Un’estate in bianco

Al top della prossima stagione i vini beverini, italiani al 100%, sopra tutti i vitigni Vermentino, Verdicchio e Moscato. Ecco cosa scegliere regione per regione

I dati parlano chiaro, l’Italia è una repubblica democratica fondata… sul vino bianco. E non è uno scherzo. Nel mondo del vino che conta nonostante la produzione sempre più grande di vino rosso, abbiamo una marea sconfinata di vini e vitigni bianchi che sempre più catturano l’attenzione del grande pubblico specie all’estero e che ci distinguono da tantissimi dei nostri più agguerriti competitor, Francia e Nuovo Mondo in primis. Urge una conoscenza più approfondita delle nostre perle nascoste, nuove o da riscoprire insieme.Ma il percorso richiede un minimo di elasticità mentale, abituati come siamo a vedere rosso e considerare spesso il rosso come l’unico vino possibile. Nei quasi 50 milioni di ettolitri di vino che il Belpaese produce ogni anno, la proporzione dei bianchi è sì minoritaria ma dotata di un appeal straordinario soprattutto grazie ad una variabilità enorme dei vitigni e dei vini che possono derivare. Come in altri settori, la nostra naturale diversità ci rende unici e questo elemento, unito ai grandi passi avanti enologici e agronomici portati avanti in tutte le regioni ha portato ad un panorama attuale dove non esiste regione dove non troviamo un vino bianco unico e particolare che la caratterizzi e che potenzialmente la renda appetibile al consumatore. Se a questo uniamo anche la nota tendenza dei nostri vini ad adattarsi bene al cibo (tipico e locale ma in genere di qualsiasi etnicità) ecco che abbiamo alcuni assi nella manica che in futuro torneranno drammaticamente utili.

Classici del Nord-Est e Piemonte…e Sicilia

Grande cavallo di battaglia e capofila del recente grande successo negli Stati Uniti dei nostri vini bianchi è stato certamente il Pinot Grigio di Santa Margherita non tanto come tipologia ma in quanto vino posizionatosi come “premium” ovvero percepito dagli americani come di alta qualità, mentre da noi è considerato un vino comune. Ma tanto comuni non sono alcune recenti interpretazioni del vitigno come quello di Attems (disponibile anche in versione ramata, ovvero quasi rosè), oppure la versione metodo classico appena presentata da Santa Margherita in formato magnum (per festeggiare i 50 anni del prodotto) e il Pinot Grigio della linea Myò di Zorzettig. Proprio la linea Myò di Zorzettig è stata una delle novità bianche più interessanti dell’ultimo Vinitaly, una serie di vini ottenuti dalle migliori uve aziendali che offrono interessanti interpretazioni di vini bianchi friulani come la dinamica Ribolla Gialla con le sue note di pesca gialla piena e succosa con una nota piccante che spicca sul bicchiere tra il curry e il rafano. Pinot Grigio riscoperto anche in Toscana dove l’Azienda Agricola Conte Aldobrando degli Azzoni Avogadro lo coltiva a Pontedera da 50 anni e oggi lo presenta anche in Italia come “Villa Sole” ottenuto eseguendo una macerazione sulle bucce lunghissima che lo rende quasi ramato e ricco di aromi tropicali. Sfortunatamente solo 3 mila bottiglie ogni anno ma conviene cercarle!Tornando al nord-est, Livon ha riproposto un vino nato nel 2006 per commemorare la scomparsa del Tocai, ovvero il Manditocai, che è oggi disponibile nell’annata 2010 ottenuto dalla collina di Ruttars a Dolegno del Collio, dagli aromi classici di mandorla e frutta bianca e note particolari come la noce moscata che affiora a fine sorso. Sempre in Friuli Venezia Giulia Cormons propone l’ultima annata dell’ormai famoso Vino della Pace ottenuto da circa 600 varietà di uva piantate su uno spettacolare vigneto a corpo unico, un vino cangiante che da giovane parla la lingua dei vitigni aromatici come malvasia, moscato e riesling per poi lasciare spazio col tempo a note piccanti, speziate e adatte come vino da conversazione non solo da tavola. In Piemonte esiste una tipologia molto diffusa ma che non trova molti eguali nel nostro paese (se non in Sicilia) ovvero il moscato vinificato secco, lo stesso moscato che trionfa nel mondo in versione spumante dolce come Asti o Moscato d’Asti. Oscar Bosio a Santo Stefano Belbo produce La bruciata che oltre al tipico aroma inconfondibile di moscato agrumato e floreale bianco di tiglio in bocca ha mineralità e sostanza e una persistenza tra limone e lychess particolarissima, ideale su affettati e salumi pregiati e specialità al tartufo. Se volete giocare e capire quanto è grande la ricchezza del nostro paese divertitevi mettendo a fianco di questo piemontese un classico siculo grandissimo come il ben conosciuto Moscato secco Yrnm delle Cantine Miceli o lo straordinario biodinamico Serragghia di Gabrio Bini a Pantelleria in mezzo ai capperi, quasi rosato con incredibili sensazioni minerali, salmastre, eppure vinose. Stessa uva, sensazioni in parte vicine dolce e avvolgenti ma intimamente distanti e ugualmente appassionanti che rispecchiano fedelmente i territori di provenienza. Tornando al nord, in Trentino da poco sono aumentati gli sforzi sulla Nosiola, uva bianca dal potenziale finora inesplorato che oltre alla versione storica di Pojer e Sandri da quest’anno ha un nuovo esempio di eccellenza con la Fontanasanta di Elisabetta Foradori, produttrice biodinamica che ne ha prodotta una versione affinata in anfore di terracotta, con macerazione di sei mesi sulle bucce, con profumi spettacolari di rosa, mela, nocciola e mallo di noce, talco, bocca con filo di tannino, sapidità e profondità tale che appassiona e vien voglia di scoprirlo a poco a poco.

