Design e sostenibilità: ecco come saranno i prodotti di domani

La sostenibilità è ormai una delle direttrici chiave per il design: nuovi materiali, sistemi di recupero dell’energia, progettazione a impatto (quasi) zero

Disegnare oggi per ridisegnare il domani. Per chi non credeva a Greta Thunberg, ci ha pensato il coronavirus a mettere in evidenza la fragilità del nostro sistema globale. Le precauzioni prese dai governi hanno limitato l’epidemia – portando, tra le altre cose, l’annullamento del Salone del Mobile 2020 – e ridotto le emissioni, mentre le temperature incredibilmente tiepide registrate in inverno in Antartide hanno mantenuto alta l’attenzione sul futuro del nostro pianeta. Nonostante l’assenza del Salone del Mobile, sono tanti gli spunti che arrivano dal settore del design nell’ottica sempre più centrale della sostenibilità. Nuove forme, materiali “giusti”, sguardo prospettico sul valore di un oggetto: ecco quali sono le direttrici per un design amico dell’atmosfera.

Rendere i processi più efficienti, ridurre i consumi e gli sprechi di energia e materia prima sono ormai d’obbligo nell’attività di ogni azienda, ma bisogna fare di più. Mentre c’è chi si limita a semplici operazioni di green washing, la parte più attenta e vivace dell’industria elabora e sviluppa idee innovative come gli allarmi anti-spreco nelle cucine e i sistemi di recupero del calore sviluppato dalla doccia. «La definizione di sviluppo sostenibile è stata coniata nel 1987 in un rapporto delle Nazioni Unite e io tenni il primo corso di Requisiti ambientali del prodotto industriale già 23 anni fa: il tema, insomma, non è nuovo», racconta Carlo Vezzoli, professore ordinario di Design al Politecnico di Milano. «Già allora e ancora oggi si parla di design per la sostenibilità ambientale e di Life Cycle Assessment (Lca), cioè valutazione dell’impatto ambientale dell’intero ciclo di vita, così da ridurre gli sprechi in ogni fase: la pre-produzione (produzione dei materiali), la produzione, la distribuzione, l’uso e lo smaltimento. Inoltre, non posso limitarmi a progettare pensando al prodotto, ma devo considerare l’unità funzionale, la prestazione di un prodotto. Se progetto una sedia in cartone con un basso impatto ambientale su tutte le fasi del ciclo di vita, ma poi devo sostituirla un giorno sì e uno no, alla fine avrà un impatto minore una sedia pensata per durare dieci anni anche se costruita con materiali e processi meno virtuosi. Il problema è che le conoscenze esistenti non sono ampiamente diffuse nella pratica, a parte pochi casi virtuosi. E anche i richiami comunitari contro l’obsolescenza programmata hanno portato pochi effetti».

CAMBIO DI PROSPETTIVA

Come indicato nel Piano d’azione per l’economica circolare dell’Unione europea, infatti, gli oggetti quotidiani devono diventare più durevoli, più facili da riparare, riutilizzare o riciclare. Vezzoli si occupa di questi temi dagli anni ‘90, quando lo spettro che incombeva sull’umanità era un altro: il buco dell’ozono. «È un caso esemplare: su quel problema si è intervenuti e, attraverso legislazioni stringenti, sono stati proibiti i clorofluorocarburi e altre sostanze. E il fenomeno è stato arrestato. Allo stesso modo perché oggi non dovremmo usare ugualmente il termine emergenza di fronte ai sette milioni di morti prematuramente all’anno nel mondo a causa degli inquinanti (dati Organizzazione Mondiale della Sanità, ndr)? Per questo, per il riscaldamento globale e per diversi altri impatti ambientali determinati dall’uomo, siamo a punto critico oltre il quale tornare a una situazione di sostenibilità ambientale ci costerà più risorse di quelle che dobbiamo risparmiare. Non basta una “pennellata” di plastica riciclata per invertire il trend. Servono prodotti che durino di più – così da evitare la produzione di nuovi materiali –, nuovi imballaggi e nuovi trasporti, ma questo va contro la logica attuale dell’usa-e-getta e del business attuale». I casi esemplari non mancano, come l’azienda Hermann Miller che crea sedie da ufficio garantite 12 anni e totalmente smontabili, con seduta e schienale a minimo contenuto materico – oltretutto monomaterico – per facilitare anche il riciclo a fine vita. Ogni pezzo è facile da sostituire e riciclare, la lunga durata è una qualità. Parliamo tuttavia di casi ancora isolati, anche il design può e deve fare di più grazie agli strumenti esistenti per una corretta progettazione: l’ostacolo, però, rimangono le logiche industriali che devono cambiare.

