Micam, tanta fiducia e orgoglio made in Italy

Il settore sta ancora accusando i contraccolpi della crisi, ma reagisce a suon di collezioni per restare competitivo

Tengono gli espositori, aumenta la fiducia nel made in Italy come mezzo per uscire dalla crisi, ma purtroppo è ancora lontana la vera e propria ripresa economica. Questo in sintesi il pensiero di Vito Artioli, presidente Anci (Associazione nazionale calzaturifici italiani), l’ente organizzatore del Micam, il salone internazionale della calzatura. «Questa edizione è ormai la terza che si tiene dall’inizio della congiuntura sfavorevole e questo lungo periodo di difficoltà ha costretto le imprese calzaturiere a ulteriori sforzi di riposizionamento e innalzamento di gamma per restare competitive sui mercati internazionali. Il settore però, che è abituato a rimettersi in discussione costantemente, fa sentire la sua voglia di reagire, combattere per restare competitivo e affermarsi», spiega Artioli, precisando che le aziende questa volta hanno messo una particolare cura nella realizzazione delle collezioni proprio perché convinti che solo la qualità possa spuntarla sulla crisi. Una crisi che ha colpito soprattutto i settori esportatori, e il calzaturiero italiano è quello in cui è maggiore la quota delle esportazioni sul fatturato: «Oggi, per quanto i segnali macroeconomici sembrino indicare una piccola ripresa, manca però la fiducia degli operatori che sono molto più prudenti del solito nei loro acquisti», continua il presidente, «nonostante però il momento sia molto difficile, non vogliamo cedere al catastrofismo perché sappiamo che questa è una crisi che non dipende dalla competitività delle nostre aziende, non dipende dal nostro saper fare e non dipende dalla qualità dei nostri prodotti». E se sul fronte estero la situazione del mercato appare complicata – alcuni mercati come Stati Uniti (-29,3%), Russia (-25%) e Ucraina (-34,6%) che nell’ultimo biennio avevano rappresentato una forte crescita per i produttori italiani ora hanno un peso inferiore – su quello interno le condizioni appaiono invece meno preoccupanti: gli acquisti delle famiglie italiane nel primo semestre sono scesi dello 0,4% in quantità e dell’1,1% in termini di spesa, con prezzi medi in calo dello 0,7%. Per quanto riguarda le importazioni, è possibile stabilire una considerevole riduzione in quantità (28 milioni di paia in meno rispetto ai primi cinque mesi del 2008) ma un incremento a valore del 5,5% legato a un significativo aumento dei prezzi medi unitari (+24,9%). «La crescita del prezzo medio di importazione», sottolinea Artioli, «è in buona parte riconducibile alla sensibile diminuzione delle quantità importate dalla Cina (-24,8%), il cui prezzo medio al paio (4,37 euro), malgrado un aumento del 35%, è comunque ancora inferiore a un terzo del prezzo medio dei prodotti importati in Italia da altri Paesi. Questo testimonia, ancora una volta, da un lato l’efficacia delle misure antidumping attualmente in vigore per contenere le quantità importate, e dall’altro la necessità di mantenerle anche per i prossimi mesi, visto che persiste una asimmetria competitiva. E proprio a questo proposito siamo in attesa del pro nunciamento nei confronti del rinnovo delle misure antidumping appunto per le calzature provenienti da Cina e Vietnam». Non solo. Preoccupano soprattutto le voci di un possibile congelamento della Legge 99 del 23 Luglio 2009 sulla tutela del «made in Italy» – la norma varata dal ministro dello Sviluppo economico Claudio Scajola che inasprisce le sanzioni contro le contraffazioni di capi d’abbigliamento, calzature, settori manifatturieri e alimentari – perché verrebbero meno gli strumenti di pressione politica per far capire a tutti i consumatori, ma anche alle istituzioni, soprattutto europee, quanto sia fondamentale conoscere l’origine di fabbricazione di un determinato prodotto. L’obiettivo è infatti quello di salvaguardare il sistema produttivo attraverso la «tracciabilità» delle merci. Chi non rispetta l’obbligatorietà di apposizione dell’etichetta con la reale origine dei prodotti venduti, va incontro a pesanti sanzioni previste dal Codice penale. La norma vuole essere un aiuto alle imprese artigiane che da sempre producono in Italia e che finora hanno subito l’illecita concorrenza di chi, delocalizzando la produzione, si è avvalso comunque del marchio «made in Italy».

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