Centro e Sud Italia: Marche, Umbria, Campania Puglia e Calabria

Scendendo al centro Italia e andando su sensazioni più particolari andate a scoprire la grandezza poco conosciuta dei Verdicchio dei Castelli di Jesi di San Lorenzo che addirittura “osano” uscire oggi con il Verdicchio San Lorenzo 1998 con quasi dieci anni di età, estremo e bellissimo, sincero e speziato, con note di ginger e rosa, noci, agrumi e canfora, semplicemente struggente all’assaggio. Splendide ovviamente e più immediate (e dal notevole rapporto qualità prezzo) i vini più giovani come il Vigna delle Oche. Anche in Umbria c’è fermento e del resto si tratta di una regione storica per i vini bianchi (si pensi alla tradizione millenaria dell’Orvieto). In particolare grande l’attenzione per una delle nostre uve più diffuse e sottovalutate (ma che in Francia diviene la base per la distillazione del Cognac!) ovvero il Trebbiano che Lungarotti ha da poco rilanciato (insieme ad un 30% di Grechetto) con una propria etichetta storica ma poco conosciuta ovvero il Torre di Giano Vigna del Pino, da un unico vigneto a 270 metri slm sulla collina di Brufa a dare un vino importante (come l’annata 2008) da aspettare negli anni ma mai troppo imponente nel bicchiere. Grande attenzione in Umbria anche per il Trebbiano Spoletino, vitigno con più acidità rispetto al cugino Trebbiano comune, dalla maturazione tardiva e grande resistenza alle malattie. Nel bicchiere, come possiamo constatare assaggiando la versione di Perticaia (Umbria IGT), quella di Antonelli, Collecapretta o quella “estrema” chiamata D’Armando di Tabarrini possiamo aspettarci un piccolo mondo di acacia, miele millefiori, lieve affumicato, macchia mediterranea, mora di rovo, rosmarino, e soprattutto un gusto deciso e pieno da carni bianche piuttosto che pesce e minestre. Mai stati in così grande spolvero anche i vini della Campania con il Fiano di Avellino sempre più superstar (Ciro Picariello, Nanni Copè, Sella delle Spine e anche De Conciliis nel Cilento i nomi sulla breccia) e aziende sicure anche per il Greco di Tufo dal classico e storico (con tanto di cantina in città da visitare) Cantine di Marzo a quello di Torricino, Raone, ottenuto da uve su suoli con consistenti venature sulfuree dal classico profumo fruttato di albicocca su sottofondo gessoso e sapido. Dall’altro lato della penisola si sta facendo un gran parlare in Puglia del Fiano Minutolo o Fiano Aromatico, nessun parentela con il famoso vitigno irpino ma molto vicino al Greco Bianco calabrese (che potreste riscoprire cercando i bianchi della cantina Ferrocinto di Castrovillari come il Timpa del Principe 2009 dai profumi di pesca e vetiver con un finale quasi di fragolina di bosco). Origini antichissime per questo Fiano Minutolo ma riscoperto solo dal 2001 per opera di Lino Carparelli dell’azienda I Pastini, oggi viene prodotto anche da altre aziende pugliesi come Colli della Murgia e il loro Tufjano – a Gravina (BA) – dai profumi molto freschi di fiori e note interessanti di anice finocchio e mandorla. Da ricercare per capire come la magia italiana del vino bianco al sud abbia ancora tanto da dare agli appassionati…Sempre in Puglia ci spostiamo nel Salento dove incontriamo L’Ancella, azienda gestita da un gruppo di ragazzi entusiasti delle tradizioni locali che oltre a primitivo e negroamaro imbottigliano un bianco Celeste da uve di chardonnay e malvasia, un blend molto interessante per forza al naso e struttura in bocca.

