Vino: il futuro è ibrido

Più sostenibili e resistenti, i Piwi sono i vitigni del domani e si stanno diffondendo in tutta Europa, Italia compresa. Ecco cosa sono e quali vini degustare per scoprirli

In Europa, la viticoltura si garantisce le uve migliori per la vinificazione, sfruttando una quantità enorme di fitofarmaci, fungicidi e prodotti di sintesi, ma lo fa a un prezzo ambientale alto. Una delle strade più promettenti per abbattere questo tipo di consumo e contribuire alla sostenibilità del comparto è quella di utilizzare sempre di più i Piwi, acronimo tedesco per pilzwiderstandsfähige rebsorten, ovvero varietà di vite resistenti alle malattie fungine. Si ottengono ibridando viti europee e viti americane o asiatiche e permettono di ridurre i trattamenti annuali da 20-30 a due o tre, oltre a consentire la produzione di vino a latitudini e altitudini in genere proibitive.

Vino: i Piwi più diffusi

I Piwi più diffusi appartengono alle varietà Bronner, Cabernet Carbon, Cabernet Cortis, Gamaret, Helios, Muscaris, Johanniter, Prior, Regent e Solaris (varietà sia a bacca rossa che a bacca bianca); per la maggior parte sono di origine tedesca, perché è storicamente la Germania il Paese più attento a queste innovazioni, seguono l’Austria e la Svizzera. In Italia sono il Veneto, il Trentino-Alto Adige e il Friuli-Venezia Giulia a guidare la ricerca. Sono già diverse le aziende che hanno investito in questi vitigni e molte altre ne stanno nascendo. Lo Johanniter è un incrocio tra una vite padre di Riesling e Seyve Villard 12481 e una madre Pinot Grigio e Chasselas. Il più famoso vino da Johanniter è il Vin de La Neu di Nicola Biasi, di colore giallo con riflessi dorati ammalianti, speziato in stile Pinot grigio, ma che al contempo mantiene le note del Riesling più caldo (stile Pfalz) tra albicocca, sambuco, gesso e spunti di pietra focaia appena accennati. In Veneto troviamo Terre di Ceralto l’azienda di Silvestro Cracco e Massimo Reniero, a 700 metri di altezza. Oltre a una bollicina molto interessante, producono un vino 60% Johanniter e 40% Bronner, dolce con note di ginestra, sale, menta e un sorso pulitissimo, floreale, con lunghezza notevole. Il Bronner viene coltivato anche dall’Abbazia di Novacella in Alto Adige per produrre l’Ohm. Questo vino ha freschezza e persistenza, libera note retroattive di agrumi, scorza d’arancio, fieno fresco, floreale di tiglio e fior d’arancio. Con il tempo dal bicchiere sale una nota idrocarburica, di cedro e lime.

In merito al Solaris, i precursori sono sempre stati Pojer & Sandri con il loro Zero Infinito da uve resistenti a Maso Rella, in alta Val di Cembra (800/900 m. s.l.m.), in forte pendenza, con posizione molto ventilata. Sempre dal Solaris, Gianni Tessari nei Monti Lessini produce il Rebellis, un vino tropicaleggiante, sapido, con colore dorato e sorprendente freschezza. A Salorno (Bz), Patrick Uccelli, uno dei paladini della viticoltura biodinamica, produce un vino bianco da un blend di Solaris, Souvignier gris (incrocio tra Gewurtztraminer e Riesling) e Cabernet Blanc e anche un blend di Piwi rosse e classiche, ovvero Regent, Prior e Merlot, vinificato in tino aperto e poi affinato in rovere e anche in acciaio. Thomas Niedermayer è un altro in Alto Adige che ha le idee molto chiare in materia con il Tn 04, un bianco da uve Bronner, un equilibrio perfetto tra dolce mediterraneo e piccante acidità alpina, e l’AbendRot il rosa-rosso Souvignier gris, un vino definito bianco macerato che porta note di amarena, cannella e zenzero in egual misura. In Friuli è nata da poco l’associazione Piwi Friuli, grazie al lavoro dell’azienda Terre di Ger, tra i primi produttori di vini resistenti con il Limine, da Soreli e Sauvignon kretos con affinamento parziale in barrique (ricco e importante al palato, speziato di vaniglia e frutta tropicale) e il blend rosso El Masut, di struttura importante e profumi complessi e ricchi.

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