Per il mondo industriale, è difficile mutare il business as usual, ci sono molte inerzie e logiche che si oppongono. Ma si può fare, anzi si deve. E chi lo capisce ora, avrà dei vantaggi anche nel breve medio termine. Per esempio, fino a pochi anni fa era impensabile non possedere un prodotto, soprattutto un’auto, oggi parliamo abitualmente di sharing economy. «Ma attenzione: anche questo fenomeno non è sufficiente a se stesso. Un conto è creare una flotta di auto elettriche a disposizione dei cittadini di una metropoli come Milano, ma ha poco senso intraprendere questa via per mettere in strada auto con motori a combustione, potenti e che consumano molto», prosegue il professore che indica strade ancora più incisive: «Bisogna rovesciare il paradigma e puntare su modelli alternativi di business, come i Sistemi di prodotto-servizio sostenibili (Sustainabile Product-Service System, o S.Pss), cioè modelli che rendano interesse economico dell’azienda produttrice la creazione di articoli duraturi, a basso consumo di risorse in uso e facilmente riciclabili».

LE TENDENZE DEL DESIGN

Vezzoli, infatti, è fondatore e coordinatore del Learning Network on Sustainability (LeNS, Lens-international.org), una rete internazionale di 153 università che collaborano per raccogliere e condividere gratuitamente conoscenze e materiali formativi per educare i designer di domani alla corretta progettazione sostenibile. Perché qualunque settore può e deve diventare più sostenibile con la giusta progettazione, dagli ascensori ai distributori automatici di alimenti e bevande fino a un grande classico del design italiano, come la lampada Tolomeo. E proprio Artemide ha commissionato al Politecnico di Milano – e al laboratorio di ricerca coordinato da Vezzoli (Lenslab.polimi.it) – uno studio per ridurre l’impatto ambientale della sua iconica lampada. La rivisitazione in chiave green dei propri prodotti più famosi è una delle strade indicate dall’azienda nel suo impegno per la sostenibilità. Le altre sono la riduzione dell’uso dei materiali difficilmente riciclabili, l’uso dei Led e la continua ricerca in ottica Human Light: uno dei risultati più celebri il Solar Tree, un albero sinuoso con “frutti” ecologicamente intelligenti, cioè le bolle a Led che si illuminano di notte grazie alla luce solare accumulata di giorno dai pannelli solari. Investe sui materiali Cassina che già l’anno scorso con Philippe Starck ha proposto Cassina Croque la Pomme a Parigi, esponendo mobili del celebre designer rivestiti in un materiale realizzato con gli scarti di mela. L’impegno continua con la tendenza a unire materiali naturali (come il teak) e 100% riciclati come la fibra sintetica Pet dei tappeti da esterno. Kartell segue allo stesso modo questo binario: mentre utilizza il legno – piegato con tecnologie innovative – per la collezione Smart Wood, grazie all’intelligenza artificiale crea la linea A.I. con materiali industriali di recupero. Proprio come le sedie Arper, mentre arriva dai rifiuti recuperati nel mar Mediterraneo il poliestere della collezione Musselblomma di Ikea. Antichissimo e allo stesso tempo moderno è l’approccio al recupero della pietra di Salvatori, che riutilizza materiale o lastre inutilizzabili anche attraverso la tecnica del Kintsugi, il recupero delle ceramiche rotte attraverso cuciture dorate.

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