Scultori sensoriali del denim

Intendono esserlo sempre di più i creativi e i tecnici di Jacob Cohen, il marchio veneto di jeans couture impegnato nella riorganizzazione interna del gruppo e nell’espansione internazionale. Proseguendo, così, nel solco delle strategie già delineate da Nicola Bardelle, scomparso prematuramente. Uno stilista che ha trasformato il cinque tasche in un concetto di lifestyle. E ha portato la sartorialità made in Italy nelle principali vetrine mondiali. Ne parla Marco Tiburzi, direttore commerciale e marketing del marchio

«Ciò che è accaduto ha scosso un po’ tutti, non solo sul piano personale, ma anche su quello strutturale, ovviamente. Tuttavia, il processo di riorganizzazione dell’azienda era iniziato già da tempo, avviato dallo stesso Nicola. Che lo aveva ben delineato e impostato». Sono diversi i pensieri che, durante l’intervista, Marco Tiburzi, direttore commerciale e marketing di Jacob Cohen, rivolge al creativo Bardelle, alla guida del marchio di jeans di lusso fondato dal padre Tato, e da lui rilanciato dieci anni fa. Il manager è scomparso prematuramente lo scorso agosto, in seguito a un incidente stradale in Francia, ma resta, tutt’oggi, il faro ideale a cui continua a ispirarsi il team. Non potrebbe essere altrimenti. Sotto l’egida di Bardelle, il numero di capi venduti è passato dai 700 del 2003 ai 500 mila del 2010. I 45 milioni di euro di fatturato registrati quell’anno (+21% sul 2009) sono prima saliti a 50 milioni nel 2011 e poi hanno raggiunto i 56 milioni nel 2012. È stato lui a dare quell’imprinting che rimane la cifra stilistica della filosofia trasmessa dal brand: quella, cioè, di «vendere non semplici capi, ma emozioni ed esperienze sensoriali, che coinvolgono vista, tatto e olfatto (tramite la profumazione con speciali essenze, ndr)». «Certo abbiamo dovuto accelerare il cambiamento», prosegue Tiburzi, «ma si tratta sostanzialmente di dare sviluppo e continuità a un percorso già disegnato con chiarezza in precedenza. Come in un viaggio, può cambiare il driver, ma tappe e mete restano le stesse».

Da un punto di vista interno al gruppo, come si sta concretizzando questo passaggio?

Da tempo siamo arrivati a una fase delicata della nostra crescita. Da un lato non siamo più una piccola azienda – non a caso, a fine 2010 è stata inaugurata una nuova sede di 5 mila mq ad Adria (Ro) che, accanto alla produzione, ospita vari uffici, tra cui logistica e controllo qualità – dall’altro, tuttavia, vogliamo mantenerci fedeli a quello che dalla nascita è insito nel Dna del marchio, ovvero l’artigianalità nell’approccio al prodotto.

Quali sono state le priorità da affrontare?

Dopo la scomparsa di Nicola, un primo intervento d’urgenza ha riguardato l’area creativa. Una figura che lavorava già al fianco di Bardelle, e che si occupava nello specifico del ramo maschile, ora ha una sfera d’azione più globale e non si limita esclusivamente al prodotto. Un’altra, di nuova acquisizione, si sta invece dedicando al progetto donna, segmento che attualmente vale il 27% del turnover complessivo aziendale, ma che presenta notevoli e interessanti opportunità di crescita.

Oltre all’acquisizione di risorse specializzate, su che cosa state puntando?

Siamo convinti che occorra trovare il giusto equilibrio tra il romanticismo creativo e gli aspetti legati alla tecnicità per poter essere sempre più competitivi nel panorama internazionale. Da sempre il nostro punto di forza è la capacità artigianale e produttiva. L’abilità di chi lavora il denim consiste nel capire, esattamente come uno scultore davanti a un blocco di marmo, cosa si possa ottenere lavorando per sottrazione. Le oltre 40 tele denim e i 50 preziosi tessuti alternativi impiegati in ogni collezione sono sottoposti a trattamenti sofisticati realizzati direttamente nelle lavanderie interne, veri e propri laboratori alchemici. Dunque stiamo continuando a investire molto sull’innovazione dei materiali e il loro utilizzo, rispettando alti standard qualitativi. Nel contempo, però, per poter contare su una struttura sempre più consolidata, stiamo potenziando anche strutture fisiche, logistiche e informatiche.

I NUMERI DI JC

56 mln di euro il fatturato 2012

Oltre 500 mila capi venduti

40 tele denim

50 preziosi tessuti alternativi impiegati in ogni collezione

450 boutique selezionate nella Penisola

900 punti vendita nel mondo

Tre monomarca: a Saint-Tropez, Anversa e Tokyo-Roppongi (fine aprile)

Negli anni ha assunto un’importanza progressiva il mercato internazionale, che incide ormai per il 67% sul vostro giro d’affari complessivo….

Ormai possiamo contare su una copertura mondiale. In Europa siamo totalmente distribuiti. In particolare, stanno emergendo aree come la Scandinavia e quella dei Paesi Csi. Al di fuori del Vecchio Continente, è sicuramente rilevante il Giappone, che per noi è un mercato di riferimento non solo per la sua capacità di sviluppare volumi importanti, ma soprattutto per l’alta tradizione culturale legata al mondo del denim. Stiamo sviluppando contatti e partnership anche in Canada, Messico, Brasile e Argentina. Guardiamo con assoluto interesse anche all’affascinante e dinamico Far East, ovvero India e Cina. Stiamo infine ottenendo risultati molto positivi nel Middle East, da Dubai a Israele fino a Libano ed Emirati Arabi. Del nostro progetto viene apprezzato soprattutto l’aspetto della sartorialità, che per questa clientela è sinonimo di lusso esclusivo.

Con vetrine in 450 boutique selezionate in Italia, e la presenza in oltre 900 negozi plurigriffe nel mondo, il retail continua a essere un canale altamente strategico per Jacob Cohen. Dopo il debutto del primo flagship store a Saint Tropez, lo scorso anno, quali nuove aperture vi attendono?

A fine mese sarà inaugurato il primo store JC in Giappone, a Tokyo – nell’area di Roppongi, precisamente – in partnership con il nostro distributore locale, Itochu. Si tratta del terzo monomarca Jacob Cohen dopo quello che ricordava lei, in Francia, seguito poco dopo da un altro monobrand ad Anversa, in Belgio. In inverno, poi, abbiamo allestito un corner strategico all’interno dei magazzini londinesi Harrod’s, che ci permette di arrivare a una clientela estremamente internazionale e ai nuovi ricchi del Middle East.

Capi in denim che offrono esperienze sensoriali ai clienti, accessori e labelling studiati nei minimi dettagli, in-store experience… Come si traduce tutto questo nelle vostre campagne di comunicazione?

Per la terza stagione ci siamo affidati al noto fotografo Elliott Erwitt: ci piace il suo modo ironico e disincantato di ritrarre la realtà che ci circonda. (LA CAMPAGNA ADV) Una maniera evocativa e poetica, lieve, che non ha nulla di irraggiungibile, ma permette di identificarsi con essa e, nel contempo, è qualcosa di esclusivo. Il messaggio trasmesso da Erwitt è come un sussurro in un mondo che spesso urla, ma proprio così riesce a distinguersi e a farsi notare. Non è forse, anche questa, una forma di lusso? Simile a quella che Jacob Cohen si propone di raccontare e rappresentare con le sue creazioni.

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