Ritratti del ‘900

Skira e MondoMostre portano a Milano diversi capolavori della collezione del Centre Pompidou di Parigi. E i lavori più recenti possono anche essere fonte d’ispirazione per i collezionisti

«I o non faccio un ritrat­to, io faccio un dipinto». Poche frasi, come questa di Henri Matisse, si pre­stano a descrivere il destino del ri­tratto, uno dei generi più nobili e fre­quentati dalla pittura e dalla scultu­ra occidentale nell’arte del ‘900. Il genere non viene abbandonato, ma cessa di essere, appunto, un gene­re, soggetto alle richieste di verosi­miglianza e di idealizzazione avan­zate dalla classe sociale che, di vol­ta in volta, vuole evidenziare il proprio status attraverso la commissione di un ritratto. Il volto del ‘900, la mostra organiz­zata da Skira e MondoMostre per Pa­lazzo Reale a Milano (fino al 9 feb­braio 2014) attingendo, grazie al cu­ratore Jean-Michel Bouhours, alla collezione del Centre Pompidou di Parigi, si pone l’obiettivo ambizio­so di rispondere a queste domande: cosa accade al ritratto quando cessa di essere un genere? Quando la fo­tografia subentra e fa sua una delle funzioni sociali della pittura? E cosa accade al volto – soggetto supre­mo dell’arte di ogni tempo – quan­do l’arte rivendica il diritto di mette­re in primo piano le proprie esigen­ze formali? L’obiettivo è raggiunto, almeno in parte. Restano alcuni dubbi sullo sbi­lanciamento tra prima metà del seco­lo, ben rappresentata nei suoi svol­gimenti principali e attraverso alcuni assoluti capolavori, e secondo ’900, trattato in maniera frammentaria e veloce; e sulla presenza, altrettan­to asistematica e frammentaria, della fotografia, cui in­dubbiamente il ‘900 ha conse­gnato il suo vol­to. Insomma: dif­ficile spiegare l’as­senza, in questa mostra, di artisti come Andy Warhol e di fotogra­fi come Diane Arbus, Cindy Sher­man e Thomas Ruff se non a ragio­ne della loro assenza dalla collezio­ne del Centre Pom­pidou, dove peral­tro sono ben rappre­sentati. Discutibile an­che la presenza di alcuni dipinti di figura che ritrat­ti non sono, o che non trovano nel volto il loro centro d’interesse. Detto questo, la mostra resta una buona occasione per vedere a Mila­no alcuni lavori eccezionali, a parti­re dal celeberrimo Ritratto di Dédie (1918) di Amedeo Modigliani, inten­so ed elegante come tutti i suoi qua­dri migliori. Anche artisti come Émi­le Othon Friesz, André Derain, Alber­to Giacometti, Constantin Brancusi e Francis Bacon sono rappresentati da lavori imperdibili per livello qualita­tivo e per ruolo storico. E c’è, ovvia­mente, quello Stupro (1945) di René Magritte che è stato scelto come am­bigua immagine della mostra: un vol­to che non è un volto, perché i suoi consueti attributi sono stati sostitui­ti dagli organi sessuali femminili. I pochi lavori recenti, come I princi­pi inglesi di Elizabeth Peyton, la Ma­rocchina (2001) dell’americano John Currin, il grande ritratto di Chuck Close e Switch (1996), la video in­stallazione di Tony Oursler, rivelano la museificazione precoce di alcuni protagonisti dell’arte contemporanea, ancora presenti nelle gallerie e nelle aste. A buon intenditor…

POLLOCK E GLI IRASCIBILI

Se entrate a Palazzo Reale, non uscitene senza aver visto Pollock e gli irascibili. La scuola di New York (fino al 16 febbraio 2014). Costruita attorno all’enorme Number 27 (1950) di Jackson Pollock, la mostra offre la possibilità di godersi, in un suggestivo allestimento, una cinquantina di opere della generazione che rivoluzionò la storia dell’arte americana, da Barnett Newman a Willem de Kooning, da Mark Rothko a Franz Kline, tutte dalla collezione del Whitney Museum di New York.

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