“Fare scelte di valore”: intervista a Giovanni Fantasia, a.d. di Nielsen

Gli italiani sono sempre più attenti alla qualità rispetto al prezzo. Alle aziende chiedono prodotti buoni, salutari e in grado di far risparmiare tempo, ma anche innovativi e sostenibili. Contenuti che produttori e distributori devono imparare ad assecondare offline e online, secondo Nielsen, per combattere l’innato scetticismo tricolore

A otto anni dalla crisi economica che ha comportato rinunce e scelte differenti per le spese quotidiane, con un inevitabile occhio di riguardo al portafoglio, si sono evidenziati cambiamenti sostanziali in merito alle abitudini di acquisto. Come spiega Giovanni Fantasia, amministratore delegato di Nielsen Italia, oggi nel carrello degli italiani – tradizionalmente legati a latte e pasta, pilastri della dieta mediterranea – figurano sempre più sostituitivi a base di soia e riso e articoli gluten free, accanto a piatti freschi già confezionati. Gusto e qualità, tuttavia, continuano a essere due fattori irrinunciabili, oltre all’interesse per proposte nuove e alternative, che consentono di ridurre i tempi di preparazione e di fruizione, dalle zuppe pronte al salmone affumicato, sempre, però, in un’ottica salutistica. Non solo. La clientela che frequenta i supermercati è molto più esigente e consapevole rispetto al passato, anche grazie all’uso sistematico di canali digitali, community online e social network per rafforzare le proprie conoscenze e confrontarsi con altri utenti. In base a quanto emerge dagli ultimi studi, si tratta non di mode passeggere, ma di trasformazioni strutturali destinate a durare nel tempo: anche per questo è fondamentale che le aziende tengano conto delle aspettative crescenti del popolo tricolore per vincere le prossime sfide del mercato.

Come si traduce la ricerca della qualità nella “borsa della spesa” dei nostri connazionali e che tipo di connotazioni ha assunto?Per capire come si sono evolute le nostre abitudini negli ultimi anni, può essere utile considerare l’indice di fiducia del consumatore, che è sostanzialmente sceso a partire dal 2008. In particolare, è crollato dai 79 punti del 2011 ai 39 nel 2013 – quando ha raggiunto un minimo storico – per poi risalire lievemente a quota 44 nel 2014. Nell’ultimo trimestre 2016, l’indice a 59 conferma una ripresa, in linea con il trend degli ultimi due anni. Noi italiani non manifestiamo mai troppo ottimismo: basti considerare che il Consumer Confidence Index si attesta a quota 97 in Gran Bretagna e Germania, 74 in Spagna, 64 in Francia, con un valore medio europeo di 81. In una simile situazione, il consumatore della Penisola ha cominciato a ridurre le spese, da quelle per l’intrattenimento a quelle nel largo consumo. Nelle nostre indagini, abbiamo anche posto il quesito: “Se potessi, come torneresti a spendere?”. Al primo posto si collocano le vacanze annuali, i weekend e le gite, al secondo troviamo l’auto, mentre i prodotti di largo consumo sono passati al terzo, seguiti da intrattenimento fuori casa e abiti nuovi. Nella fase clou della crisi (dal 2012 fino al 2014), sono stati adottati, dunque, atteggiamenti virtuosi, diminuendo le quantità acquistate attraverso una sostanziale riduzione degli sprechi.

In un’Italia che cambia, quali sono i beni alimentari di maggiore successo? «Oggi i prodotti che ottengono più riscontro sono quelli che soddisfano le esigenze quotidiane, con un’attenzione particolare a quelli che rispondono meglio a necessità legate a benessere e naturalità», spiega Giovanni Fantasia di Nielsen: «Guidano la crescita del comparto i gluten free, quelli senza lattosio, ad alta digeribilità, le gallette, i cibi ottenuti con soia, riso e derivati. Piacciono molto anche quelli che semplificano la vita e permettono di ridurre i tempi di preparazione, come le zuppe pronte, le insalate già lavate e pulite, i salumi affettati confezionati, i tramezzini. Latte, sale e zucchero raffinato, invece, sono in diminuzione. Nel caso dei prodotti freschi, poi, nei primi quattro mesi di quest’anno si è registrata una crescita di frutta fresca e pesce fresco, mentre i consumi di carne hanno subito un calo».

Quali sono le conseguenze sul rapporto qualità/prezzo? Quest’ultimo gioca sempre lo stesso ruolo di dieci anni fa?Il prezzo ha guidato in modo forte le scelte d’acquisto. Prima del fallimento della banca Lehman Brothers, era il driver principale pur non compromettendo la ricerca della qualità. E ha continuato a esserlo ancora per qualche anno dopo il crack. A fronte di ciò, il consumatore ha compensato un carrello più povero con maggiori preparazioni casalinghe e una riscoperta dei valori familiari. Dal 2015, invece, con un miglioramento della situazione economica, abbiamo riscontrato un aumento delle quantità acquistate e una maggiore disponibilità a riconoscere un “premium price” sulla base di nuove abitudini di consumo connesse, per esempio, a esigenze salutistiche declinate in un’alimentazione sana e corretta. La qualità – che non viene per forza identificata in un prezzo elevato – è diventata importante soprattutto nell’ottica del valore che c’è dietro al prodotto acquistato. Una delle sfide future della grande distribuzione sarà dare ai clienti maggiore valore in ciò che acquistano, tenendo conto delle variabili di valore percepite dal consumatore stesso. Il quale non rinuncia al gusto e chiede prodotti con un apporto ridotto di grassi e calorie, meglio ancora se conservano naturalità e freschezza e se fanno risparmiare tempo.

