La nuova passione dei collezionisti di orologi

Accanto agli orologi d’epoca veri e propri, sono oggi le lancette di secondo polso, ossia quelle prodotte dalla fine degli anni ’80, la nuova passione dei collezionisti. E, spesso, si rivelano un interessante investimento

Esattamente 17.752.550 dollari per un orologio. Questa la cifra a cui è stato aggiudicato lo scorso ottobre il Rolex Daytona appartenuto a Paul Newman, battuto da Phillips nel corso dell’asta Winning Icons – Legendary Watches of the 20th Century. Ora, è difficile indurre una regola universale da un caso particolare, ma il portato simbolico dell’aggiudicazione e dell’oggetto sono tali da farsi paradigma. Il Daytona Paul Newman è infatti l’effigie dell’orologeria vintage sportiva, e ha sempre rappresentato nell’immaginario dell’appassionato un feticcio senza prezzo. Ebbene, adesso quel totem ha un prezzo. E quella cifra record avrà una ricaduta allegorica, ma soprattutto economica, non solo sul collezionismo di supremo livello, ma anche sul mercato di massa. Basti pensare che l’appetibilità commerciale dei Cosmograph Daytona di normale produzione industriale deriva in buona parte proprio dalla mitologia del Paul Newman.

Differenza tra orologi vintage e “secondo polso”

Ma in questo approfondimento dobbiamo innanzitutto cercare di tracciare una separazione fra vintage e secondo polso, meno banale di quanto sembri a un primo sguardo. In genere per vintage si considerano gli orologi d’epoca, usati o intonsi, convenzionalmente identificati nella produzione precedente alla “Crisi del quarzo”, che investì l’orologeria svizzera a cavallo fra gli anni ‘70 e ‘80. Per “secondo polso” si intendono invece i segnatempo usati successivi a questo periodo, quindi dalla fine degli anni ‘80 in poi, fino a quelli di contemporanea produzione. In realtà è bene precisare come, trasversalmente ai tempi, si registrino degli Instant classic, per utilizzare l’espressione di Umberto Verga (vedi intervista), ovvero orologi che divengono immantinente epocali. Ricercati dai collezionisti ancor prima dell’uscita sul mercato perché eccezionali sotto il profilo tecnico o perché realizzati in numeri limitati, come i Patek Philippe 5970 e 5070, entrambi ancora in catalogo nel 2007. Il primo veniva venduto a 79.600 mila euro e ora non ne bastano 130 mila per averne uno corredato; il secondo, in listino a 36.400, oggi è mediamente trattato a 65 mila.

Alta orologeria: un investimento possibile

Quindi comprare alta orologeria è davvero un investimento? Questa domanda irrita sempre un poco l’appassionato, ma è legittima. In assoluto non si può affermare lo sia, ma sapendo scegliere con perspicacia può diventarlo. A condizione di saper distillare le giuste referenze e di non sollazzarci con l’esemplare su cui vorremmo speculare. Se molte sono le Maison dalla prammatica plurisecolare e dallo straordinario saper fare orologiero, poche sono quelle che reggono la svalutazione del nuovo e che garantiscono un secondo polso immediatamente “commerciale”, come amano dire gli operatori: Rolex, Patek Philippe, Audemars Piguet per i Royal Oak, Cartier in alcune referenze, così come Omega o Panerai. Questi due ultimi marchi, in particolare, possono contare su dotte, vivaci e affezionatissime comunità di estimatori, che ne magnificano il già rimarchevole giacimento culturale, rafforzando quella che oggi verrebbe chiamata brand awareness. Anche per l’epoca, i nomi sono sempre gli stessi, con differenti sfumature, che si accendono nei pezzi culto. Basti nominare la prima generazione dello Speedmaster Omega, conosciuto ai più come “Moon” perché al polso di Buzz Aldrin durante il primo allunaggio, modello intorno a cui è sorta una cosmogonia orologiera senza pari, e che ha investito di leggenda anche le referenze successive. Per misurare la portata del mito, basti segnalare che uno Speedmaster di prima generazione del 1958 – ref CK 2915 con il calibro 321, cassa non lucidata e quadrante originale – è stato battuto dalla Bukowskis Auction House di Stoccolma alla cifra di 275.508 dollari. Rimanendo in casa Omega, anche il primo Seamaster del 1948 e il più recente Ploprof 600 dei primi anni ‘70 – reso celebre al grande pubblico da Gianni Agnelli, che con disinvoltura senza pari indossava quell’ingombrante monoblocco in acciaio ricavato dal pieno destinato ai professionisti della subacquea… sulle nevi engadinesi – hanno rilevanza collezionistica. Un’attenzione verso il vintage testimoniata dall’Omega Vintage Boutique incastonata in una sezione di Somlo Antiques interamente dedicata al marchio, a Londra, nello storico indirizzo di Burlington Arcade.

