Vino: orange is the new black

Corposi come i rossi, ma delicati come i bianchi: grazie alla loro versatilità i vini arancioni stanno conquistando il mercato. Ecco quelli da non lasciarsi sfuggire

Non solo bianco, rosso e rosato. Oggi il panorama enoico è notevolmente mutato, perché si è complicata e globalizzata l’enogastronomia tanto che le vecchie regole di abbinamento del vino sono diventate gabbie troppo opprimenti e gli orange wine vincono per versatilità, perché hanno il corpo spesso di un rosso ma la delicatezza di un bianco.

Vino arancione: il via dal Friuli con Josko Gravner

Fino agli anni ‘70 era normale bere vini bianchi dorati o con una deriva ossidativa molto pronunciata, ma era un effetto delle tecniche arcaiche di vinificazione, che non proteggevano a sufficienza aromi e colori dei mosti delle uve bianche. Oggi, invece, la scelta di produrre vini arancioni è stilistica, per sottolineare aspetti del territorio o del vitigno. Impossibile in Italia parlare di orange wine senza menzionare il vero promotore del movimento, Josko Gravner, che sul territorio del Collio, al confine con la Slovenia, è approdato alla vinificazione con lunga macerazione sulle bucce a Oslavia (Gorizia), utilizzando le modalità georgiane di lavorare in grandi contenitori di terracotta interrati. Da tanti vitigni è arrivato a vinificare solo Ribolla (tra le uve più adatte a questo metodo) e Pignolo. Con lui, sin dagli inizi, ci sono stati i produttori Angiolino Maule (con i vini de La Biancara come il famoso “Pico” da uve Garganega nel vicentino) e Daniele Piccin (che lavora con Durella e Chardonnay vicino Verona), anche protagonisti del film Skin Contact: Development of an Orange Taste, il documentario sugli orange wine firmato da Laura Michelon e Mike Hopkins per Bottled Films. Nel Collio ci sono stati molti epigoni di Gravner, che hanno forse raggiunto la vetta più alta della tipologia, ovvero Skerk e il suo fascinoso Ograde, Podversic e il Kaplja, La Castellada con la Ribolla, Il Carpino con la Ribolla selezione, e Bressan che ha presentato una nuova veste e gusto per un’uva conosciutissima come è il Pinot Grigio. Sempre nel Carso sono davvero luminose le Vitovska Solo MM14 di Vodopivec e quella di Zidarich.

Vino arancione in Italia: oltre il Friuli

In Trentino abbiamo Elisabetta Foradori, paladina del vino naturale che applica il metodo (anfora compresa) alla Mosiola ottenendo il Fontanasanta, eccezionale per le sue note di rosa, mela, nocciola, mallo di noce, rosolio, talco. Scendendo più a Sud si passa dall’Emilia e da La Stoppa, che con il suo Ageno è stato tra i capostipiti del genere, per poi arrivare in Toscana con l’azienda biodinamica Cosimo Maria Masini e i loro Daphne, che riesce incredibilmente a rivitalizzare l’archetipo di vino toscano a base Trebbiano e Malvasia, così come fa Gabriele Mazzeschi con il suo bianco e Terre a Mano Bacchereto in quel di Carmignano, tra i primi a cimentarsi con il suo Sassocarlo. In Maremma, invece, si punta su uve come Procanico, Greco e Ansonica, come nel Bianco de La Maliosa o nei nettari di Francesco Carfagna o di Bibi Graetz. Ancora più a Sud, a Calitri, nell’alta Irpinia, a quasi 800 m, troviamo i vini di Pierluigi Zampaglione come il Don Chisciotte, un Fiano 100% vinificato con macerazione sulle bucce, con naso intenso, agrumato e con sentori di menta mentre al palato è morbido e vellutato. Spazio anche alle isole con il “faro” Arianna Occhipinti e il suo SP68 Bianco a base di uve Moscato e Albanello, sempre più fresco e centrato, Cos e lo storico Pithos a Vittoria (Rg) e Alessandro Dettori (in Sardegna) con il Renosu (più semplice) e il Dettori bianco.

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