Grazie Unipol ci hai fatto crescere

Le cooperative della grande distribuzione continuano a crescere in una fase di mercato stagnante. Tutto questo in mezzo alla bufera politica e mediatica che ha spazzato via i vertici Unipol. Vicenda che, secondo il presidente di Ancc-coop Aldo Soldi, ha finito per rafforzare il sistema. Che adesso non esclude l’avvicinamento alla borsa

Il settore della grande distribuzione in Italia è caratterizzato da una forte competizione. Come si sta muovendo Coop con la duplice finalità di dare maggiori benefici al consumatore e di crescere ulteriormente?Il settore della gdo effettivamente è investito da una fortissima competizione. Ci sono i grandi gruppi multinazionali stranieri, alcuni operatori italiani decisamente agguerriti, operatori di dimensione regionale o interregionale che si stanno potenziando. Inoltre questo avviene in una situazione in cui i consumi non vivono il massimo splendore. Come rispondiamo? In primo luogo mantenendo ferme le nostre caratteristiche di impresa efficiente e allo stesso tempo organizzazione di consumatori. Siamo nati per difendere il potere d’acquisto dei consumatori e per consentire il miglior rapporto possibile qualità-prezzo: “prodotti di qualità a prezzi bassi” dicevano i nostri padri fondatori. Su questa strategia noi non abbiamo mollato né intendiamo mollare di un millimetro. I nostri prezzi oggi sono assimilabili a quelli del 2002, in più abbiamo investito molto sulla qualità e la sicurezza. L’altro elemento è quello dello sviluppo, relativo all’incremento delle quote di mercato. La scelta è stata quella di una crescita multicanale (ipermercati e grandi centri commerciali, supermercati, piccoli super­mercati e discount), e su tutto il territorio nazionale.

Attualmente siete deboli nel Mezzogiorno.Al Sud abbiamo bisogno di crescere e spazio ce n’è, in particolare in Sicilia. Comunque dal momento che la concorrenza si va rafforzando anche nelle regioni do­ve siamo storicamente più forti, intendiamo potenziar­ci anche in queste aree. L’altra cosa che non separiamo mai dalla parte economica è la componente più propria­mente sociale, nel senso che la nostra presenza in un ter­ritorio vuol dire anche creazione di reti con le associazio­ni del volontariato che ci consentano di promuovere so­lidarietà a livello internazionale. Su questi elementi che connotano la nostra responsabilità sociale abbiamo tenu­to ferma la barra anche in questo periodo che non è certo brillante per l’economia italiana in generale.

Tornando alle strategie andiamo nel dettaglio. Cosa fa­rete con i prodotti a marchio Coop?È un argomento per noi molto importante, come del resto per tutta la gdo a livello mondiale, dal momento che ser­ve a creare una maggiore fidelizzazione verso i propri con­sumatori e anche per affrancarsi un po’ dalla potenza dei fornitori. Noi comunque siamo i primi in Italia, con una media di circa il 20% del fatturato e punte del 50% su de­terminate referenze. Vorremmo arrivare al 25% in tre an­ni, anche perché se ci confrontiamo con Tesco o Carre­four siamo su valori molto inferiori. Il prodotto a marchio Coop deve avere precisi contenuti di qualità, di salubri­tà, di rispetto dell’ambiente che sono propri della nostra cultura. Ad esempio il prodotto a marchio è “ogm free”. L’altra scelta importante è stata quella di valorizzare forte­mente la produzione italiana, soprattutto di piccole e me­die imprese, cooperative e non, ad esempio nella pasta, nel caffè e nell’olio. L’importante è che rispettino i nostri ca­pitolati di produzione, che sono molto severi. Anzi essere nostri fornitori è una credenziale importante sul mercato.

Quanto pensate di incrementare i soci clienti e quanto di intervenire sui prezzi?I soci sono in crescita (anche l’ultimo anno sono aumen­tati del 4%, adesso sono 6,5 milioni) e noi lavoriamo per sostenere questo trend. Il Mezzogiorno sarà senz’altro un bacino importante. Sui prezzi negli ultimi anni, segnata­mente dall’introduzione dell’euro, la grande distribuzio­ne nel suo complesso in Italia ha svolto un decisivo ruolo di calmieratore. In questo ambito noi abbiamo lavorato per migliorare le relazioni con i fornitori, per ottimizzare la nostra organizzazione e per contenere i margini: tutto questo per venire incontro al meglio in termini di prezzi al socio/consumatore. Stiamo anche assumendo, soprat­tutto donne e giovani, un migliaio lo scorso anno.

E veniamo ai farmaci da banco. Dopo il boom iniziale il fenomeno sembra in fase di rallentamento.No, è solo un’impressione esteriore in relazione al gran­de impatto mediatico che c’era stato un anno fa in fase di avvio. Lo sviluppo “normale” non fa notizia. L’ingresso in questo settore è uno degli assi fondamentali della nostra strategia. L’operazione sta rispettando gli obiettivi, abbia­mo aperto circa 80 corner, che hanno garantito importan­ti risparmi per i consumatori, nell’ordine del 25% medio.