Il vintage firmato Audemars Piguet

Tornando ai modelli memorabili, nel 1972 nasce l’Audemars Piguet Royal Oak, quel celeberrimo Jumbo disegnato dalla matita di Gerald Genta. Oggi per una A-Series ref. 5402 in acciaio non sono sufficienti 50 mila euro. Per un esemplare in oro giallo, ancora più raro, il prezzo sale esponenzialmente. Ma la storia di Audemars Piguet, per i veri conoscitori, va ben oltre il Royal Oak. Quando ancora si chiamava Audemars Piguet & Cie., la Maison di Le Brassus firmava opere d’arte da tasca già nel XIX secolo e capolavori da polso come il primo ripetizione minuti del 1906, e il più piccolo al mondo del 1915. Ma ancora negli anni ‘40 e ‘50, i calendari perpetui e cronografi Audemars Piguet hanno deliziato il mondo delle lancette, e oggi mandano in estasi i collezionisti, per la loro rarità ed eccezionalità manifatturiera. «Questo è un momento particolarmente propizio per il vintage firmato Audemars Piguet», spiega Michael Friedman, storico di AP; «le straordinarie performance dei primi Royal Oak degli anni ‘70 e dei calendari perpetui degli anni ‘80 e ‘90 alle aste internazionali fanno mettere a fuoco all’azienda quali sono le combinazioni fra materiali ed estetiche dei quadranti che maggiormente solleticano l’attenzione dei collezionisti. Tutti gli orologi in produzione un giorno saranno dei vintage, così andare alla ricerca di quei modelli del passato che hanno vinto la sfida del tempo è illuminante per intuire quali saranno i classici di domani».

Il vintage di Vacheron Constantin

Vacheron Constantin è un altro titano del vintage e forse il migliore interprete del new vintage. Dalla prima angolazione, la Maison ininterrottamente attiva dal 1755 ha di recente inaugurato il primo account Instagram dedicato al vintage gestito da una Casa orologiera, @thehourlounge. Un salotto per cultori e collezionisti del marchio, nato da una community e oggi idealmente certificato con il Punzone di Ginevra, come tutte le referenze VC. L’autorevolezza dello spazio multimediale sarà garantita da Alexandre Ghotbi, fondatore del forum The Hour Lounge e Associate Director di Phillips Watches, e da Christian Selmoni, Style and Heritage Director di Vacheron Constantin. Dalla seconda angolazione, in particolare grazie alla collezione Historiques, la Maison ginevrina ha saputo rinnovare con sensibilità filologica e tatto estetico il proprio glorioso passato.

L’estetica trascendentale dell’alta orologeria, per abusare di un lessico filosofico, è dunque un continuum trascendente lungo il quale, per un attimo, il tempo stesso può fermarsi. Permettendoci di fare esperienza di un salto qualitativo e di attivare una nuova consapevolezza.

© Riproduzione riservata