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I veri ambasciatori d’Italia

Le storie di “persone normali” che hanno lasciato la penisola e sono diventate imprenditori di successo all’estero. Producendo coni gelato, marmellate o rame. Ecco chi sono e cosa fanno

Non esiste Paese al mondo dove l’Italia non sia presente con le sue rappresentanze ufficiali. Eppure il più delle volte i veri “ambasciatori” nostrani sono gli italiani di frontiera, quei compatrioti che esportano il “made in Italy”. In tanti sono attratti da un richiamo irresistibile, proprio come è accaduto a Roberto Bonzio, giornalista dell’agenzia Reuters a Milano, figlio d’arte e ideatore di un sito internet che è già diventato un “caso” della rete. Sì, perché “Italiani di Frontiera” non è solo una semplice piattaforma on line dove i connazionali all’estero si possono ritrovare, ma – come racconta lo stesso Bonzio sul sito – «una performance di storytelling multimediale “dal West al Web’”, con conferenze e seminari in giro per l’Italia». Insomma, uno specchio di quell’Italia sparsa per il mondo, che il successo l’ha ottenuto realizzando un sogno, piccolo o grande che sia. Bonzio ne è rimasto talmente affascinato che un bel giorno di tre anni fa si è preso sei mesi di aspettativa dal lavoro, ha fatto le valigie ed è volato con moglie e due figli negli Stati Uniti, in Silicon Valley, per conoscere di persona cosa significhi “essere di frontiera”, ossia “mettersi in gioco, partire senza sapere quel che si troverà e dove si finirà”.Dalla sua esperienza parte un breve ma intenso viaggio alla scoperta di imprenditori e manager italiani all’estero, i veri “ambasciatori d’Italia” nel mondo.

«Ho portato i coni per il gelato in Cile»«Nessuno in Cile sapeva cosa fossero i coni gelato». E allora ci hanno pensato Ferdinando Pezzoli e suo zio a spiegarglielo. Anzi, si sono messi direttamente a produrli, i coni. Pezzoli è emigrato in Sud America nel 1954. La seconda guerra mondiale, il nonno morto sotto i bombardamenti, un Paese che non dava speranze: questi i motivi che lo spinsero a varcare l’oceano. «Nell’officina di mio zio, a Santiago, iniziammo a fabbricare due macchine manuali per produrre i coni». Fino a distribuire cialde per gelati in tutto il Sudamerica e alle multinazionali Unilever e Nestlé, attraverso una struttura di 125 dipendenti, 6 milioni di fatturato e una produzione complessiva di 260 milioni di cialde. «Che cosa c’è di italiano in tutto questo? C’è una famiglia nata in Emilia con quello spirito di fare e fare bene, di non arrendersi mai alle avversità, di avere dignità anche di fronte a persone che ti consideravano sconfitte guerra».

La Nutella spiegata agli australianiSpiegare a un popolo ignaro che sul pane, oltre al burro di arachidi, ci puoi spalmare pure qualcosa di diverso, non è semplice. Eppure Rocco Perna ce l’ha fatta, e oggi si trova a vestire i panni di Ceo di Ferrero Australia. Perna è sbarcato in Australia nel 1984 e da quell’anno non si è più mosso. «Il nostro Gruppo ha avuto una vocazione internazionale prima ancora che si parlasse di globalizzazione, il signor Ferrero ha scelto il mondo come mercato per portare la creatività, l’innovazione e la forte cultura di impresa tipiche di noi italiani». La Nutella, comunque, «ci ha fatto “sudare” un bel po’: farla entrare nelle case degli australiani è stata una vera e propria sfida», racconta. Le ricerche non consigliavano di investire su quel prodotto, e gli australiani sono abituati a spalmare sul pane la “vegemite”, un prodotto dal gusto salato che ricorda il dado da brodo. «Ma non ci siamo certo scoraggiati. Innanzitutto abbiamo spiegato cosa fossero la Nutella e le sue ragioni nutritive. Oggi la nostra strategia è un ponte tra la razionalità e l’emozione del prodotto.

Il “re” del rame americanoGiuseppe Baldassarri arriva negli Usa 33 anni fa come dipendente di una grande società. Scopre che le potenzialità del mercato sono enormi, e decide di rimanere lì per investire e fondare la Gbc Tecnologie Inc, azienda di consulenze nella produzione e lavorazione del rame, e nel 1990 dà il via alla Filowire, specializzata in produzione di conduttori elettrici sempre di rame. Baldassarri, persona riservata e molto impegnata, lo racconta un suo collaboratore, Stefano Vagnini. «Giuseppe è orgoglioso di essere italiano e romagnolo in particolare. La sua casa, il cibo, l’abbigliamento e tutto ciò che lo circondano sono per la maggior parte italiani. Da ingegnere ha saputo sfruttare le sue qualità creando “know how” e tecnologie all’avanguardia rispetto al mondo intero». Tanto che le sue aziende sono in costante rapporto con l’Italia per quanto riguarda le forniture di macchinari e componenti. Non a caso, all’ingresso della GBC/Filowire è presente un palo sul quale sventolano le bandiere americana e italiana.

Il giornalista che vende marmellateUno va in Costa Rica per un reportage giornalistico, poi qualche anno dopo si ritrova a vivere lì sposato con una donna conosciuta nel viaggio, due figli e una piccola azienda di successo che produce marmellate. «Quindici anni fa insieme al mio futuro cognato peruviano ho fondato Alifruti Sa, con sede ad Alajuela, seconda città del Costa Rica. Oggi produciamo marmellate per il mercato all’ingrosso e per il pubblico, e siamo pure diventati i fornitori ufficiali del gruppo Wal-Mart per il Centroamerica, ma esportiamo i nostri prodotti anche in Usa e Canada», dice Maurizio Campisi. Di tornare in Italia, nessuna intenzione. «Noi italiani abbiamo perso la nostra identità. Chi ha ambizione e qualità da noi troppo spesso deve trovare soluzioni alternative alla mediocrità imperante. Il successo», spiega, «è dovuto alla costanza e alla perspicacia, all’audacia e alla perseveranza, qualità degli italiani che hanno voglia di lavorare e di primeggiare».

La bottega virtuale del vinoUn borgo virtuale di vendita del vino e in generale dei prodotti “wine-food” di qualità italiani. Con l’obiettivo di aggredire principalmente i mercati giapponesi e statunitensi. L’idea innovativa, ribattezzata Porcovino.com, è venuta a un gruppo di italiani – Giovanni Segni, Eugenio Velitti e Giulio Concas – pronti ora a girare mezzo mondo per lanciare la loro impresa, che sbarcherà tra alcuni mesi nel Sol Levante. «La nostra mission», spiega Segni, «è la creazione di un marketplace vivo, dove la struttura di navigazione e il layout sono costruiti attorno al concetto di borgo». Così che l’acquirente con gli occhi a mandorla ciccando sul sito si possa sentire immerso in una piazza medievale italiana. L’e-commerce è la nuova frontiera su cui puntano questi italiani “senza patria” dal punto di vista imprenditoriale. «Andiamo alla fonte e ci rivolgiamo direttamente al cliente finale», continua Segni, «fungendo da importatore diretto e retailer via Internet, con un magazzino in Giappone e uno negli Stati Uniti mentre la casa madre Italia gestirà i servizi tecnologici».