Si registra una maggiore consapevolezza nei confronti delle modalità di produzione e della responsabilità sociale?Sì, perché gli italiani mostrano di avere comportamenti di consumo sempre più etici, con un’attenzione crescente a tematiche ambientali. Sono ritenuti sempre più importanti gli attributi di unicità e autenticità dei prodotti. Il 65% cerca di acquistare alimenti Igp, Doc, Dop; il 56% sta attento a mangiare solo cibi rigorosamente italiani. E ancora, il 34% predilige “il chilometro zero” e il biologico il 20%. Non da ultimo, c’è grande sensibilità anche rispetto al tema della sicurezza alimentare: il 52% sta attento alla provenienza e il 38% controlla la composizione degli alimenti e il loro valore nutritivo.

Nello Stivale seguiamo i trend europei e internazionali o esiste una via tutta italiana al consumo?Se consideriamo le tematiche legate alla sostenibilità e al benessere, siamo in linea con gli altri Paesi: siamo rispettosi dell’ambiente e abbiamo cura di noi stessi. Ci distinguiamo, invece, soprattutto in relazione allo stretto legame con la tradizione e con i prodotti tipici, peculiari di un determinato territorio. Il made in Italy, insomma, è un valore intrinseco, presente nel nostro Dna.

In che modo si rapportano i Millennials nei confronti di tutto questo?Innanzitutto, sono una fascia di consumatori che manifesta notevole considerazione per le questioni inerenti alla Corporate Social Responsibility (prodotti naturali, rispetto per l’ambiente, interesse per la provenienza) attraverso veicoli come il passaparola o lo scambio e la condivisione di commenti ed esperienze sui social network. Un aspetto da tenere in seria considerazione è che i giovani, oltre a essere gli acquirenti del futuro – il che li rende, di per sé, molto interessanti – già oggi influenzano notevolmente le scelte d’acquisto della famiglia, con percentuali che in certi casi arrivano anche al 90%. I Millennials dimostrano di essere più razionali e sempre più informati, anche grazie alle nuove tecnologie. Forse in virtù di quest’ultimo elemento, notiamo che hanno alte aspettative relativamente alla voce “innovazione” per quanto riguarda modalità produttive, prodotti finiti e shopping experience: per marchi e insegne, questa diventa una leva fondamentale per poter raggiungere questo segmento. La qualità, inoltre, è per loro imprescindibile, ma non per forza essa s’identifica con un brand famoso. E, pur di averla, sono disposti a pagare.

Esistono differenze tra donne e uomini?Sicuramente. Le prime sono caratterizzate da un approccio di acquisto più razionale nel pianificare la spesa e nel leggere le etichette e la provenienza degli alimenti. Hanno una maggiore propensione a spendere nel largo consumo rispetto ai secondi, che, invece, investono maggiormente in beni come auto, tecnologia, viaggi.

LA TECNOLOGIA HA CREATO

GRANDE ASPETTATIVA DI INNOVAZIONE

NEI PRODOTTI E NEI SERVIZI

Che importanza hanno assunto le nuove tecnologie per quanto riguarda le modalità d’acquisto?Innanzitutto, esse hanno comportato un’aspettativa crescente in termini di innovazione, sia dei prodotti commercializzati sia delle esperienze di acquisto. I negozi vincenti sono quelli in grado di presentare offerte che comunichino freschezza, di fornire ai clienti informazioni utili per l’acquisto e di soddisfare le richieste in tempi veloci. Il canale digitale assume un’importanza crescente, ma non è unico ed esclusivo. Funziona nella misura in cui va a integrarsi alle modalità e ai mezzi tradizionali.

La distribuzione tiene effettivamente conto di questi feedback da parte della clientela?Rispetto alla velocità di evoluzione della domanda, ci risulta un certo ritardo da parte dell’offerta nell’adeguarsi ai nuovi bisogni. Le catene che hanno dimostrato di essere al pari con le attuali esigenze del pubblico, per esempio, hanno fatto registrare un fatturato in crescita del 6,9% nel periodo gennaio-aprile 2016 rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Inoltre, evidenziamo che sono le aziende più piccole quelle che, probabilmente, riescono ad adattare con maggiore celerità la propria offerta per rispondere ai nuovi bisogni dei consumatori.

Quali scenari futuri si delineano per il settore del largo consumo?Farei una distinzione. Da un lato, i consumatori hanno la possibilità di compiere scelte sempre più consapevoli in termini di qualità, gusto tradizionale, salute e benessere, rispetto dell’ambiente. Danno sempre più valore associato alla “convenience”, alla possibilità di ottimizzare al meglio il proprio tempo nel processo di acquisto e, grazie all’uso della tecnologia, sono molto più informati rispetto al passato. Grazie a un mix virtuoso di canali online e offline, la linea di demarcazione tra i due ambiti è sempre più debole. Dall’altra, le aziende della produzione e della distribuzione devono dimostrare di soddisfare realmente le esigenze della clientela, inclusa l’aspettativa di innovazione di prodotto e di customer shopping experience. Il loro successo dipende dalla capacità di comunicare e di creare coinvolgimento in un contesto sempre più frammentato. Innovare, inoltre, significa anche mettere al centro il consumatore nella riorganizzazione di strategie, marketing, processi e sistemi. Le imprese devono puntare a rafforzare la propria brand equity, alimentando la fiducia dei clienti che non dovrà mai essere tradita. Ricordiamoci, infatti, che, grazie alla tecnologia e ai social, il passaparola è molto più amplificato, in senso positivo così come in quello negativo.

© Riproduzione riservata