La selezione è un gioco. Intervista a Gianmarco Pinto di Game2Value

Dite addio ai colloqui infiniti fatti di test e domande trabocchetto. Oggi ci sono videogame che possono dare le stesse risposte in soli 20 minuti. E si rivelano utili anche per misurare lo stress dei lavoratori o la DE&I in azienda, come spiega Gianmarco Pinto, psicologo del lavoro e Ceo di Game2Value

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Tempi duri per il comparto HR. Con l’onda lunga delle grandi dimissioni che non ha perso forza nonostante la crisi economica, rimanere interessanti per i dipendenti è sempre più difficile. L’ultimo ricerca Pwc, condotta su un campione di 54 mila lavoratori in 46 diversi Paesi, evidenzia come il 26% sia pronto a cambiare lavoro nei prossimi 12 mesi. E ancora più significativo è che il 37% di questi appartiene alla Z Generation, cioè quella che popolerà il nostro sistema produttivo nell’immediato futuro. Sarà un trend che difficilmente cambierà. Quello che deve cambiare è il linguaggio con cui la domanda aziendale e l’offerta professionale sono abituati a comunicare. Non basta più il prestigio di un brand, la sicurezza di una dimensione, più o meno dichiarate prospettive di crescita per motivare i propri collaboratori a restare. Certo, sono tutti fattori da soppesare, ma hanno perso il primo posto a favore di un concetto di benessere che sempre più si identifica con l’equilibrio professionale, personale, lavorativo e sociale.

Un’azienda deve, quindi, prestare attenzione ad aspetti finora considerati marginali rispetto a performance, competenze, aderenza ai valori corporate, e misurare il livello di stress dei propri collaboratori, in modo efficace e non invasivo. Magari grazie a un videogame. Si chiama Work down ed è l’ultima delle gaming platform sviluppate da Game2Value, pmi innovativa specializzata in soluzioni high end per le aziende. «Siamo di fronte a un cambiamento culturale, prima i processi di selezione erano company driven, cioè erano le aziende a scegliere i candidati. Ora invece sono candidate driven, quindi le organizzazioni non devono solo fare la scelta giusta, ma anche investire tempo e risorse per rendersi attrattive e far conoscere i propri valori ai candidati», ci spiega Gianmarco Pinto, psicologo del lavoro e Ceo di Game2Value.

Dall’intrattenimento alla performance, come la gamification può favorire la nuova cultura aziendale?
Il gioco è il primo comportamento umano, nessuno ce lo insegna. Attraverso il gioco si cresce, si impara, ci si evolve, e questo resta valido anche nell’età adulta. Nel gioco le persone sono davvero se stesse, mostrano i lati più autentici delle loro personalità. Emerge la competitività, la capacità di collaborare, l’aggressività. Il gioco funziona perché abbassa le difese e ci libera dall’infrastruttura sociale che portiamo tutti addosso come un esoscheletro. In questo periodo le aziende hanno bisogno di persone prima ancora che di professionisti, perché sono loro che fanno la differenza in un’organizzazione. È un linguaggio che accomuna tutti, ed è particolarmente vicino alla Z Generation, cioè le persone che si stanno affacciando sul mercato del lavoro e saranno i manager dei prossimi anni. Troppo spesso vediamo processi di selezione o formazione noiosi, non disegnati sulle esigenze delle persone. Semplicità, velocità e interesse sono oggi driver primari, e nel gaming si ritrovano in modo naturale.

Come si inserisce un videogame in un processo di assessment?
Il videogioco come tale va a sostituirsi o integrarsi all’assesment tradizionale, che come minimo durava sei ore, fatte di test, colloqui, prove. E alla fine veniva elaborato un report. Era una pena per i valutatori e per i partecipanti. Attraverso il videogioco in 20 minuti riusciamo a fare la stessa cosa, ma in modo molto più gradevole per tutti. Funziona a prescindere dal livello di seniority o dalla tipologia di posizione. Che sia uno junior o un neoassunto, o un manager cinquantenne o più, questa tipologia di strumento consente di indagare in modo appropriato e ottenere un risultato affidabile. Poi, che le persone spesso restino deluse nella ricerca di una nuova realtà più vicina alle proprie esigenze è comunque ancora un fatto. Ma la grande sfida che ci si presenta è proprio il cambiamento radicale della cultura del lavoro e, anche se la cultura imprenditoriale non sta evolvendo come dovrebbe, prima o poi si arriverà a un punto in cui se ne dovrà prenderne atto a costo di perdere in competitività e redditività. Investire nel benessere dei propri collaboratori per un’azienda oggi vale tantissimo, soprattutto in questa fase caratterizzata da un crescente dinamismo. Non è più la dimensione aziendale o il brand noto a fare la differenza, e quando inizio una selezione devo sapere come propormi rispetto allo smart working, ai valori, al welfare e così via.

