Andrea Brunello, anche la cultura è un prodotto

Ne è fermamente convinto l’enfant prodige dell’arte italiana, impegnato a diffondere nel nostro paese un approccio più manageriale al mondo delle mostre e delle organizzazioni museali che, racconta a Business People, non possono prescindere dalle logiche del mercato

«Noi abbiamo tanto e sappiamo vendere poco, gli altri hanno poco e sanno vendere molto». Basta questa frase di Andrea Brunello per fotografare la situazione del patrimonio culturale e artistico italiano dal punto di vista della sua valorizzazione. Chi l’ha pronunciata è un manager che nel settore ci lavora da tempo, lo conosce a fondo e sa di quale rilancio avrebbe bisogno.Quarantasette anni, figlio di antiquari trevisani, laurea in Economia e relazioni internazionali alla Boston University, Brunello fino al 2001 ha girato il mondo lavorando nell’organizzazione di mostre ed eventi culturali internazionali. Fino a quando, agli inizi degli anni Duemila, ha deciso di rientrare in Italia e svolgere qui la sua professione. Ma proprio nel Paese più ricco di storia e cultura, il manager della Marca ha incontrato le maggiori difficoltà. Lui che ha collaborato con il Metropolitan Museum di New York, la National Gallery di Washington, l’Hermitage di San Pietroburgo, il Pushkin di Mosca e il Louvre di Parigi, una volta “tornato a casa” ha dovuto fare i conti con tutt’altra realtà. «Oltre al fatto che all’estero i capitali privati investiti in arte e cultura sono enormemente maggiori, in Italia mancano le professionalità manageriali e imprenditoriali applicate in questo settore». Brunello ha provato a fornire un suo contributo: nel 2004 ha fondato la prima società (Artematica), organizzando 18 grandi mostre, in seguito la seconda (Kornice) con la quale ha di recente inaugurato a Treviso la mostra El Greco in Italia. Metamorfosi di un genio, dedicata a Doménikos Theotokópoulos.

Brunello, lei deve fare convergere le esigenze manageriali con quelle artistiche e culturali. Come ci riesce?Quando dieci anni fa ho iniziato ad analizzare il settore in Italia, mi sono reso conto che esisteva dappertutto la figura del curatore scientifico delle mostre che si recava presso la fondazione bancaria o il mecenate di turno per farsi finanziare un progetto, ma mancava sempre quell’indole imprenditoriale necessaria per creare e posizionare un prodotto sul mercato. Così ho provato a creare un modello di business imperniato su una figura manageriale affiancata al curatore o al comitato scientifico di una mostra, un professionista capace di occuparsi della sostenibilità economica dell’evento, di marketing, comunicazione, trasporti, assicurazioni, advertising e pubbliche relazioni.

Immagino non sia stato semplice.Esatto, il percorso è minato. C’è una parte dell’intellighenzia museale che guarda con orrore a chi cerca di rendere l’arte fruibile a più persone possibili. Ma anche loro iniziano a rendersi conto che vanno introdotti elementi manageriali e imprenditoriali. Il mio lavoro in fondo è fare ragionare insieme questi due mondi, partendo dalla consapevolezza che le mostre di arte sono un prodotto, e come tale vanno trattate seguendo i meccanismi del mercato.

Quali affinità legano il suo lavoro a quello di un manager di azienda?Ogni azienda va gestita come tale, a prescindere dal prodotto che vende. Comprese quelle che fanno cultura. Quando si crea un prodotto, lo si lancia nel mercato, nel tempo si costruisce il brand con pubbliche relazioni e credibilità, poi lo si sostiene con pubblicità e marketing. Il problema per le mostre è che sono come i prodotti freschi: hanno una durata limitata. Quindi la fidelizzazione del cliente non esiste, o comunque esiste molto meno; un visitatore può apprezzare la mia mostra su El Greco, però magari alla prossima su un altro pittore non viene perché non gli interessa l’artista.

Lei ha lavorato molto all’estero. Quali differenze ha riscontrato rispetto al nostro Paese?C’è una diversità enorme sui capitali investiti nell’arte. In Inghilterra e Francia, inoltre, il numero di professionisti manageriali impegnati nel settore culturale è molto più alto. Per questo dico che nei musei servono più manager che affianchino, e non sostituiscano, i responsabili e curatori scientifici, oppure che si mettano al servizio dei sovrintendenti provinciali. Occorre introdurre una logica aziendale e di profitto, a partire dalle strategie di brandizzazione dei marchi museali, come sta facendo il Louvre di Parigi, pronto a sbarcare ad Abu Dabi.

Cosa ne pensa dell’Art Bonus varato dal Governo?L’idea di concedere uno sgravio fiscale a chi investe in cultura è senz’altro positiva, ma perché limitarlo al 65%? Perché non stabilire uno sgravio totale? Se ci si crede, lo si faccia fino in fondo. Discorso analogo va fatto per il ministero dei Beni culturali: perché è ancora senza portafoglio e ha budget così limitati, pur essendo l’Italia il Paese con il più grande patrimonio artistico al mondo?

Forse c’è un problema di mentalità anche nelle istituzioni pubbliche?Il problema è che siamo abituati ad avere una ricchezza immensa che anche con investimenti minimi continua ad attirare turisti. Ma non può andare avanti sempre così. Servono nuove idee, personalità del calibro di Vittorio Sgarbi capaci di creare attenzione attorno a mostre ed eventi culturali, nuovi progetti di marketing per la promozione dei brand di opere e musei. Bisogna infine mettersi in testa che la cultura è un prodotto e come tale va venduto, senza prescindere del tutto dalle logiche del mercato.

L’ULTIMA FATICA
Ha trovato spazio a Treviso la mostra El Greco in Italia. Metamorfosi di un genio, la più importante retrospettiva mai realizzata nel nostro Paese su Doménikos Theotokópoulos, detto El Greco. L’esposizione, che rimarrà aperta fino al 10 aprile, è organizzata da Kornice di Andrea Brunello con la collaborazione di Art for Public e Fondazione Cassamarca e svela i capolavori del pittore negli anni 1567-1576, quando l’artista visse nella Penisola. Il curatore della mostra, professor Lionello Puppi, docente emerito dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, coadiuvato da un comitato scientifico internazionale, ha ricostruito un affascinante viaggio sulle tracce dell’attività dell’artista tra Venezia, Roma e l’Italia centrale, dove El Greco ebbe modo di entrare in contatto diretto con la coeva arte di Tiziano, Bassano e Tintoretto, artisti che influenzarono profondamente la sua opera.

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