Cristina Coral: il bello come valore assoluto

Una foto è bella quando sorprende o sconvolge mente e cuore. La pensa così la fotografa pluripremiata, che alle collaborazioni con il mondo della moda associa una ricerca personale sul fascino femminile

La fotografa Cristina Coral

L’intervista alla fotografa Cristina Coral è parte dello speciale

LA FORMA DELLA BELLEZZA 2024

«Quando comunica sentimenti mettendo in accordo immaginazione e intelletto la fotografia veicola bellezza». Cristina Coral, fotografa pluripremiata, con numerose collaborazioni con magazine di moda e lifestyle, è nota (32 mila i follower su Instagram) per concentrare la sua ricerca sulla figura femminile, confezionando immagini dall’aria malinconica, sentimentale, fiabesca. Da una decina d’anni le sue modelle ci appaiono come visioni, eteree e carnali allo stesso tempo. Mentre sta lavorando alla pubblicazione di un volume su questa sua ricerca sulla bellezza femminile, riflette con noi sul suo percorso.

Che cosa significa, per lei, che è una foto è bella?
Mi piace pensare che la bellezza sia un valore assoluto, che si fa riconoscere prescindendo dall’osservatore. Una foto è bella quando sorprende o addirittura sconvolge: a volte si svela nel dettaglio di un istante, a volte può nascondersi dietro un’imperfezione.

Com’è nato il suo amore per la fotografia?
Chi fotografa viene spesso spinto dalla passione e dalla curiosità. A me, perlomeno, è capitato così: anni fa mi regalarono una macchina digitale e ho cominciato a ritrarre ciò che vedevo attorno a me, facevo street photography e mi dedicavo all’architettura, poi è aumentato l’interesse per la figura umana, femminile in particolare. Nel frattempo, ho frequentato un corso e ho capito che la fotografia sarebbe stato lo strumento giusto per la mia scoperta del mondo, per la mia crescita.

Chi sono maestri di riferimento di Cristina Coral?
Sono cresciuta in una famiglia di artisti, ho respirato musica, danza e teatro fin da piccola. Direi che il maestro più importante è stato mio padre Giampaolo, compositore di musica da camera e contemporanea, perché ha accresciuto la mia sensibilità, mi ha educata al bello.

Uno degli scatti di Cristina Coral © Cristina Coral

Come sceglie le modelle che fotografa?
Sono quasi sempre ragazze che incontro per strada, spesso studentesse che frequentano l’Università di Trieste e che mi colpiscono per un dettaglio particolare. Sono tutte molto diverse, ma devono avere qualcosa che accende la mia attenzione. Spiego loro che tipo di lavoro faccio, che svolgo ricerca visiva sul femminile e quasi sempre si fidano e collaborano.

Su quale parte del corpo si concentra maggiormente la sua ricerca fotografica?
Le mani. È una parte del corpo che ho amato sottolineare fin dai primi scatti. Ci sono mani che sono vere e proprie opere d’arte: con la loro grazia, paiono quadri. Per ritrarle faccio muovere spontaneamente le mie giovani modelle: mi piace cogliere la bellezza nella verità del gesto. Mi sono interrogata varie volte sul perché io sia così attratta dalle mani: forse la mia ricerca è collegata al ricordo di mio padre, che suonava spesso il piano, ma anche al calco di una mano di Chopin che i miei genitori avevano preso da un antiquario a Parigi e che campeggiava nel nostro salotto…

Come nascono i suoi scatti?
Il primo passo è la ricerca di un luogo adatto: sono sempre a caccia di stanze dal gusto retrò o di ville abbandonate che abbiano l’atmosfera adatta. Poi viene la scelta degli abiti e degli accessori da far indossare alle modelle. Il lavoro preparatorio è lungo, complesso. Lo shooting è il momento più bello perché è come una magia naturale. Ogni scatto nasce da un’intuizione momentanea.

Qual è il suo rapporto con i social? Influenzano il suo modo di fotografare?
I social sono importanti per la comunicazione e la condivisione del mio lavoro, ma non mi hanno mai influenzato. Viviamo in una società sempre più intossicata da condizionamenti dove l’artista o si adegua o si rifugia nell’ isolamento, invece per me fotografare è un atto privato, che nasce da processi mentali mossi da un dialogo interiore e da intuizioni improvvise. Mio padre Giampaolo mi ha insegnato che «quando si riesce a costruire un’isola interiore che sta nel mondo, ma è lontana dal rumore del mondo, allora non si ha più bisogno di ulteriori spazi vitali e ci si appropria della dignità morale e della libertà creativa». Questa è la bellezza dell’arte.

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