Ma la redditività per voi è bassa.Certo è inferiore a quella media, siamo sul 3-4%, tenen­do conto che abbiamo un assortimento molto inferiore alle farmacie ma l’obbligo di avere farmacisti in organi­co. E poi c’è un certo incremento del traffico, oltre all’au­mento della fidelizzazione. Comunque margine basso, ma pur sempre margine.

Quando vedremo l’aspirina Coop?Presto. Più che aspirina sarà un prodotto simile al Vi­vinC, e potremmo produrre anche un antipiretico simi­le alla Tachipirina.

Ve li produrrà, come si è letto, Flavio Briatore? Soldi-Briatore, una strana coppia!Se lei si riferisce alla Pierrel, Briatore ne è solo azionista e non si occupa della gestione dell’azienda. Non so con chi lo faremo, certo vorremmo privilegiare un produttore ita­liano. Il percorso semmai è complicato sotto il piano delle autorizzazioni, che da un certo punto di vista va bene per­ché vuol dire che si tutela il cittadino consumatore.

Stazioni di servizio: la percezione è che qui la situazio­ne sia ferma.No, non è ferma, in questi giorni c’è un provvedimento all’attenzione del Senato che contiene delle misure in­teressanti; dobbiamo aspettare e vedere cosa verrà fuori. Certo ci sono delle resistenze da parte delle compagnie. Se si apriranno spazi noi saremo interessati a valutare le opportunità. Comunque non abbiamo ancora un piano industriale in materia.

Invece la telefonia sembra essere partita bene.Sì, il prodotto “Coop voce” è decollato rapidamente. La forza della proposta è stata la sua caratterizzazione: una ta­riffa trasparente, chiara e conveniente, in un settore ca­ratterizzato da grande confusione tariffaria.

E sul fronte dell’energia?La liberalizzazione è stata ormai avviata ma è ancora troppo recente per poterne sentire con chiarezza i bene­fici. Anche in questo caso, come per le stazioni di servi­zio, stiamo studiando la situazione, pronti a preparare un piano industriale appena ce ne saranno le condizioni.

Da ultimo le librerie a marchio Coop.C’era e c’è un progetto, che si sta progressivamente espandendo sul territorio, una bella esperienza che man­tiene le premesse su cui è partita.Ma qual è il fattore distintivo, per quale motivo un let­tore dovrebbe comprare i libri da voi invece che nella vicina libreria Mondadori o Feltrinelli?L’elemento forte, più ancora dell’assortimento e della location, che pure sono eccellenti, è quello umano: ab­biamo puntato con forza sulla qualità professionale, re­lazionale e umana del libraio, una figura che rischiava l’estinzione nella sua accezione più nobile.A livello generale sono evidenti i dati della crisi dei con­sumi alimentari, in diminuzione costante negli ultimi anni: quanto questo è in linea con la tendenza europea a un incremento parallelo degli acquisti non alimenta­ri, quanto invece è legato alla riduzione del potere d’ac­quisto delle famiglie?Sono in atto diversi fenomeni. Il primo è che sull’allo­cazione del reddito delle famiglie incidono in manie­ra importante i consumi “obbligati”: energia, carburan­ti, assicurazioni, affitti, mutui. In una situazione in cui il reddito non aumenta questa parte è sempre più pe­sante. L’altro fenomeno è la diversificazione dei consu­mi, ad esempio aumentano le spese per i viaggi e per l’acquisto di automobili mentre quelle per gli alimentari stentano; questo a livello globale, non solo italiano. Complessivamente i consumi non stanno tirando molto, ma non si può nemmeno parlare di blocco.

Passiamo alle domande “politiche”, di sistema. La vicenda Unipol sembra lontana dall’essersi conclusa, anzi le polemiche delle ultime settimane l’hanno rinfocolata e l’autunno promette scintille. Che danni ha subito (se ne ha subiti) il sistema Coop e come ne sta uscendo?Abbiamo subito un attacco forte e strumentale, tanto più se pensiamo a quando è stato scatenato, durante la campagna elettorale 2006. Attraverso le cooperative si è cercato di attaccare partiti politici.Un partito politico…Un partito politico, sì, i Ds. Senza dubbio l’attacco c’è stato. Ma le cooperative non hanno subito danni sul piano del rapporto di fiducia con i propri soci e consumatori in generale. Per tre ragioni: innanzi tutto perché sono state in grado di dare una buona soluzione alla vicenda Unipol, per quanto riguarda sia i manager sia le politiche. Poi per molti aspetti si è capita la strumentalità degli attacchi. E l’altro elemento è che Coop ha saputo reagire anche proponendo una serie di nuove iniziative dalla parte del consumatore, quelle di cui abbiamo parlato prima. Coop non si è chiusa in difesa a leccarsi le ferite, ha reagito, ha preso delle iniziative importanti, ha rafforzato il suo legame con soci e consumatori, è cresciuta. Alla fine si può dire che la vicenda Unipol ci ha reso più forti e dato ulteriori stimoli al nostro sviluppo.

