Equo compenso, accolto il ricorso AgCom contro Meta e Google

Il Consiglio di Stato ha dato ragione all'Authority: i due colossi dovranno trattare con gli editori di quotidiani e magazine online

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Cambia tutto sulla vertenza che vede coinvolti gli editori di quotidiani e magazine online e i colossi big tech Meta e Google sul tema dell’equo compenso. A dicembre il Tar del Lazio si era pronunciato a favore del ricorso di Meta, sospendendo di fatto il regolamento dell’AgCom in materia, ma ora la situazione è cambiata.

Nelle ultime ore infatti il Consiglio di Stato ha pubblicato una nuova sentenza che di fatto cancella uno dei pilastri del precedente verdetto e accoglie il ricorso dell’Autorità per le Comunicazioni, obbligando di fatto Meta e Google a trattare con gli editori per trovare un giusto e equilibrato compenso per i contenuti anche giornalisti che vengono veicolati in Rete. Tale compenso, secondo le intenzioni, andrebbe parametrato sulla base dei ricavi pubblicitari del prestatore, derivanti dall’utilizzo online delle pubblicazioni di carattere giornalistico dell’editore e al netto dei ricavi attribuibili al traffico generato proprio dal reindirizzamento sul sito web.

Il regolamento dell’Autorità è stato quindi rimesso in vigore: nel secondo grado di giudizio amministrativo, i giudici di palazzo Spada hanno riconosciuto le ragioni dell’AgCom e soprattutto ricordato che il diritto ad un equo compenso è riconosciuto dalla direttiva comunitaria sul Copyright del 2019. Ora si attende il giudizio della Corte di Giustizia Ue, ma per ora torna in gioco il regolamento che nel 2023 ha provato a disciplinare il negoziato tra piattaforme della rete ed editori.

Meta e quindi Facebook – che ad ogni modo sta chiudendo la sezione news in diversi Paesi – sono quindi invitate di nuovo, assieme a Google, al tavolo della trattativa. Il possibile versamento di soldi futuro agli editori italiani, secondo i giudici, non arrecherà “pregiudizi gravi e irreparabili”, cita il Sole 24 Ore, non per una società con una capitalizzazione in borsa pari a 1230 miliardi di dollari. Se poi dall’UE dovesse arrivare parere contrario, i due colossi potrebbero chiedere indietro i soldi.

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