Germania-Italia, loro sono forti noi siamo bravi

Gherardo Magri, capo della Vaillant Italia, spiega cosa succede quando si unisce l’eccellenza tedesca alla cultura italiana. «La ripresa? Ci vorrebbe così poco per tornare a crescere salvando l’ambiente…»

L’industria tedesca la conosce da vicino. Gherardo Magri, da gennaio, è al timone della germanica Vaillant Saunier Duval in Italia, ma già da prima, in aziende come Candy, Philips e Fiat, aveva conosciuto il made in Germany e lo aveva affrontato come si fa con un temibile concorrente. Ora che è dall’altra parte della barricata, può a ragione parlare del “modello tedesco”. Se esiste.

Dottor Magri, esiste?I tedeschi hanno nel Dna un’attenzione quasi maniacale alla qualità e una connotazione, soprattutto nella parte meccanica, molto qualificante. Hanno un campionamento dei prodotti a fine linea che è eccezionale e livelli di standard molto alti. Sì, il modello esiste e funziona perché riesce a garantire una qualità elevata e un prezzo che corrisponde al valore. Sanno rifiutarsi di competere al ribasso, ma senza trascurare l’entry level, soprattutto in un paese come l’Italia che ama la prima fascia di prezzo. Non diventano aziende di nicchia, concentrate solo sull’alta gamma, ma a tutti i livelli dell’offerta garantiscono prodotti di qualità grazie al focus sui dettagli e sui materiali usati. Per questo il made in Germany è apprezzato e riesce ad avere un posizionamento alto e un premium price. Vaillant è un po’ la Bmw del settore riscaldamento, non viene messa in discussione perché garantisce qualità e una rete di assistenza capillarissima.

L’alto livello di servizio è un’altra caratteristica del made in Germany?No, è un valore aggiunto dell’Italia, un campo in cui il tedesco ha poco da insegnarci. Nel nostro settore l’assistenza è una chiave di volta: il prodotto a cui è affidato il riscaldamento della casa non solo non si deve mai rompere, ma bisogna non accorgersi di averlo! Il servizio è una specialità degli italiani. Certo, bisogna fare tanta formazione e riuscire a trattenere i migliori tecnici, ma la passione dei nostri partner aiuta e ci permette di mixare bene la qualità tedesca e l’eccellente cultura di post-vendita italiana.

Non avete difficoltà a trovare personale specializzato?Ho scoperto con piacere che nell’assistenza tecnica c’è una certa ereditarietà: nella nostra rete sono diversi i casi di personaggi storici che hanno passato il testimone ai figli. C’è la passione per il prodotto e la fidelizzazione tra centro di assistenza e cliente è altissima, mentre in altri settori, con prodotti di largo consumo, conta meno la persona che si occupa del servizio. Ho visto tanti giovani appassionarsi a questo mestiere che potrebbe invece sembrare poco “di grido”.

La sfida green35% quota di energia primaria consumata per il riscaldamento degli edifici nell’Ue, contro il 28% assorbito dall’industria e il 31% del traffico23% quota delle caldaie a condensazione in Italia, contro il 42% dell’Ue
2,3 tonnellate emissioni annue di CO2 di ogni cittadino Ue per il riscaldamento-30% riduzione minima del consumo di energia per il riscaldamento se le caldaie a condensazione sostituissero quelle tradizionali2% quota di riscaldamento con fonti rinnovabili in Italia, contro l’11% dell’Ue

Che consiglio darebbe a un’azienda estera indecisa se investire in Italia?La prima cosa è darsi un’organizzazione italiana. Scegliere le persone giuste tra quelle che stanno sul territorio e conoscono il mercato è decisivo. Ci vuole un management team italiano. Spesso invece le aziende straniere arrivano e mettono il loro bravo (o magari bravissimo) manager che è stato in giro per il mondo, ma che in Italia non funziona. Il secondo suggerimento è avere un approccio flessibile in tema di infrastrutture, perché nel nostro Paese le leggi vengono “interpretate”. È importante quindi adottare un approccio mediato rispetto alle regole standard che vengono applicate ovunque nel mondo. Non si può arrivare con idee preconcette perché l’Italia è un paese complicato, che tende spesso a essere sottovalutato dalle multinazionali.