A che punto è il ricorso presentato da Federdistribuzione alla Commissione europea contro i presunti vantaggi fiscali del sistema cooperativo?Il ricorso è stato presentato, non contro di noi ma contro lo Stato italiano, nell’aprile dello scorso anno, guarda caso in piena campagna elettorale. Attualmente è all’esame dei competenti organi comunitari e francamente non so prevederne i tempi. Quello che mi sento di dire è che a un Paese fa bene la compresenza di più tipologie societarie e la cooperazione può benissimo convivere con le società di capitali tradizionali, è una dialettica positiva. Voler attaccare il modello cooperativo è solo miopia politica.

Una parte consistente dell’opinione pubblica vi identifica come uno dei pochi beneficiari delle liberalizzazioni di Bersani. Cosa risponde a queste critiche?I beneficiari delle liberalizzazioni sono innanzi tutto i consumatori, anche se è troppo presto per valutarne la portata complessiva. Per quanto invece riguarda le aziende della distribuzione, sui circa mille punti vendita che hanno aperto i corner farmaceutici noi ne abbiamo solo 80, gli altri sono tutti dei nostri concorrenti italiani e stranieri. E quando apriranno le prime stazioni di servizio, prima di noi si muoveranno di sicuro Carrefour, Leclerc e Auchan, che nel settore hanno già un’espe­rienza consolidata in Francia. Non vedo francamente quali liberalizzazioni siano state disegnate per noi. Non c’è nessun fatto concreto che lo confermi.

Sono sempre più frequenti i rumors circa uno sbarco in Borsa di alcune vostre società. Non temete di snaturare le vostre tradizioni, di modificare il vostro dna mutuali­stico, di perdere contatto con la vostra base sociale?Senza mitizzare né demonizzare la Borsa, il punto vero è che le cooperative hanno determinate finalità, cioè sod­disfare le esigenze di chi si associa a loro e rispondere a determinati principi e valori. Questa è la cosa che deve essere mantenuta. Se poi per raggiungere questi obietti­vi è necessario, in maniera strumentale, quotarsi in Bor­sa, non ci trovo niente di scandaloso. Io ad esempio ho gestito in prima persona la quotazione di Igd, la società che si occupa degli immobili. Se la Borsa serve per re­perire risorse finanziarie per crescere, se alcune società controllate dalle cooperative utilizzano il mercato borsi­stico, ripeto, non ci trovo niente di riprovevole.

Quanto flottante mettereste sul mercato e come verreb­bero trattati gli utili?Meno del 50% di flottante. Per quanto riguarda gli utili, se l’investitore è una cooperativa verranno assegnati al­la riserva indivisibile, se è un privato (persona, azienda, fondo) li ritirerà come in qualunque altra società di ca­pitali. Comunque come non escludo il ricorso alla Bor­sa, così sono sicuro che gli eventuali casi si conteranno sulle dita di una mano, massimo di due, su un totale di 15.000 cooperative in Italia. Non è una scelta politica, è una scelta meramente tecnica, strumentale.

All’interno del vostro sistema state discutendo sul­l’opportunità di adottare il sistema duale di gover­nance (cioè separazione tra la proprietà che esercita il controllo e il management che si occupa della gestio­ne). Non sembra che abbiate ancora trovato una po­sizione unitaria.Effettivamente stiamo discutendo sui due possibili sce­nari, partendo da esigenze condivise da tutti. Il nuovo diritto societario concede alle cooperative ampia autonomia statutaria, per cui credo che ci sia spazio per entrambi i modelli, a seconda delle situazioni, e che siano ipotizzabili anche degli adattamenti, forme di evoluzione del modello tradizionale. Sempre nella logica dello sviluppo, abbiamo tenuto per ultima la strada delle acquisizioni.

Avete già preso di mira delle aziende target? E già che siamo in argomen­to, Esselunga è ancora lì…Beh, certo si cresce anche attraverso le acquisizioni, ma se avessimo qualcosa in mente certo non la racconte­rei ai giornali! Comunque il mercato italiano non sem­bra offrire occasioni particolarmente interessanti, visto lo shopping fatto negli anni scorsi dagli operatori stra­nieri. Per quanto riguarda Esselunga, ormai è una que­stione che appartiene al folklore.

D’accordo, ma in una ipotesi di fantapolitica, se fosse possibile acquistarla, o acquistare un’altra azienda ana­loga di quella taglia, avreste i soldi per farlo?I soldi si troverebbero

LE PASSIONI DI SOLDI
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