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Meta-Siae: il mancato accordo è un’arma a doppio taglio

Il punto di vista di Enzo Mazza, Ceo della Fimi, sul braccio di ferro Meta-Siae

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Questa intervista è parte di

I numeri (positivi) del mercato discografico in Italia

Quanto pesa il mancato accordo Meta-Siae? Di che cifre parliamo?
I soggetti in gioco sono molteplici. La Siae rappresenta gli interessi gli autori ed editori, e deve rinnovare un contratto con Meta in modo che continuino a essere riconosciuti economicamente i loro diritti. Al momento* non è stato trovato un accordo, e dunque su Facebook e Instagram non è possibile caricare brani di artisti rappresentati da Siae. Mentre ignoro la cifra che di conseguenza non entra nelle casse della stessa Siae e degli autori, posso però quantificare quella che viene a mancare sul mercato discografico italiano. Nonostante le case discografiche, grandi, piccole e indipendenti, abbiano già i loro accordi di licenza con Meta, nel caso la situazione perduri arriveremo a perdere un incasso sostanzioso. Basti pensare che nel 2022 i ricavi dai social sono stati superiori ai 20 milioni di euro. È un problema serio. Quel mercato rappresenta un 5% dei consumi di musica in Italia. Significa rimetterci decine di migliaia di euro al giorno. Non solo, si rischia anche di creare delle fratture fra l’artista e il suo pubblico, perché viene a mancare uno strumento promozionale molto importante. Abbiamo fatto appello alle istituzioni perché cerchino di convincere i due soggetti a tornare al tavolo di contrattazione prima possibile.

È una questione solo italiana o succede anche in altri Paesi?
In questo momento il problema è in Italia. L’anno scorso è stata recepita la Direttiva sul Copyright, quindi si sono aperti nuovi modelli anche giuridici di relazione fra piattaforme e aventi diritto. Siae si è ritrovata a dover rinnovare subito dopo la Direttiva, quindi i due soggetti hanno dovuto affrontare una questione non solo economica, ma che coinvolgeva anche elementi relativi a dati, informazioni, modelli di trasparenza e altro. Non si può escludere che al momento dei rinnovi in altri Paesi si creeranno situazioni simili. E non solo a livello di diritti di autore, ma anche per quanto riguarda i negoziati con le case discografiche.

In Australia TikTok ha fatto qualcosa del genere, ma ha cominciato a perdere utenti.
Le piattaforme hanno un grande potere. Sono dei gatekeeper: senza di loro la musica non arriva ai fan. Però, devono tenere conto che l’arma che hanno in mano può essere a doppio taglio. Meta farebbe bene a tener conto di quanto sta succedendo a TikTok in Australia. In Italia molti creator e musicisti stanno già lasciando Instagram per spostarsi su TikTok.

Se la vicenda si ripetesse anche in altri Paesi, riterreste opportuno rivolgervi alle autorità europee?
Noi riteniamo che queste vicende vadano risolte sempre su base negoziale. Sono diritti esclusivi quelli che vengono trattati, non si può obbligare la piattaforma a usare la musica. Noi siamo perché il mercato prevalga su qualsiasi norma. Non può esserci una gestione del rapporto con le piattaforme di tipo normativo. La direttiva sul Copyright è più che sufficiente per regolare i rapporti tra piattaforme e titolari dei diritti.


* Intervista pubblicata su Business People di maggio 2023