Momento Vermentino

Non accenna a diminuire il momento magico per il Vermentino sia inteso come “classico” sardo dalla Gallura e dal resto della regione, con molte sfumature a seconda del clima e delle località dai soffici dolci e ariosi galluresi (come quello di Pedra Majore o Cantine Monti) fino ai più corposi e strutturati prodotti del cagliaritano come quelli di Ferruccio Deiana e le meraviglie di Tenute Dettori nella Romangia, proprio in faccia all’Asinara, balsamico e intrigante come pochi. Passando il mare e arrivando in Toscana il Vermentino in Maremma perde un poco di finezza e ariosità ma acquista corpo e rotondità forse un poco più ruffiane (vedi la zona di Bolgheri) ma è indubbio che quando incontrano un packaging (premiato) accattivante e immediato come nel caso di Litorale di Cecchi (con tanto di sdraio in etichetta e rimandi verdi alle vacanze nei colori) diventa un vino irresistibile anche nel bicchiere, ideale per una spensierata grigliata estiva di pescato di giornata. La stessa Maremma toscana ci porta una veste nuova “nordica” con bottiglia affusolata stile tedesco (detta renana) per il Poggio Argentato della Fattoria Le Pupille di Elisabetta Geppetti, famosa per il suo Morellino di Scansano, che già negli anni ‘90 produceva questo blend di Sauvignon e Traminer ma che solo oggi rivela questo carattere particolare fatto di calore maremmano e freschezza e sapidità di ben altre latitudini. In Liguria il Vermentino gioca quasi in casa insieme al cugino Pigato (il vino classico per le trofie al pesto) e incontriamo un’azienda storica come Lunghéra alle porte del paese di Ortovero da uve maturate nella tortuosa Valle Arroscia ben esposte al sole ma protetti dagli eccessi grazie alle brezze marine che spirano costanti dalla costa. Note classiche agrumate e dolci ma anche la speziatura solare del Vermentino ovvero salvia, ginestra e macchia mediterranea con un retrogusto un verde aroma di erbe e di arbusti tipici del ponente ligure. Se preferite vini più estremi e biodinamici, cercate il Rucantù 2009 di Selvadolce da Bordighera, addirittura esplosivo per l’aromaticità di basilico, ginepro, salvia, pesca bianca e ribes bianco, ed una struttura che stupisce.

SINFONIA DI GUSTI. Gli abbinamenti

Per crudi di mare e tartare servite con cous cous e altre variazioni, sono ideali vini come il Vermentino che dona sapore e sensazioni citrine al piatto senza dover usare limone e pulisce la bocca dalla grassezza di certi pesci.

Per il Pinot Grigio, giocate con speziature e contrasti ad esempio dei Ravioli ripieni d’aglio dolce piccanti in guazzetto di crostacei, piatto reso famoso dalla cucina di Perbellini a Isola della Scala (VR).

Sui bianchi campani dalla grande mineralità e ritorni di profumi mediterranei dei delicati ma persistenti gnocchi alla rana pescatrice o degli Spaghetti ai polipetti appena un poco untuosi per permettere alle acidità dei vini di fare la loro parte.

Vini bianchi più corposi come un Verdicchio con qualche anno di età o un Pugliese purosangue anche con un risotto mantecato ai frutti di mare o una impepata di cozze. Per il Vermentino della Liguria il pesto alla genovese risulta sempre vincente.

MANEGGIARE CON CURA

Rispetto a un rosso, bisogna fare molta attenzione alla temperatura di servizio, mai servirli ghiacciati ma almeno si deve aver cura di servirlo attorno agli 8-10 gradi in modo che il primo sorso risulti molto rinfrescante e con gli aromi che si sprigioneranno sempre di più con l’aumentare della temperatura. In generale vini bianchi di uno-due anni di età vanno serviti a temperature più basse di vini bianchi con qualche anno sulle spalle, magari anche invecchiati in legno. Inoltre in genere occorre fare attenzione a non esporre al sole e alla luce le bottiglie, si ossidano molto facilmente prendendo un colore ramato e perdendo profumi ed equilibro aromatico. Consigliata una cantinetta frigo più che un frigorifero dove l’eccessiva secchezza dell’aria potrebbe alterare la tenuta dei tappi in sughero e rovinare il contenuto delle bottiglie.

QUALE BICHIERE SCEGLIERE PER L’ESTATE?

Al top della prossima stagione calda troviamo i vini beverini, senza invecchiamento in legno che abbiano sensazioni di sapidità e mineralità in bocca e che ricordino profumi molto dolci e citrini e che possibilmente siano italiani al 100%, tendenza classica per la stagione e per un periodo di relativa crisi economica che allontana da vini importanti, costosi e difficili da interpretare: le persone cercano la dolcezza in questi frangenti e la sapidità per evitare l’eccesso di stucchevolezza. In questo senso vitigni come Vermentino, Verdicchio e Moscato saranno sicuramente sugli scudi, mentre meno appeal avranno i vari Chardonnay, Sauvignon e uve internazionali che rappresentano una fetta grandissima tuttora del mercato.

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