reputation.

Un’ultima domanda. Posso chiederle come mai ha deciso di studiare proprio questo tema?Vedevo accadere tante cose: ho iniziato a sentir parlare di intelligenza artificiale e blockchain, di e-commerce, e intanto leggevo della crisi di fiducia delle istituzioni e della Chiesa cattolica. Così ho pensato, «ok qui si nasconde qualcosa di interessante da indagare». È proprio cercando di mettere insieme tanti aspetti che si vedono i grandi cambiamenti in atto. Ora vorrei concentrarmi sulla fede, in cosa la riponiamo e come ristabilirla. La generazione dei miei nonni aveva un Dio su cui contare, mentre ora siamo davvero persi in questo senso. Vorrei capire come risolvere il problema.

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