Parla per esperienza personale?Beh, sì, sono stato in Philips tanti anni, in Fiat, in multinazionali dell’alimentare e ho visto da vicino fare questi errori.

Quali sono le priorità politiche per l’industria italiana? Cosa dovrebbe fare un ministro dello Sviluppo economico al primo giorno di lavoro?Non è che se rispondo poi mi chiamano a far parte del governo? Scherzi a parte, di cose da fare ce ne sono tantissime, io prima di tutto scriverei una lista delle priorità per capire da dove cominciare. Mi metterei davanti un foglio bianco (un A4 però, non un gigantesco A3) e fisserei i quattro o cinque punti più importanti.

Da dove cominciare?Dalle energie rinnovabili, e in particolare dall’industria del riscaldamento. Questo può sembrare “Cicero pro domo sua”, però credo davvero che il governo dovrebbe investire sull’anima green dell’Italia, che ancora non è molto sviluppata. In questo la Germania ci batte 20 a 0. Il ministro potrebbe partire dando un sostegno vero alle aziende che si impegnano in progetti sostenibili, ma a fronte di riscontri oggettivi, non spargendo soldi a pioggia.

Quindi incentivi, ma non solo?L’incentivazione è la parte più eclatante, e talvolta anche più perversa degli stimoli, perché a lungo andare diventa una droga e, quando viene ridotta, il mercato crolla. Gli incentivi devono far parte di un pacchetto, insieme a sgravi fiscali alle aziende che fanno seriamente ricerca e sviluppo, e aiuti per la formazione dei tecnici e del personale specializzato. Sono idee semplici e abbastanza fattibili, ma che hanno difficoltà a entrare nelle priorità dei politici. Il settore del riscaldamento, poi, fatica a far sentire la sua voce con l’associazione di categoria Assotermica, dovrebbe imparare a contare di più come lobby: su temi come la sostenibilità ambientale, per esempio, ha un impatto molto forte. Basterebbe un poco per sostituire il parco caldaie con modelli a condensazione o a energia solare per avere un’importante riduzione delle emissioni.

La politica, insomma, non è attenta alla sostenibilità ambientale, e il consumatore?La coscienze ecologica degli italiani sta crescendo a ritmi impressionanti, anche se ancora è forte il ritardo rispetto ai paesi dell’Europa del Nord. Non mi stupirebbe, però, un grosso salto in avanti a fronte di un’azione di informazione e di stimolo. L’Italia ha dimostrato tante volte di essere in grado di recuperare in maniera inimmaginabile.

Ci sono dei segnali positivi in questo senso?Sì, ma ogni volta è una lotta per ottenerli! Con Assotermica siamo riusciti a mantenere nell’ultima finanziaria la detrazione fiscale del 55% delle spese di ristrutturazione e a semplificare le procedure per ottenerla. Un altro aspetto positivo è la certificazione degli immobili che finalmente è partita e può dare una spinta al green building. È importante capire che una casa di classe energetica A vale di più di una di classe G. Come azienda stiamo cercando di enfatizzare questo aspetto perché il riflesso della classificazione sul valore dell’immobile è immediato.

Qual è il giusto atteggiamento per affrontare i prossimi mesi?Noi stiamo cogliendo la ripresa e abbiamo segnali del mercato abbastanza significativi (come le caldaie a +8% nei primi otto mesi del 2010), ma ci vuole una spinta forte sulla filiera del sell out perché la distribuzione è sempre meno disponibile a stoccare la merce del produttore. I grossisti non accettano più di comprare oltre le necessità immediate e di fare delle scorte, anche per una questione finanziaria, perché nessuno ha più soldi da investire nello stock. Per questo le aziende devono essere brave a far uscire più rapidamente il proprio prodotto, agevolando le vendite con promozioni e programmi di fidelizzazione. Chi saprà affrontare il mercato con logiche di sell out sarà sicuramente premiato.

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