Valori come fedeltà, serietà, affidabilità sono fuori moda oggi?
Il dato delle persone che hanno cambiato lavoro negli ultimi anni parla chiaro: cercano qualcosa di diverso dal solo stipendio, cioè un posto dove potersi esprimere, trascorrere del tempo di qualità con i colleghi, crescere professionalmente. Il lavoro è sempre meno un posto, e sempre più un sistema di rapporti professionali e personali. Quello che fa la differenza è il fitting tra cultura aziendale e cultura delle persone: se viene a mancare, le aziende sono destinate a perdere le loro migliori risorse. Stiamo uscendo dal concetto di tecnocrazia pura, cioè la valorizzazione delle persone sulla base di ciò che sanno fare, per entrare in un’ottica di valorizzazione dell’intero individuo. Chi non si sente apprezzato può decidere di cambiare organizzazione. Fino a qualche tempo fa cambiare lavoro sembrava quasi un tradimento, oggi ci si guarda in giro per cercare aziende che possono corrispondere in modo più autentico alla propria visione.

Il dipendente che gioca deve aspettarsi conseguenze dall’esito?
Dipende dalla finalità del game. Nel caso dei giochi rivolti alla selezione del personale l’esito è di tipo valutativo, ma sempre in ottica human friendly. Al candidato viene rilasciato un report di cortesia. All’azienda viene dato un report che va ad analizzare le caratteristiche che l’azienda ritiene essenziali, legati alla candidatura. È l’azienda a decidere se gestire il tutto in modo anonimo oppure no. Nel caso dell’assessment rispetto al livello di wellness o di diversità e inclusione il report individuale non viene mai condiviso con l’organizzazione. All’azienda vengono restituiti dei dati aggregati con un report esplicativo. L’obiettivo è dare uno spaccato realistico della situazione in azienda.

È previsto che un gamer possa barare nella risposta?
Per gli strumenti psicometrici esistono le cosiddette scale lie, cioè di controllo. Noi ne usiamo tre: una scala di coerenza nelle risposte date lungo il gioco; una di desiderabilità sociale, cioè una tendenza esagerata a risposte socialmente accettabili e dei meccanismi che riguardano il modo in cui il giocatore usa la piattaforma, come il numero di clic, i tempi di risposta, il movimento del mouse. Tutto questo permette di capire il comportamento inconsapevole del gamer e, quindi, il suo livello di sincerità nelle risposte.

Siete in campo su Mamacrowd per un obiettivo di sviluppo ambizioso. In che direzioni prevedete di espandervi?
Uno dei nostri obiettivi è creare cultura, non semplicemente un prodotto che ne sostituisca un altro. Abbiamo scelto, quindi, di rendere il più possibile visibile su Mamacrowd quello che facciamo, dopo anni chiusi a studiare, sperimentare, effettuare test di validazione scientifica con laboratori universitari per dimostrare la validità dello strumento gioco. Stiamo acquisendo clienti importanti come Cassa Centrale, ed è significativo che una banca d’impostazione tradizionale ci utilizzi per la selezione dei nuovi talenti. Barilla ci ha scelto per l’analisi della D&I.

Qual è oggi la situazione nel nostro continente, rispetto alla madre di tutte le culture imprenditoriali, gli Usa?
Se l’Europa è mediamente indietro almeno di cinque anni, rispetto alla controparte statunitense l’Italia lo è almeno di dieci. Gli Usa questa fase l’hanno già vissuta e ora sperimentano una sorta di effetto plafond. In Europa la crescita in parte è stata innescata dal Covid, e sta accelerando. Probabilmente non arriverà mai ai numeri degli Stati Uniti e di diversi Paesi asiatici, ma almeno non c’è inversione di tendenza. E sarebbe strano il contrario, perché nel mondo si contano 3,3 miliardi di gamer non occasionali, e gli eventi legati al gaming oggi sono quelli più seguiti a livello di pubblico. La finale di League of Legends (strategy multiplayer online game del 2009, ndr) fa più spettatori della finale dei mondiali di calcio, del Super Bowl e dell’Nba messe assieme.


Intervista pubblicata su Business People di settembre 2023, scarica il numero o abbonati qui

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